Pubblichiamo l’editoriale del nuovo numero di Tabloid, la rivista trimestrale dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia dedicata ai temi dell’informazione. È stato scritto prima che sapessimo del sequestro di Cecilia Sala, la giornalista de il Foglio e di Chora Media detenuta dal 19 dicembre nel carcere iraniano di Evin, senza accuse. È un numero dedicato alla libertà di informazione.
In una società che si basi su un’equa divisione dei poteri e sull’equilibrio tra i poteri stessi, il giornalismo è qualcosa in più di uno di questi poteri. È la forma più lungimirante di manutenzione della società. Lo diciamo a costo di ripartire dalle basi: La democrazia muore nell’oscurità, come è scritto su una testata tra le più note al mondo. Celebre anche per avere fatto dimettere un presidente bugiardo -Tricky Dicky Nixon – in tempi che agli Stati Uniti sembravano i più cupi.
Accendere luci nell’oscurità sembra oggi e più che mai il destino del giornalismo, non solo per il Washington Post e nell’America di Trump. Il giornalismo deve farlo per salvare innanzitutto se stesso da chi vorrebbe fosse più docile del necessario. Poteri pubblici e privati ostici ai controlli, insofferenti a ogni verifica sui fatti e propensi a propagarne di «alternativi» (pagina 112) per narcotizzare il dibattito pubblico. Poteri che gestiscono l’informazione del servizio pubblico come il cortile di casa propria e usano l’espressione «investitura popolare» – mantra di ogni populismo – per collocare il proprio mandato politico oltre il perimetro della critica.
Nel biennio 2022-2024 sono state registrate 250 segnalazioni di minacce e intimidazioni nei confronti dei media italiani, in aumento rispetto alle 74 del biennio precedente (a pagina 16). Un quarto di esse proviene da pubblici ufficiali o membri del governo. È un cambio di passo, un salto di scala nell’eterno confronto tra libera informazione e poteri pubblici. Forse fatichiamo a vederlo. Siamo pronti e concordi nel condannare la censura a una nostra (brava) giornalista (a pagina 7) se a farlo è uno Stato straniero che giustamente definiamo regime, marciamo divisi e discordi, nella nostra stessa categoria, quando a essere minacciati o censurati sono colleghi di casa nostra. Siamo coraggiosi o inerti a fasi alterne. Il rischio è quello della rana che finì bollita per non essersi accorta che qualcuno alzava un grado alla volta la temperatura in cui l’aveva immersa.
È per questo che abbiamo deciso di dedicare la copertina e il corpo centrale di questo numero di Tabloid al tema della libertà di informazione. Non per urlare alla censura (non serve), ma per dirci che la sentiamo quest’acqua. Non è però il caso di limitarci alla diagnosi. Ci sono forme di terapia per la narcosi indotta dal potere, di difesa dalla rassegnazione e dal pessimismo. Ci sono esperienze di giornalismo coraggioso (il caso Backstairs, a pagina 47) e di modelli stranieri a cui ispirarsi (BBC Eye e Al Jazeera international, a pagina 52; Lighthouse, a pagina 99). Ci sono anche questioni da affrontare con più forza al nostro interno, come quella di genere (a pagina 28) e confronti su cosa sia la libera informazione in zone di conflitto (a pagina 104).
Poi ci sono le cose che proviamo a fare qui, insieme. L’Ordine della Lombardia ha avviato un servizio di consulenza legale contro le Slapp (Strategic Lawsuits Against Public Participation), le querele temerarie. Ha fatto nascere una fondazione per la cultura giornalistica (a pagina 82) che farà ricerca su ciò che promuove o minaccia la nostra professione. E sta investendo sempre di più sulla formazione, anche su scala internazionale (a pagina 84). Perché in epoche di possibili, incombenti oscurità non c’è che fare meglio, con più competenza, cura e precisione ciò che va fatto.