La giustizia riparativa si affianca al processo penale senza sostituirlo e offre a vittime e autori di reato una risposta non orientata alla sola punizione del colpevole: un percorso che ribalta alcune categorie securitarie molto popolari anche nel mondo dell’informazione
di Federica Brunelli, mediatrice esperta in programmi di giustizia riparativa – Cooperativa DIKE di Milano
La giustizia riparativa è, nella definizione dell’art. 42 del decreto legislativo 150/22 (c.d. Riforma Cartabia), «ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore».
Viene definita come “giustizia dell’incontro”: partendo dall’idea di prendersi cura degli effetti distruttivi nascenti dal reato, la giustizia riparativa rappresenta un modello di giustizia relazionale e dialogica, che promuove la ricucitura del legame sociale a partire dalle ferite che l’illecito ha generato, restituendo un ruolo attivo a vittime, autori e comunità. Si affianca al processo penale, non sostituendolo, e – in un’ottica di complementarietà – prova a offrire ai protagonisti della vicenda penale qualcosa di più rispetto alle risposte tradizionalmente orientate alla sola punizione del colpevole o alla sua rieducazione. La questione fondamentale non è soltanto «come deve essere punito il colpevole» ma anche «se e che cosa può essere fatto per riparare il danno», non solo nel senso di controbilanciare in termini economici il danno cagionato ma nell’ottica di ridare significato ai legami fiduciari fra le persone che il reato ha interrotto.
Per fare questo, la giustizia riparativa chiede un “cambiamento di sguardo” sulle modalità di considerare il reato e sulle possibili risposte quando esso viene commesso. Un primo cambiamento consiste nel guardare il reato non soltanto come la violazione di una norma del codice penale, ma primariamente come la rottura di una relazione significativa fra due persone, di un patto sociale di carattere fiduciario, abbandonando una visione solamente reo-centrica e restituendo un posto anche alle vittime e alla comunità ferita.
Un secondo cambiamento consiste nel restituire un ruolo attivo a tutte le persone coinvolte nella vicendapenale: la persona indicata come autore dell’offesa, la vittima, la comunità partecipano a un percorso dialogico di riconoscimento reciproco, nel quale possono ritrovare dignità i vissuti e le narrazioni di ciascuno. Oltre alla verità processuale, la giustizia riparativa accoglie le verità personali, quelle vissute e non solo accadute.
Un terzo cambiamento consiste in una visione della responsabilità non solo «per aver fatto qualcosa» ma «verso qualcuno». Nell’incontro fra i partecipanti, l’altro c’è come persona in carne e ossa, come alterità possibile rispetto alla propria personale esperienza. Nello scambio dialogico, attraverso l’accompagnamento di mediatori esperti, ciascuno ha la possibilità di trasformare il proprio monologo in un dialogo, ha l’occasione di allargare la propria personale prospettiva includendo la voce dell’altro. La persona indicata come autore dell’offesa può entrare in contatto con l’esperienza esistenziale della vittima e in modo molto concreto con gli effetti negativi prodotti dal reato commesso. La vittima può incontrare l’autore del fatto come una persona e non soltanto come il reato che ha commesso e può costruire una comprensione più ampia di quanto accaduto.
Un ulteriore cambiamento riguarda la riparazione: l’azione che ripara nasce dall’incontro fra i partecipanti in modo consensuale, e rappresenta l’esito dell’avvenuto riconoscimento fra loro. Un accordo simbolico e/o materiale (così recitano gli articoli 42 e 56 del decreto legislativo 150/22) che è «volto alla riparazione dell’offesa e idoneo a rappresentare l’avvenuto riconoscimento reciproco e la possibilità di ricostruire la relazione tra i partecipanti». L’azione che ripara connette il riconoscimento fra i partecipanti a un’azione concreta positiva e rivolta al futuro, quale possibilità di riappropriarsi di un senso di giustizia non solo legato alla riaffermazione della norma ma anche ai significati delle relazioni che costruiamo con gli altri.
