Como, Biblioteca intitolata a Borsellino. La figlia del magistrato, Fiammetta: “Ricerca della verità, un dovere di tutti”. Galimberti: “Più inchieste giornalistiche ma contro la mafia ci vuole vigilanza diffusa e coerenza nei comportamenti”

“La ricerca della verità è un dovere per tutti.  La ricerca della verità su questa come su tutte le altre stragi avvenute in Italia. E’ innegabile che nel caso delle indagini sulla strage nella quale ha perso la vita mio padre ci sono stati palesi depistaggi, volute ingenuità e calcolate superficialità. Ho massima fiducia nelle istituzioni. Per questo dico e ripeto che la ricerca della verità è e rimane un dovere per i magistrati, per le forze dell’ordine, per i giornalisti”: queste le parole di Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato Paolo Borsellino, questa mattina a Como. Intervistata dal presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, Alessandro Galimberti in occasione dell’evento “ Pizzo contro pizzo: cronache di mafia e deontologia dei giornalisti. Dialoghi con la figlia di Paolo Borsellino”, nella sala conferenze della Biblioteca di Como intitolata al magistrato ucciso dalla mafia il 19 luglio 1992 in via Mariano D’Amelio, a Palermo, alla presenza delle autorità, di numerosi sindaci del Comasco c’era un folto pubblico di studenti e di giornalisti. Fiammetta Borsellino ha esortato i cronisti a non fermarsi ai resoconti ufficiali e a contribuire, con il loro lavoro, alla ricerca della verità”. “Non farò la difesa d’ufficio della categoria – ha sottolineato Galimberti – sono d’accordo nel dire che le inchieste giornalistiche possono e devono contribuire alla ricerca della verità.
Tutti abbiamo sentire sulle nostre spalle il dovere e la responsabilità della lotta contro la mafia che non si risolve certo nell’idolatria dei professionisti dell’antimafia mediatica – ha continuato Galimberti – La penetrazione mafiosa nella società si manifesta anche offrendo “servizi” alle imprese per poi impossessarsi dell’economia locale. E’ necessario sviluppare una diffusa cultura della legalità e rifiutare, respingere invece la cultura dei piccoli favori, degli “aiutini” che diventano poi trappole che fanno scivolare le imprese nelle mani dei mafiosi”. “La morte di mio padre – ha continuato – arrivò al culmine dell’odio della compagine mafiosa contro coloro che combattevano l’illegalità. Mio padre cercò sempre la verità ma dopo la sua morte questa ricerca non è stata perseguita”. “Tutti sapevano e mio padre stesso si definì un morto che camminava – racconta Borsellino- nulla fu fatto per tutelare la sua incolumità. Dietro questa inerzia ci sono stati solo trasferimenti e nessuna defezione, e molti testimoni chiave non furono sentiti al processo. “Dopo la strage – ha rimarcato Fiammetta Borsellino – ci sono state attività depistatorie che hanno allontanato dalla verità. Venne formata una Procura inadeguata e le Istituzioni non potevano esserne all’oscuro. Le indagini furono affidate a Tinebra, appartenente alla massoneria e a magistrati alle prime armi. Abbiamo rispettosamente aspettato quasi 27 anni, e ancora non abbiamo avuto tutte le risposte. La verità sulla morte di mio padre è un atto dovuto da parte delle Istituzioni”. All’evento è intervenuto anche il direttore generale della Direzione investigativa antimafia (Dia) di Roma, il generale dei carabinieri Giuseppe Governale, che ha illustrato lo spaccato attuale dell’attività mafiosa all’interno della quale la ‘ndrangheta sta giocando un ruolo preminente di controllo del territorio. Durante l’evento, i locali della Biblioteca di Como hanno anche ospitato una mostra allestita dagli studenti dell’Istituto setificio Paolo Carcano di Como, alcuni dei quali hanno poi rivolto alcune domande a Fiammetta Borsellino. Le istituzioni, presenti all’evento, erano rappresentate dal sottosegretario di Stato Nicola Molteni, il sindaco Mario Landriscina, gli onorevoli Alessio Butti, Chiara Braga e Alessandra Locatelli, il direttore generale della Direzione Investigativa Antimafia Giuseppe Governale, il presidente del Consiglio Regionale Alessandro Fermi, il Prefetto Ignazio Coccia, il Procuratore della Repubblica Nicola Piacente, Benedetto Madonia, direttore del Centro Studi Sociali contro le mafie-progetto San Francesco che ha promosso il progetto e molti altri rappresentanti delle istituzioni, delle Forze dell’Ordine e rappresentati della società civile e delle associazioni locali. Al termine del dibattito Benedetto Madonia e Claudio Ramaccini hanno consegnato a Fiammetta Borsellino il riconoscimento “Pizzo contro Pizzo”, seguito dall’omaggio floreale del sindaco Landriscina.

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