La lunga inchiesta sugli “inquinanti eterni”

Il lavoro del Forever lobbying project sugli Pfas, gli inquinanti eterni: 14.000 documenti analizzati in un anno di lavoro da una cinquantina di giornalisti in 29 redazioni europee. Metodo, obiettivi e problemi descritti da chi ha fatto parte del team

Questo articolo è parte di  Tabloid Project, il magazine multimediale dell’OgL  

di Marta Frigerio


Le aziende e le associazioni di categoria di alcuni comparti stanno facendo pressione su politici e istituzioni europee per allentare le restrizioni sull’uso dei PFAS (Perfluorinated alkylated substances), una famiglia di composti chimici sintetici usati in alcuni settori industriali e definiti anche inquinanti eterni. Per farlo, stanno facendo ricorso a tecniche e argomentazioni che ricalcano quelle usate dall’industria del tabacco.
Per scoprirlo, sono stati necessari gli sforzi di 46 giornalisti di 29 redazioni provenienti da 16 paesi europei. E un pool di 18 esperti. 
Il Forever Lobbying Project – pubblicato lo scorso gennaio – rappresenta un esempio unico nel panorama del giornalismo cross-border europeo, non solo per il numero di giornalisti coinvolti
L’inchiesta, alla quale ho partecipato insieme ad altri cinque colleghi italiani, ha svelato l’intensa attività di lobbying che si svolge nei corridoi di Bruxelles. Tra i principali risultati, inoltre, c’è la creazione della più vasta collezione al mondo di documenti sugli “inquinanti eterni”: ben 14.331 atti, ora accessibili a attivisti, ricercatori e giornalisti.



Come nasce un’inchiesta di questo tipo
Il Forever Lobbying Project nasce come continuazione di un altro importante progetto di giornalismo transnazionale, il Forever Pollution Project, che, nel febbraio 2023, ha prodotto la prima mappa europea dell’inquinamento da PFAS. I cosiddetti “forever chemicals” sono un tema di grande attualità: cinque Stati europei ne hanno chiesto il bando, l’industria li difende, ritenendoli indispensabili per numerosi settori economici, mentre la scienza mette in guardia sugli effetti dannosi sulla salute. 
Il punto di partenza della nostra indagine è stata questa triangolazione, con l’obiettivo di svelare la reale portata della campagna di lobbying orchestrata a Bruxelles da esponenti dell’industria e politici di alto livello.

(copyright Ansa)

Come pianificare e coordinare il lavoro
Prima di tutto, servono le prove: bisogna ottenere i documenti e gli scambi di mail che attestano gli incontri e capire come le istituzioni stanno rispondendo alle richieste e alle pressioni di aziende e associazioni di categoria. Per mesi, il team ha esaminato le principali argomentazioni di lobbying portate avanti dai produttori di plastica e altri attori dell’industria dei PFAS, tutti impegnati a fare pressione per ottenere una deroga.
In questa fase, una squadra di giornalisti – tra cui io – ha lavorato per raccogliere, catalogare e analizzare gli argomenti con un approccio che unisce competenze accademiche e metodologia investigativa. Ci siamo concentrati sulla componente più sociologica dell’indagine, selezionando 1.178 argomentazioni di lobbying da una raccolta di 8.189 documenti. Le abbiamo quindi sottoposte a un “stress test”, un’analisi approfondita per verificare la veridicità delle affermazioni.
Un gran numero di questi materiali è stata ottenuta  tramite richieste di accesso agli atti (FOI), mentre altri importanti documenti sono stati condivisi con il consorzio da Corporate European Observatory.
Parallelamente, altre due squadre si sono occupate degli altri due filoni dell’inchiesta: una ha lavorato sulla stima dei costi di bonifica, mentre l’altra ha raccolto e classificato documenti storici per dimostrare come l’industria fosse consapevole, da decenni, dei danni causati da questi composti chimici.

Strumenti, tecniche e finanziamenti: ciò che serve per il progetto
Per realizzare il progetto sono stati impiegati i metodi tipici del giornalismo d’inchiesta: raccolta e analisi dei documenti, esame di database e interviste. Un ruolo centrale è stato svolto dalle richieste FOIA (su questo punto torneremo più avanti). 
Ogni due settimane ci incontravamo online per monitorare l’andamento del progetto, con riunioni settimanali, mano a mano che la data di pubblicazione si avvicinava. 
Ciascuna fase del lavoro veniva annotata in un (grande) file condiviso, che teneva traccia dello sviluppo dell’inchiesta e che, alla fine, sarebbe diventato la bozza di partenza per la stesura degli articoli. Particolare attenzione è stata prestata alla sicurezza delle comunicazioni: un’accortezza fondamentale per proteggere le fonti e garantire la riservatezza delle informazioni ottenute durante i mesi di lavoro.

