Perché formarsi in tema di giustizia riparativa 


È una delle novità della Riforma Cartabia. E serve innanzitutto alle vittime per uscire dalla prigione simbolica in cui il reato le rinchiude. Sul sito dell’OgL una biblioteca digitale sull’argomento
di Riccardo Sorrentino


Non c’è un buon rapporto tra giustizia e media. Non solo in Italia. Sarebbe troppo facile attribuire la “colpa” solo ai giornalisti, e alle patologie del nostro lavoro; oppure, al contrario, al mondo del diritto – magistrati, giudici, ma anche avvocati – che cerca di indirizzare l’informazione verso obiettivi processuali. Accade anche questo, ma il lavoro di analisi che l’Ordine dei giornalisti della Lombardia sta compiendo sulla “giustizia mediatica” mostra che le distanze tra i due mondi, informazione e giustizia, sono strutturali – si pensi ai tempi, o al linguaggio, o alla diversa concezione dell’interesse pubblico – e non possono che essere superate con una grande consapevolezza.


La giustizia riparativa, che la riforma Cartabia – la revisione del processo civile e penale – ha istituzionalizzato , è piombata in questo contesto con tutto il peso di un’attività complessa che ora modifica, ampliandolo, il mondo della giustizia. Con implicazioni per il giornalismo che vanno molto più in là di quanto si possa immaginare. Il rischio è, di nuovo, quello dell’incomprensione reciproca. Il giornalismo vive immerso in una realtà che – in Italia, ma non solo – è tendenzialmente colpevolista, un atteggiamento molto alimentato da forze politiche su fronti opposti. Si grida “giustizia è fatta” solo in caso di condanna – ha spiegato in uno dei nostri corsi Marcello Bortolato, presidente del Tribunale di sorveglianza di Firenze – non quando un innocente viene scagionato. Sfugge a molti il fatto che è la Giustizia ad avere il più grande dei poteri, quello di togliere la libertà personale a un singolo per periodi anche lunghissimi; un potere che va quindi esercitato con il più grande rispetto di formalismi destinati a evitare abusi. Anche di fronte a una confessione – che può essere falsa – o a una flagranza.

La giustizia riparativa corre allora il rischio di essere interpretata come un altro strumento non solo a favore del reo, quanto a sfavore delle vittime e dei parenti, invitati a perdonare o anche solo a incontrare i propri “carnefici”. La realtà è invece molto più complessa, le vittime possono trovare nella giustizia riparativa – ha spiegato il criminologo Roberto Cornelli – un modo per uscire dalla prigione simbolica in cui il reato l’ha rinchiusa.


La formazione dei giornalisti, su questo tema, è quindi necessaria. L’Ordine lombardo ha voluto però fare qualcosa di più di corsi che impegnano qualche decina di colleghi e poi “scompaiono”. La cronaca giudiziaria – che è una cronaca “classica”, di quelle che si praticano per strada, tra i corridoi dei tribunali – richiede competenze non banali sulle modalità del processo, e nello stesso tempo è chiamata a confrontarsi con i grandi temi della nostra professione: la necessità di raccontare tutto, evitando così ricostruzioni edulcorate che non rivelino l’orrore di certi episodi criminosi, e quanto i condannati possano essere vicini a noi; e la necessità di rispettare la dignità umana di tutte le persone coinvolte, molte delle quali involontariamente (vittime, parenti, testimoni…).

Con l’aiuto di Federica Brunelli, avvocato, esperta di Giustizia riparativa, e di tre colleghe praticanti del Master Walter Tobagi (Chiara Evangelista, Anna Maniscalco e Sara Tirrito) offriamo ora un toolbox che esplora gli aspetti principali del nuovo strumento giuridico, e tenta di sciogliere i dubbi: un aiuto – non certo un’interpretazione autentica – per i giornalisti.

Sarà solo il primo toolbox. L’idea è quella di creare una biblioteca digitale che si affianchi ai corsi ma resti a disposizione dei colleghi. Il toolbox sul processo penale è in preparazione, quello sul giornalismo di inchiesta è in progettazione. Altri seguiranno.

La giustizia informale, a cui la giustizia riparativa appartiene, è però uno strumento che può coinvolgere i giornalisti anche su un altro aspetto del nostro lavoro: quello della libertà di espressione che, più di ogni altra, è una libertà difficile, non solo e non tanto perché può entrare in conflitto con altri diritti, quanto perché è difficile trovare una formula che permetta di affrontare i casi singoli senza creare conseguenze non volute, vere e proprie contraddizioni. A proposito di questa libertà, già nel 1994 il giurista statunitense Richard Abel aveva proposto come unica soluzione forme di giustizia informale, di cui la giustizia riparativa rappresenta – per esempio perché non chiede perdoni o ammissioni di responsabilità –un’evoluzione. In tempi difficili in cui leggi considerate bavaglio si alternano a solide rivendicazioni di libertà, in cui il semplice resoconto dei fatti si scontra con la richiesta di rispetto delle persone, la giustizia riparativa può venire incontro ai giornalisti, anche in alternativa alla giustizia ordinaria, per esempio per affrontare la diffamazione (e quindi il problema delle Slapp) o anche le questioni deontologiche. Sono considerazioni, queste, che possono trovare compimento solo in una riforma del sistema, che anche per questo diventa sempre più necessaria.

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