Presunzione di innocenza, perché una Commissione

( Un’iniziativa per sostenere la libera informazione. Si è riunita il 30 giugno, per la prima volta, la nuova Commissione consultiva sul tema dell’applicazione del decreto legislativo sulla presunzione di innocenza. Obiettivi della commissione, la raccolta delle segnalazioni dei colleghi, l’acquisizione – attraverso audizioni di esperti – di un linguaggio e di argomentazioni che pongano i colleghi in grado di affrontare il tema, tecnicamente complesso, nelle discussioni pubbliche e la preparazione di un documento articolato che esprima la posizione dell’Ordine lombardo anche in relazione alla concreta situazione nella Regione )

di Riccardo Sorrentino

Un luogo comune dice che in Italia, quando c’è da risolvere un problema, si crea una bella commissione. Un uomo politico della prima repubblica, finito piuttosto male, disse anzi che quando non si vuole risolvere un problema si crea una bella commissione.

Non è il caso della Commissione lombarda sulla Presunzione di innocenza, che vuole essere qualcosa di diverso. Il fatto stesso che il presidente dell’Ordine e i consiglieri ne siano componenti di diritto gli dà un’importanza che le commissioni consultive di altri Ordini professionali – che sono tante e spesso volte lavorano molto bene – non hanno.

Questa commissione è stata costituita per meglio affrontare un problema concreto, e molto sentito dai colleghi giornalisti, che ci guardano. È un problema che si riferisce alla libertà di informazione, attorno al quale ruota – o almeno dovrebbe ruotare – tutta l’attività dell’Ordine, che è ente pubblico e si occupa di una res publica.

I problemi posti dalle norme sulla presunzione di innocenza, che non saranno risolti nel breve termine, richiedono un’attenzione non solo costante, ma anche qualificata. Modifiche alla normativa, nel breve periodo, non sono immaginabili. Protocolli con le procure sembrano inutili, e i colleghi – molto semplicemente – non li vogliono, perché ritengono che prima occorre riequilibrare i diritti in gioco. Si può solo incidere sull’interpretazione di queste norme, sulla loro concreta applicazione.

L’Ordine allora deve essere sempre presente. Presente ai colleghi che affrontano i problemi concreti, presente alle Procure, presente alle forze dell’Ordine, agli avvocati, presente se possibile nell’opinione pubblica. La sua presenza deve essere qualificata: sostenuta dalla conoscenza di quanto davvero accade, dalla consapevolezza delle varie implicazioni della normativa e delle sue interpretazioni, da una cultura forte del diritto all’informazione. Deve parlare un linguaggio che permette di essere ascoltato. Non basta la semplice protesta, la semplice segnalazione. I nostri interlocutori devono sapere che, quando si muove l’Ordine a sostegno dei colleghi, si muove un intero sistema, di idee, di cultura, di pensiero. Il press council finlandese, pur essendo un’associazione privata, ha tra le sue funzioni quella della difesa della libertà di informazione: le sue non sono semplici note di protesta, sono documenti ampi, profondi, di cui è difficile non tener conto.

I giornalisti e l’Ordine – i cui obiettivi devono essere evidentemente allineati – hanno bisogno di un po’ di soft power, quello che ragionevolmente possiamo ottenere con le nostre capacità e le nostre risorse. Viviamo in un paese che, pur essendo un’iperpotenza culturale, non ama il soft power, lo considera inutile. Non è così e, nella mia visione, occorre dare ai colleghi e a noi nuove capacità, non fini a se stesse, ma acquisite con l’obiettivo di far valere le ragioni della libertà di informazione e di riconquistare la fiducia dei cittadini. In questo senso questa commissione è anche un esperimento. Soft power significa conoscenza dei fatti, delle norme, delle interpretazioni, delle obiezioni alle nostre richieste – quelle degli avvocati, per esempio, delle camere penali, che dovremo ascoltare; significa relazioni, networking, innovazione. Significa visibilità, anche, con tutto quello che comporta in termini di accountabilità e di responsabilità. Il soft power ci mette allo stesso tempo anche al riparo dalla propaganda, dalla ricerca del consenso, perché se si inseguono questi obiettivi, semplicemente non funziona.

La Commissione dell’Ordine lombardo è una commissione consultiva. In concreto, il suo compito è quello di raccogliere informazioni, soprattutto dai colleghi, fare audizioni di giornalisti, giuristi, avvocati, esperti – non necessariamente simpatetici con le nostre posizioni, perché dobbiamo avere una conoscenza completa dell’ambiente in cui ci muoviamo – elaborare proposte – anche di corsi di formazione che tengano conto del lavoro svolto o di modifiche al codice unico dei doveri, che è in revisione – redarre documenti. Per aiutarci in questo compito non semplice, tra noi sono presenti due figure “esterne”, ma vicine al mondo del giornalismo: Gherardo Colombo, magistrato in pensione, e l’avvocato Guido Camera, da sempre cultore dei temi dei diritti, e in particolare dei diritti – e dei doveri – dell’informazione. È il segno che la nostra professione, per sua natura “aperta” al mondo sociale, non intende chiudersi mai su se stessa.

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