I risultati dell’inchiesta

I PFAS (sostanze per- e polifluoroalchiliche) sono un gruppo di circa diecimila composti chimici, ampiamente usati in numerosi prodotti industriali e di consumo, dalle padelle antiaderenti agli abiti, fino ai cosmetici e ai farmaci. Queste molecole, note per la loro resistenza e durevolezza, sono diventate fondamentali per molte industrie, ma il loro impatto sulla salute umana non è ancora del tutto chiaro. Tuttavia, è ormai confermato che l’accumulo di PFAS nell’organismo è associato a disturbi endocrini, malattie cardiovascolari e alcuni tipi di cancro. L’inchiesta realizzata dal Forever Lobbying Project ha rivelato i costi enormi che i cittadini europei dovranno sostenere per rimediare alla contaminazione da PFAS: solo in Italia, la bonifica delle emissioni passate richiederebbe 391 milioni di euro all’anno per vent’anni. Se invece le emissioni dovessero continuare senza un divieto, la spesa annuale potrebbe raggiungere i 10 miliardi di euro l’anno
Inoltre, l’indagine ha smascherato le principali argomentazioni usate dai lobbisti del settore, dimostrando che molte di esse sono fuorvianti, allarmistiche o persino false. L’analisi delle tecniche di lobbying impiegate ha messo in evidenza analogie con le strategie già utilizzate per difendere prodotti dannosi come il tabacco, i combustibili fossili e altre sostanze chimiche. Il team di giornalisti coinvolti nell’inchiesta ha anche raccolto oltre 14.000 documenti sui PFAS: si tratta della più ampia raccolta di documenti mai realizzata sull’argomento. La documentazione – disponibile al pubblico e riutilizzabile da attivisti, ricercatori e anche da colleghi giornalisti – è consultabile nell’Industry Documents Library dell’Università della California di San Francisco, già celebre per ospitare i Tobacco Papers, e nel database Toxic Docs della Columbia University e della City University di New York. 


Un’inchiesta che dura più di un anno richiede finanziamenti significativi, che difficilmente le redazioni riescono a coprire da sole. 
Il team del Forever Lobbying Project era composto da giornalisti con diverse esperienze, tra cui freelance e redattori di testate internazionali. 
In questo caso, il progetto è stato finanziato dal Pulitzer Center, dalla Broad Reach Foundation, da Journalismfund e da IJ4EU con fondi destinati a supportare il lavoro dei freelance coinvolti.

Collaborazione, non competizione
Lavorare a un progetto giornalistico lungo e complesso è come correre una maratona: richiede costanza, disciplina e metodo, non solo giornalistico. I risultati potrebbero tardare ad arrivare o non essere quelli sperati; in ogni caso è fondamentale evitare di procrastinare. Specialmente nelle fasi iniziali, quando il tempo sembra abbondante e le scadenze ancora lontane, rimandare può creare ritardi che ricadono su tutto il gruppo, soprattutto quando per andare avanti servono dati, documenti o interviste raccolti da altri membri del team.
Nel nostro caso, tutti i documenti e le interviste raccolte sono stati condivisi in tempo reale, permettendo ai membri del consorzio di lavorare come una vera, grande redazione. 
Condividere il proprio lavoro, le interviste fatte e i documenti raccolti con colleghi che, fino a pochi mesi prima, erano nuovi o sconosciuti richiede una grande dose di fiducia. E non è affatto scontato né immediato.
Tuttavia, progetti di questo tipo dimostrano che il futuro – e il presente – del giornalismo, spesso visto come un mestiere solitario, si basa più sulla collaborazione che sulla competizione

Le sfide e le difficoltà di una redazione europea
Progetti transnazionali come il Forever Lobbying Project mettono però in luce anche le difficoltà che i giornalisti di diversi paesi europei si trovano ad affrontare, a partire dalle disparità di mezzi e risorse.

Un esempio unico di collaborazione 

Il Forever Lobbying Project si basa su un innovativo modello di giornalismo “peer reviewed”, già testato nella prima fase dell’inchiesta, un metodo, ancora poco diffuso in Italia. Durante tutto il lavoro investigativo, i giornalisti sono stati supportati da un team internazionale composto da 18 ricercatori, esperti e avvocati.

Il principio alla base di questo modello è produrre articoli di alta qualità, combinando il rigore dell’inchiesta giornalistica con le competenze degli esperti e i metodi dell’accademia. Il gruppo di specialisti ha lavorato a stretto contatto con i giornalisti, contribuendo alla definizione delle metodologie che hanno orientato i vari filoni dell’inchiesta.

Un contributo prezioso è arrivato anche dal celebre avvocato statunitense Robert Bilott, noto per la sua battaglia contro la contaminazione da PFAS, che ha esaminato i documenti d’archivio, fornendo una contestualizzazione storica fondamentale per indirizzare il lavoro investigativo.

Un elemento cardine della nostra inchiesta è stato l’uso delle richieste di accesso civico: sebbene queste richieste siano regolate da normative europee la loro applicazione varia molto da un paese all’altro, come abbiamo potuto sperimentare. 
In Francia, ad esempio, il quotidiano Le Monde ha presentato richieste al Ministero dell’Economia e della Transizione Ecologica, ricevendo soltanto 86 documenti, spesso incompleti o privi di verbali. 
In Italia la situazione è stata ancora più complicata: personalmente sono riuscita a ottenere appena nove documenti, un numero esiguo se confrontato con i 3.583 raccolti complessivamente nell’indagine.
Queste differenze evidenziano non solo la difficoltà di accedere ai dati pubblici, ma anche le disomogeneità nell’applicazione delle leggi sulla trasparenza, che in alcuni paesi ostacolano il lavoro giornalistico e minano il diritto dei cittadini a essere informati.
A questi si sommano ostacoli culturali: in Italia, ad esempio, inchieste come questa fanno ancora fatica a trovare il giusto spazio sui media tradizionali.

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