Decisione del 21 febbraio 2024. Procedimento numero 7/22. Consiglio di Disciplina Territoriale composto da: Fabio Benati (Presidente); Paolo Della Sala (relatore); Laura Silvia Battaglia (Consigliere).
Fatto
Con una segnalazione del 5 febbraio 2022 veniva segnalata la possibile violazione di norme deontologiche a seguito della pubblicazione di 4 articoli pubblicati sui siti online di testate a diffusione nazionale. Si doleva l’esponente del fatto che su tali testate online la vicenda giudiziaria di cui egli era protagonista in qualità di indagato fosse stata riportata con aspetti di falsità “surreale”. In particolare riferiva che gli articoli narravano del suo coinvolgimento in una possibile frode fiscale riferendo, tuttavia, che lui, nella qualità di avvocato del presunto evasore, lo avrebbe poi truffato appropriandosi di parte dei beni (il cliente, nel frattempo, è deceduto). L’esponente precisava che tutto ciò non era minimamente ricavabile dal comunicato stampa emesso dalla locale procura della Repubblica. Il Consiglio chiedeva, quindi, che venisse messo a disposizione il comunicato in questione e, nel giro di pochi giorni, l’esponente lo metteva a disposizione.
Si chiedevano, quindi, chiarimenti ai direttori delle testate coinvolti. In particolare, uno dei direttori inviava una articolata risposta (pervenuta il 19 giugno 2023) che faceva riferimento ad allegati di sicuro interesse ai fini della valutazione da parte del Consiglio ma che, tuttavia e per evidente dimenticanza, non erano stato acclusi alla memoria difensiva.
Sollecitato, l’iscritto ha trasmesso quanto richiesto e, in particolare, copia del decreto di archiviazione a favore dell’esponente in relazione alla imputazione di appropriazione indebita.
Motivazione
Il Collegio, pur con le precisazioni che seguono, ritiene che non vi siano chiari estremi per l’apertura di un procedimento disciplinare.
Ciò che emerge con chiarezza dal principale elemento documentale raccolto in istruttoria (decreto di archiviazione del 24 ottobre 2022) è che l’esponente, al momento della pubblicazione degli articoli era effettivamente indagato per il reato di appropriazione indebita in danno del proprio cliente. Per questo motivo la notizia – per come esposta nell’articolo incriminato – non contiene elementi di falsità tali da integrare una possibile violazione di carattere deontologico. Va premesso che l’argomento secondo cui sarebbe stata ripresa la notizia pubblicata da altro primario organo di informazione è del tutto privo di fondamento: come più volte precisato «ai fini del corretto esercizio del diritto di cronaca, il giornalista non può utilizzare come fonte informativa dei propri articoli le notizie pubblicate da altre testate senza sottoporle ad una attenta verifica» (Cons. Disc. Naz. n. 23/21).
Ciò premesso l’articolo in questione ha riportato, quindi, una notizia “vera”, se pure con un “nomen juris” non sempre preciso (truffa al posto di appropriazione indebita): cioè che l’esponente fosse indagato per essersi appropriato di fondi appartenuti ad un cliente deceduto. In tal senso, per la verità, non sfugge che il comunicato stampa della procura non abbia fatto riferimento a questa ipotesi di reato (si fa riferimento ai soli reati fiscali ed all’autoriciclaggio) ma è altrettanto evidente che la fonte dell’informazione – per come si può arguire vista l’effettiva esistenza di un procedimento per reati contro il patrimonio in danno del defunto – non può che essere stata affidabile agli occhi del cronista e, per così dire, primaria.
Ci si trovava, infatti, in una fase di indagini preliminari e all’esito di un sequestro preventivo appena eseguito: quindi in un contesto in cui i soggetti a conoscenza della questione processuale erano necessariamente pochi e qualificati. Sul punto non può che richiamarsi il principio secondo cui l’affidamento ad una fonte primaria e qualificata scrimina il giornalista quantomeno sotto il profilo della putatività della notizia. In questo senso, quindi, pur se in presenza di sbavature lessicali, la doglianza dell’esponente è superata dall’esercizio del diritto di cronaca.
