È una redazione di giornalismo investigativo e collaborativo nata nel 2019. Oggi raggiunge 30milioni di persone, grazie a 100 media partner. Obiettivi, temi, difficoltà e sostenibilità di un caso di studio
Serena Curci
Il giornalismo è in continua evoluzione, in spasmodica ricerca di nuove forme di comunicazione libere e indipendenti. E tra queste realtà c’è la redazione investigativa non profit di Lighthouse Reports che, dal 2019, affronta e analizza la complessità del mondo, mettendo da parte i pregiudizi e i bias che permeano la società. Dalla crisi climatica alle migrazioni, fino ai grandi conflitti che attanagliano il mondo: sono tanti i temi che chi collabora con Lighthouse sonda, alla ricerca di quel sommerso in grado di fornire una nuova chiave di lettura dei fatti. Questo progetto può essere inteso come uno spazio d’incontro in cui giornalisti freelance e media riconosciuti a livello globale collaborano per dare vita a un nuovo tipo di informazione che sia al passo con il presente e con una moderna schiera di lettori sempre più attenti e partecipativi.
Klaas van Dijken, direttore di Lighthouse Reports
Due inchieste simbolo
«Se ognuno di noi potesse avere una testimonianza imparziale di ciò che accade in certi luoghi, il mondo ora sarebbe un posto migliore – racconta Klaas van Dijken, direttore di Lighthouse Reports – . Si tratta, però, di un’utopia: per questo cerco di diventare io un mezzo per raccontare ciò che avviene in determinate aree. Il nostro lavoro può fare la differenza». Sudan, Siria e Yemen: questi sono solo alcuni dei luoghi finiti sotto la lente d’ingrandimento del giornalista. Un ideale, quello di Klaas van Dijken, supportato da Daniel Howden, collega e managing director di Lighthouse Reports: «Il giornalismo investigativo ha un chiaro obiettivo: svelare le verità nascoste alla collettività. Questo tipo di informazione ha un cugino: il giornalismo esplicativo. È fondamentale scoprire i fatti, ma anche far capire ai lettori ciò che accade». Howden, con il supporto dei suoi colleghi, ha messo un punto definitivo a una delle peggiori tragedie avvenute in Messico: l’incendio del 2023 in cui sono morte 40 persone nel centro di detenzione per migranti a Ciudad Juárez. Un’indagine che ha dato una risposta ai parenti delle vittime, smentendo le versioni ufficiali rilasciate dalle istituzioni. In questo caso, la redazione ha collaborato con La Verdad in Messico e con El Paso Matters negli Stati Uniti. Un progetto, quello del gruppo, che ha richiesto l’analisi di oltre 16 ore di filmati provenienti dall’interno del centro e l’utilizzo di preziosi materiali audio inediti. La ricerca della squadra, però, non si è fermata qui: utilizzando queste fonti, infatti, sono riusciti a creare un modello 3D della struttura per ricostruire in maniera precisa e dettagliata le dinamiche dell’accaduto e che cosa non ha funzionato.
E un altro progetto ha avuto come protagonista l’Italia. Il nostro Paese – secondo un’inchiesta co-pubblicata da Bellincat, Il Fatto Quotidiano, La Stampa, Osservatorio Diritti, Irpi e Presa Diretta – venderebbe un ampio quantitativo di armi al Turkmenistan, una delle aree più oppressive al mondo. L’indagine ha sfruttato diversi mezzi: dalla ricerca e analisi dei social media, fino all’utilizzo della geolocalizzazione e cronolocalizzazione per scovare possibili violazioni normative ed europee che regolano la vendita di armi. Inoltre, il team incaricato del progetto ha seguito un corso di formazione a Brescia per raggiungere un grado di conoscenze avanzato sulla materia, sviluppando lo spirito critico necessario per affrontare un caso così delicato. I metodi dei giornalisti, dunque, variano da caso a caso, ma gli strumenti tecnologici più moderni e la consapevolezza assoluta in merito al tema trattato sono sicuramente un mezzo fondamentale per rintracciare la verità nei contesti più opachi.