Il modello italiano
In Italia, questo modello di giustizia si afferma dalla metà degli anni ’90, prima nel contesto minorile e poi anche nell’ambito adulti ma solo con il decreto legislativo 150/22, e in ritardo rispetto allo sviluppo delle normative di altri paesi europei ed extraeuropei, viene introdotta anche in Italia una regolamentazione specifica, giungendo finalmente a riconoscere un modello italiano di giustizia riparativa, utile riferimento per le nuove esperienze territoriali ma anche per le prassi già operative, nell’ottica di una maggiore omogeneità sul territorio nazionale.
Nell’affermare il principio de «l’eguale considerazione dell’interesse della vittima del reato e della persona indicata come autore dell’offesa» e i principi di «volontarietà, confidenzialità e gratuità», il decreto disciplina lo svolgimento dei programmi di giustizia riparativa, che possono essere svolti senza preclusioni ex ante relative alla tipologia di reato commesso, alla fase processuale di riferimento, alle persone coinvolte. Tali programmi sono:
- la mediazione tra la persona indicata come autore dell’offesa e la vittima del reato: il programma di giustizia riparativa più noto e praticato. Un incontro vis à vis fra i partecipanti, che hanno l’opportunità di narrare l’uno all’altro l’esperienza di cui sono stati protagonisti e gli effetti distruttivi che si sono prodotti, aiutati dai mediatori in un percorso di riflessività, responsabilità, riconoscimento, riparazione;
- la mediazione con la vittima di un reato diverso da quello per cui si procede (ad esempio la persona indicata come autore di una rapina e la vittima di una diversa rapina): offre la possibilità agli autori di reato – in un contesto non giudicante – di percepire il disvalore del proprio gesto deviante e di entrare in contatto con i vissuti che le vittime si trovano abitualmente ad affrontare, e consentono alle vittime di mettersi in dialogo con l’autore di un’offesa analoga a quella patita, accolte e riconosciuta in relazione al loro bisogno di riparazione;
- il dialogo riparativo: un programma a partecipazione allargata, che coinvolge altri partecipanti rispetto ai diretti protagonisti della vicenda, includendo un contesto comunitario più ampio di persone interessate al reato (ad esempio persone dei nuclei familiari o del territorio) per affrontare in una dimensione collettiva gli effetti negativi derivanti dal reato, stimolando la progettazione partecipata di concrete azioni di riparazione;
- ogni altro programma dialogico guidato da mediatori e svolto nell’interesse della vittima del reato e della persona indicata come autore dell’offesa, con la guida di mediatori esperti.
L’elenco degli strumenti operativi evidenzia la necessaria e tipica natura “relazionale” dei programmi e il fatto che in essi possa essere sempre individuato un ruolo attivo di tutti i partecipanti in una dimensione dialogica. Inoltre, risulta sempre necessaria la presenza dei mediatori, con un ruolo di indipendenza e imparzialità rispetto alle parti. Il mediatore viene definito come terzo “equiprossimo”, vale a dire capace di avvicinarsi in egual modo all’esperienza dell’uno e dell’altro partecipante, capace di collocarsi in modo non giudicante nel difficile dialogo mediativo. Per fare questo, egli deve seguire una lunga e approfondita formazione che il decreto descrive nel dettaglio.
Il decreto definisce anche l’iter dei programmi di giustizia riparativa: dalla segnalazione dell’autorità giudiziaria, all’informazione rivolta ai partecipanti, alla raccolta del consenso, agli spazi di ascolto individuali preliminari all’incontro congiunto, alla verifica di fattibilità dei programmi, al loro svolgimento, all’esito riparativo.
Un’ultima precisazione riguarda la fase conclusiva dei programmi di giustizia riparativa: il mediatore restituisce un esito sintetico all’autorità giudiziaria segnalante, mediante una relazione che rispetta la confidenzialità sui contenuti del dialogo. L’autorità giudiziaria valuta il programma svolto e l’esito riparativo raggiunto, senza alcun automatismo circa l’applicazione di eventuali benefici, decidendo secondo la propria discrezionalità quale sia il valore da attribuire, nel processo penale, al programma svolto. In nessun caso, la mancata effettuazione del programma, la sua interruzione o il mancato raggiungimento di un esito riparativo possono produrre effetti sfavorevoli nei confronti della persona indicata come autore dell’offesa.