Si invita, ad ogni modo, ad un utilizzo prudente e calibrato dei termini impiegati durante la fase delle indagini preliminari, soprattutto nella titolazione posto che non è deontologicamente impeccabile dare per scontata la responsabilità di un soggetto (anche se nel testo dell’articolo il fatto viene esposto correttamente). In particolare non va dimenticato che l’art. 8 lett. a) del Testo Unico impone il rispetto del diritto alla presunzione di non colpevolezza e che, in questo senso, il contesto complessivo (titolo, occhiello, articolo) lascia spazio a qualche perplessità.
Si rammenta, soprattutto a chi dirige i siti online, che le dinamiche di attrazione del lettore non possono e non devono prevalere sul rispetto dei beni primari dei soggetti coinvolti. Ugualmente, la pronta rimozione dell’articolo dal sito e la sostanziale adeguatezza dei contenuti esposti (nel testo dell’articolo) riducono l’impatto inappropriato del titolo e, conseguentemente, attenuano la lesione del bene giuridico tutelato: la vicenda oggetto del procedimento, pur se formalmente idonea ad integrare la violazione dei principi deontologici di cui all’art. 8 lett. a) del Testo Unico dei doveri del giornalistaappare, nella sostanza, priva di una sufficiente offensività rispetto al bene giuridico che la norma violata in astratto intenderebbe tutelare. Come è noto, il principio di offensività opera (principalmente) su due piani, quello della previsione normativa che invita il legislatore a prevedere fattispecie che in astratto configurino condotte a contenuto lesivo e quello della applicazione giurisprudenziale (c.d. offensività in concreto) che ne rappresenta la componente di interpretazione e applicazione secondo, peraltro, canoni anche di tipo evolutivo.
E’ opinione di questo Consiglio che la sottoposizione a procedimento disciplinare debba concernere quei fatti e quelle condotte che, sia pure nella gradualità delle sanzioni applicabili, contengano un livello di disvalore oggettivo e incontestabile e ciò anche in adesione alla condivisibile impostazione che considera meritevole di procedimento e di sanzione solo ciò che abbia leso un bene giuridico con incontestabile evidenza.
Tenuto, altresì, conto della complessità della professione di giornalista e della molteplicità di doveri (anche deontologici) ad essa correlati, appare anche ragionevole evitare l’impatto del procedimento disciplinare in quei casi che presentino caratteri di illiceità non univoci o comunque, tenuto conto del contesto, di gravità contenuta anche ipotizzando la minima sanzione applicabile. Ciò si scrive al fine di sottolineare la inutilità di una contestazione con conseguente fase istruttoria e decisionale poiché in termini prognostici il fatto, per come ipotizzato, non raggiungerebbe un giudizio di sufficiente offensività. Non va, infine, dimenticato che nella necessaria esigenza di bilanciare gli interessi in gioco, l’afflizione che deriva agli incolpati dall’essere sottoposti a un procedimento disciplinare (posto che ogni procedimento è in sé afflittivo) merita di essere inflitta nei soli casi in cui la lesione del bene giuridico tutelato dalla norma si presenta concreta e indiscutibile, sia pure, come detto, all’interno di parametri di gradualità sanzionatoria che, di volta in volta, perimetrano la gravità di una condotta da un grado minimo ad uno massimo. Anche alla luce di tale bilanciamento, la vicenda sottoposta al giudizio del Consiglio appare inidonea a giustificare la instaurazione di un procedimento.
Decisione
Questo Consiglio di Disciplina Territoriale dispone il non luogo a procedere nel procedimento a carico del direttore della testata, non ravvisando alcun elemento che possa ipotizzare una violazione delle norme che attengono alla professione giornalistica.