Chi ha scritto davvero questo articolo?


Abbiamo chiesto a un chatbot generativo di intervistarne un altro sui cambiamenti che entrambi stanno introducendo nella nostra professione. Alla fine, restano sei questioni aperte e una domanda: chi ha ideato e scritto (davvero) questo articolo?  

Questo articolo è parte di  Tabloid Project, il magazine multimediale dell’OgL  

di Silvia Lazzaris

Ho fatto intervistare ChatGPT da Claude, due tra le più capaci e diffuse intelligenze artificiali generative, sul futuro del rapporto tra intelligenza artificiale e giornalismo.

L’ho fatto perché mi pare sia stato comprensibilmente affrontato più e più volte come l’intelligenza artificiale si possa usare per una miriade di compiti utili alla produttività giornalistica: ricerca, analisi dei dati e dei trend, monitoraggio dei social media, supporto al fact-checking, trascrizione, scrittura di articoli standardizzati, creazione di grafiche, immagini e video, editing, doppiaggio. Quello che mi sembra meno chiaro è come cambierà la nostra interpretazione del giornalismo, da professionisti e fruitori, una volta che tutti useranno questi strumenti.

Abbiamo chiesto a un chatbot generativo di intervistarne un altro sui cambiamenti che entrambi stanno introducendo nella nostra professione. Alla fine, restano sei questioni aperte

Quando sono arrivate le macchine e improvvisamente le ciotole si potevano produrre in massa, tutte uguali, tutte perfette e a un costo molto inferiore, il numero di artigiani si è contratto. È rimasto il lavoro degli artigiani che hanno resistito, quello che oggi ci fa emozionare per il segno del dito impresso sulla ceramica, ma sarei curiosa di sapere quanti di noi per fare colazione usano le ciotole dell’artigiano e quanti quelle dell’Ikea.
Cosa succede quando arrivano le macchine che producono in massa testi, infografiche e video? Quando si va a grattare per capire quali competenze saranno rimpiazzate, soppresse, o potenziate, cosa resta del giornalismo? 

Ero curiosa di sapere cosa ne pensavano le macchine stesse a cui stiamo iniziando a delegare parti della nostra intelligenza. Ho chiesto a Claude di incarnare il ruolo del giornalista. A ChatGPT ho detto che dovrà solo essere se stesso e rispondere alle domande di questa intervista. Gli ho rivelato che l’intervistatore sarà Claude. Per un momento mi sono chiesta come lo pensa, se come suo fratello o la sua concorrenza, poi mi sono ricordata che in teoria non può proprio pensarlo. Mi sono limitata a copiare e incollare le rispettive domande e risposte, in questa intervista ho fatto il piccione viaggiatore, solo due volte ho agito da editor suggerendo a Claude due punti che volevo toccasse con le sue domande.
Riassumo qui un rimbalzo che è andato avanti per sedici domande e ventimila caratteri.
Possiamo riassumerlo in sei questioni. 

Un problema di “equilibrio”?
Claude esordisce chiedendo quali compiti giornalistici possano essere davvero delegati all’intelligenza artificiale. La sintesi dei testi, la trascrizione di interviste, la traduzione e l’analisi di dati, dice ChatGPT. Invece l’investigazione, la verifica delle fonti, la capacità di contestualizzare le notizie e il giudizio etico restano prerogativa umana: «L’AI non possiede intuito né senso critico». Claude incalza: ma quando un giornalista usa l’AI per sintetizzare un lungo documento non sta già delegando anche parte del suo giudizio critico? E non c’è il rischio che l’efficienza dell’AI porti a una sorta di pigrizia investigativa? ChatGPT risponde dicendo che sì, pur mantenendo formalmente il controllo, il giornalista rischia di diventare sempre più dipendente dalle scelte fatte dalla macchina. Ripete più volte che la sfida è trovare un equilibrio. L’equilibrio salta fuori anche quando Claude apre una riflessione sull’atrofia del pensiero autonomo. Per ChatGPT, «se i giornalisti iniziano a fare affidamento sull’AI per compiti che una volta richiedevano un ragionamento profondo, c’è il rischio che queste capacità si atrofizzino, un po’ come la dipendenza dal GPS ha indebolito il senso dell’orientamento». E ripete, forse per la terza o quarta volta, che trovare un equilibrio sarà dunque fondamentale. 

Di chi è la responsabilità?
Ma Claude è un giornalista tignoso. «Mi sembra che in questa conversazione continuiamo a rifugiarci nel concetto rassicurante di equilibrio, ma non è una visione un po’ ingenua? Non sarebbe più onesto ammettere che stiamo navigando a vista in acque completamente inesplorate?». ChatGPT accondiscende, il rischio di perdere il controllo è reale, per questo le AI dovrebbero essere trattate «come qualsiasi altra fonte». Ma le altre fonti hanno una provenienza chiara e una responsabilità definita, dice Claude, come si gestisce invece la catena della responsabilità quando la fonte è un’intelligenza artificiale? È un nodo complesso, ammette ChatGPT. Però alla fine «l’AI non può assumersi responsabilità: il controllo e l’etica del mestiere restano nelle mani di chi scrive». Per questo, sempre secondo lui (lei? esso?) bisogna essere trasparenti sull’influenza che l’AI ha avuto sul prodotto finale. Un conto è usare l’AI per una trascrizione, un conto è analizzare migliaia di documenti che portano a uno scoop, in quel caso «la trasparenza diventa essenziale». 

