Cecilia Sala, giornalista de Il Foglio e di Chora Media, è stata sequestrata il 19 dicembre a Teheran ed è attualmente detenuta nel carcere di Evin. Non si conoscono i motivi nella sua incarcerazione. Semplicemente perché non ce ne sono. Cecilia, giornalista esperta, stava facendo semplicemente il proprio lavoro. È per questo che la sua vicenda riguarda non solo noi professionisti dell’informazione ma tutti, semplicemente per il fatto di essere cittadini di un Paese democratico. Far tacere le voci di chi fa informazione è da sempre ciò che caratterizza un regime.
Le intimidazioni ai giornalisti sono in aumento in tutto il mondo. Ma, come è comprensibile, ce ne accorgiamo soprattutto quando a pagare un prezzo sono giornaliste e giornalisti vicini a noi, come prima di Sala è avvenuto a Stefania Battistini, inviata del Tg1, su cui pende una minaccia di arresto da parte di un cosiddetto tribunale di Mosca. Anche in questo caso nessuna accusa, se non quella di avere documentato la controffensiva ucraina dei mesi scorsi.
Comprendiamo il punto di vista del ministro alla Difesa Guido Crosetto, quando dichiara che «le trattative con l’Iran non si risolvono, purtroppo, con il coinvolgimento dell’opinione pubblica occidentale e con la forza dello sdegno popolare ma solo con un’azione politica e diplomatica di alto livello». Tuttavia pensiamo che servano anche forme di autodifesa, dal basso. Forme non di sdegno ma di azione, contro la narcosi indotta dal potere, e di difesa dalla censura. Forme di «autodifesa collettiva», condivisa tra giornalisti e cittadini che hanno a cuore l’informazione libera. Un esempio: il MFRR (Media Freedom Rapid Response), il progetto cofinanziato dalla Commissione Europea che monitora in un database online quotidianamente aggiornato le violazioni della libertà di stampa a danno dei media negli Stati dell’Unione e nei paesi candidati. Un progetto a cui possono partecipare tutti.
L’ultimo Report of Media Freedom di MFFR aggiornato a giugno 2024 ha raccolto 474 segnalazioni che hanno coinvolto 748 giornalisti. In un caso su cinque si è trattato di intimidazioni e minacce fisiche e verbali (92 segnalazioni, il 19,4%). Subito dietro c’è il «blocco dell’attività giornalistica» (16,9%), che può consistere nell’ostacolare la possibilità di essere sui luoghi chiave, l’accesso alle informazioni, la distribuzione dei contenuti giornalistici. Questo tipo di censura ha registrato un aumento: nei primi 6 mesi del 2024 sono già stati registrati più casi (80) rispetto all’intero anno passato (76).
Il sequestro di Cecilia Sala riguarda tutti noi anche per questi numeri.