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Tutte le mattine prendo il treno da Domodossola e scendo a Cadorna. Da lì, un filo rosso mi porta diretta a Sesto Marelli. Il viaggio in metro taglia da ovest a est la città, passando per la calca del Duomo, fino alla desolazione di Villa San Giovanni.Lungo il tragitto leggo il Corriere, così ci hanno consigliato, per arrivare a scuola sapendo già cosa compare sulle pagine del giornale. Tendere a sapere il più possibile è il mantra per capire di non sapere mai abbastanza. La Walter Tobagi è un posto che oltre ad accrescere la mia cultura, fomenta il senso di colpa per non conoscere mai quanto dovrei o vorrei. In classe siamo 30. In aula c’è l’Italia. C’è Laura da Napoli, Roberta da Roma, Giorgia da Pescara, Giacomo da Livorno, Lucio di Bari. E poi c’è Riccardo che ha studiato lettere, Emanuela che a l’Aia ha lavorato alla Corte penale internazionale, oppure, Andrea che a Madrid descriveva prodotti per Privalia.Nell’emeroteca si respira un’aria strana, forse per le finestre chiuse ermeticamente o forse perché 30 persone, con storie diverse e vite diverse, creano un equilibrio precario e bello, stimolante e pauroso.I giorni e le settimane sono scandite dall’aura di novità che ricompre un po’ tutto. Il lunedì per esempio, arriviamo alle nove per la rassegna stampa di Rastelli, che si destreggia con naturalezza tra un titolo e un trafiletto. Il mercoledì invece c’è Postiglione, sempre appoggiato alla finestra, che ci parla per ore senza quasi mai mutare il tono della voce «Qui non si fanno le chiacchiere da bar», ci ha detto in una delle prime lezioni. E così è stato, da ottobre abbiamo sentito uscire dalla sua bocca gli argomenti più disparati, dalla storia americana a quella del piccolo paesino di Cirigliano, dalla critica letteraria a quella culinaria. Il venerdì fa da padrone Saldutti, che dopo averci interrogato sui BTP e iniziati alla finanza, non manca di insegnarci come interagire con i colleghi, con il suo piglio napoletano, romantico e saggio. La Walter Tobagi è un posto sicuro, per noi 30 fortunati che possiamo risolvere ogni dubbio chiedendo a Lindner, prima di buttarci tra la calca della prima rassegna stampa. Cella invece, parla una lingua che mastichiamo dalla nascita, ma che a tratti ci spaventa perché, come di ogni lingua, non conosciamo ogni parola. Cavalera con severità e dolcezza ci spiega la deontologia, che non va solo capita, mentre Casoli, con tutt’altro tono, ci insegna a osservare prima di rendere pubblico ciò che vediamo, un controsenso dei nostri tempi.La scuola di giornalismo per me, è prima di tutto un esercizio di ascolto e funziona come la bottega degli artisti, nel rinascimento fiorentino: maestri d’esperienza senza egoismi ci svelano tutti i giorni, i trucchi del mestiere, per tramandarlo nel migliore dei modi.Per concludere, quindi, cosa è per me la Walter Tobagi? È la lunga lista di critiche che ogni volta appunto nella mia Moleskine, nella pagina titolata Mangiare Sabbia. «Avete il lusso di sbagliare qui», ci hanno detto, ed io questo, l’ho preso alla lettera.
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