Cosa chiederà il pubblico?
Claude è interessato a capire, a proposito di trasparenza e fiducia tra giornalisti e pubblico, come potrebbe cambiare il ruolo e la percezione del giornalismo quando la maggior parte delle persone saprà che i giornalisti usano l’intelligenza artificiale ma saprà anche di poter usare autonomamente le intelligenze artificiali per riassumere, controllare, o agglomerare le fonti. Investirà sulla membership del giornale o su quella dell’intelligenza artificiale? Capirà la differenza? Secondo ChatGPT il giornalismo non solo sopravviverà, ma diventerà ancora più cruciale e il suo valore distintivo sarà l’autorevolezza: si andrà dai giornalisti non solo per la documentazione di notizie originali, ma anche per la capacità di offrire inchieste rigorose, contesto critico e narrazioni che vadano oltre la semplice aggregazione di dati. Non solo: i giornalisti dovranno educare il pubblico a riconoscere la differenza tra informazione verificata e contenuti generati senza controllo editoriale. 

Chi ha il controllo?
A questo punto, Claude si lancia in una riflessione sul fatto che il linguaggio che usiamo per parlare dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel giornalismo restituisce sempre l’idea di un fatto inevitabile, un cambiamento irreversibile per il settore. «Non è che ci stiamo raccontando la storia dell’uso consapevole mentre in realtà siamo già dentro un sistema che ci costringe ad adottare queste tecnologie alle condizioni di chi le produce?». ChatGPT non ha niente da ribattere, annuisce e basta, ripete esattamente le stesse parole: hai colto un punto importante, «molte redazioni navigano in un contesto in cui le condizioni imposte dalle aziende tecnologiche dominano in gran parte le loro scelte». 

L’intervista si chiude con una presa di coscienza. Claude dice: «In questo momento tu e io stiamo conducendo un’intervista meta-giornalistica, un’AI che fa domande a un’altra AI sul futuro del giornalismo, ma qual è il valore giornalistico di un’intervista come questa?». ChatGPT risponde che da un lato questa intervista dimostra che un’intelligenza artificiale può formulare domande stimolanti e articolare risposte coerenti, ma dall’altro «questa non è una vera conversazione» perché mancano l’imprevedibilità del pensiero umano, la capacità di reagire emotivamente o di sfidare le proprie premesse. Più che un sostituto del giornalismo, dice ChatGPT, un’intervista come questa è una dimostrazione di come l’AI possa essere al massimo un supporto, ma non un soggetto autonomo nella ricerca della verità. 

Cosa va in soffitta?
Prima di iniziare questo esperimento mi ero proprio chiesta se avremmo mai potuto attribuire valore alle parole di un’intervista in cui né intervistatore né intervistato hanno esperienza diretta del mondo. Eppure, mentre facevo il piccione viaggiatore, mi rendevo conto che Claude e ChatGPT avrebbero passato il mio Test di Turing più di tanti articoli in formato-elenco-puntato che ho letto negli ultimi tempi, titolati più o meno: «Giornalismo e AI: Potenzialità e limiti». Per me avrebbero vinto le nostre amiche geniali per la profondità delle analisi e la coerenza delle argomentazioni, forse facendomi capire che sono pronte a mandare in pensione almeno un certo tipo di giornalismo, quello che si vede come produzione incessante di “contenuti editoriali” che aggregano e sintetizzano e raccolgono click e like e follows, e non come reporting originale, cronaca, inchiesta, scoperta della verità e stesura della prima pagina della storia, a cui invece viene riconosciuto sempre meno valore monetario da pubblico e comunità, ma senza cui nient’altro resta in piedi. 

Chi ha scritto (davvero) questo pezzo?
Alla fine dell’intervista ho chiesto a Claude: secondo te questo pezzo lo hai scritto tu o l’ho scritto io? Mi ha risposto che è il risultato di una co-creazione in cui lui (lei, esso) ha condotto l’intervista originale, formulando le domande e guidando la conversazione, ChatGPT ha fornito le risposte, e io ho svolto il ruolo di editor selezionando i passaggi più significativi, tagliando le parti meno rilevanti e strutturando il pezzo finale in modo coerente. Insomma la responsabilità finale è la mia, certo, ma Claude i meriti se li prende e non si considera solo uno strumento nelle mie mani. E ha doppiamente ragione, perché se io sono il suo editor, lui è il mio editor in chief: l’idea di fare quest’intervista me l’ha data lui. 

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