Non arrivare prima di altri ma meglio
Lighthouse Reports si discosta profondamente dalle logiche dell’informazione di stampo generalista: si tratta, infatti, di un prodotto giornalistico che non punta a battere la concorrenza arrivando per primo, ma che necessita di tempo, costanza e tanta pazienza. «Le nostre indagini, a partire dalla loro ideazione fino alla loro pubblicazione, richiedono dai quattro agli otto mesi. La nostra ricerca più lunga, però, è durata quasi due anni», racconta Daniel Howden. Quello di Lighthouse Reports è un tipo di giornalismo lento che mira al cuore della notizia, dipanando la matassa di intrighi e sotterfugi che rende un tema invisibile ai più. E garantire un equilibrio tra media differenti che collaborano è sicuramente una delle parti più complesse del lavoro: «Quando funziona è pazzesco, ma far cooperare i vari professionisti non è semplice: ogni giornalista ha i propri obiettivi e la propria storia», spiega Klaas van Dijken.
Difficoltà e minacce
Il rischio di subire minacce quando si valicano i confini del non detto è dietro l’angolo. E le intimidazioni assumono contorni differenti in base alle tracce che si stanno seguendo: «Molte volte sono degli avvertimenti comunicati da terze parti: mi hanno consigliato caldamente di smettere di indagare o evitare di cercare informazioni in determinati luoghi – spiega Daniel Howden -. In passato, soprattutto nelle aree di guerra, ho ricevuto minacce “fisiche”. A diversi membri della redazione, invece, sono stati inviati messaggi anonimi sui social».
I racconti affrontati dai giornalisti di Lighthouse rimangono impressi nella loro memoria: svelare il non detto, i segreti oscuri che i Paesi custodiscono nella loro più profonda riservatezza, cambia le loro prospettive. Il ruolo della Grecia nel naufragio di Pylos e gli algoritmi illegali utilizzati dai Paesi Bassi per valutare chi richiede il visto: queste sono solo alcune delle indagini svolte da Lighthouse Reports. «La guerra civile in Costa d’Avorio, il disastro della centrale nucleare di Fukushima e il Watergate greco sono solo alcune delle vicende che più mi hanno scioccato», racconta Howden.
Modelli di sostenibilità
Le difficoltà per Lighthouse Reports riguardano anche la capacità di sostenersi economicamente. «Quando nel 2019 è nato il nostro progetto eravamo in tre, ora siamo in 30. Per noi è ancora fondamentale essere indipendenti dalle istituzioni», spiega Klaas van Dijken. La squadra è formata da trenta giornalisti che hanno scelto di rinunciare alle sovvenzioni statali con un chiaro obiettivo: garantirsi la completa indipendenza dalle istituzioni e diventare un simbolo di trasparenza e affidabilità per i lettori. In un momento storico in cui la fiducia nei confronti del giornalismo mainstream sta vivendo una battuta d’arresto, una presa di posizione di questo tipo può attrarre gli utenti più diffidenti. Lighthouse si finanzia con le donazioni e per questo, spiega Daniel Howden, «la raccolta fondi è un’attività imprescindibile per il nostro sostentamento».
Dal 2019 questa redazione può essere definita un valido esperimento per creare un nuovo modello di giornalismo in cui le capacità, le culture e gli obiettivi di giornalisti differenti s’intrecciano per offrire nuove chiavi di lettura agli utenti. Lighthouse Reports ha alcuni tratti peculiari che lo rendono un progetto da tenere sott’occhio: la scelta di trattare temi fortemente polarizzanti per la stampa nazionale, come le migrazioni o il cambiamento climatico, scegliendo di utilizzare medium differenti, come il podcast, la stampa online e le produzioni documentaristiche. Un lavoro che non è passato inosservato al pubblico e alle testate mainstream: le indagini del gruppo hanno raggiunto più di 30milioni di persone, grazie al supporto di 100 media partners. Il futuro di Lighthouse Reports è un’incognita, ma di una cosa Daniel Howden è certo: «Vogliamo rendere le nostre risorse sempre più accessibili ai giornalisti che indagano sulle storie più complesse e che lavorano nelle aree più difficili del mondo».