Per usarli come fonti o come vetrina del proprio lavoro giornalistico occorre sapere quali sono i più frequentati dal proprio pubblico. Una mappa
di Lino Garbellini

Questo articolo è parte di Tabloid Project, il magazine multimediale dell’OgL
Il panorama dei nuovi media su Internet è diventato sempre più complesso e frastagliato, oltre a essere un ambito sin dall’inizio accompagnato da cambiamenti repentini e mutazioni di volta in volta più frequenti, al punto d’essere diventate difficili da seguire.
Sono finiti i tempi dei social per tutti, anche se Facebook, dato per morto da molti è ancora un riferimento per gli over 40 e per tante aziende. Le nuove piattaforme strizzano sempre meno l’occhio a un pubblico mainstream e si differenziano invece grazie alle specificità dei modi di comunicare, dei tempi d’interazione e della specificità del pubblico.
Cambiano i tempi… e il giornalismo
Pur rimpiangendo l’epoca in cui a dominare l’informazione erano riviste e quotidiani cartacei con le relative modalità di lavoro, per il giornalista da qualche anno è ormai impossibile non seguire gli sviluppi dei social media nella loro complessità (senza parlare dell’ulteriore svolta dell’intelligenza artificiale).
Altrettanto impossibile, anche se rappresenta una sfida maggiore, è portare su questi strumenti parte del lavoro mantenendo inalterati metodo e deontologia.
Di pari passo con l’affermazione delle nuove piattaforme Internet, anche il ruolo del giornalista è diventato più complesso. A fianco del classico articolo, sono ormai richieste dal settore le competenze necessarie per realizzare un post, una foto da condividere, una Stories, senza dimenticare il fatto d’essere in grado di gestire una diretta streaming, una newsletter o un podcast. Un ventaglio di competenze indispensabili per continuare a essere competitivi nell’era dell’editoria in crisi.
La TV su misura, in diretta
Dopo l’arrivo di TikTok in Italia nel 2018 e il flop di Clubhouse nel periodo post Pandemia (un caso raro di social scomparso del tutto o quasi), non ci sono stati boom eclatanti di nuovi nomi nel mondo della comunicazione digitale tali da stravolgere il settore, ma piuttosto un affermarsi di tante piattaforme di nicchia (alcune già presenti in passato), tali da essere quasi ignorate dal grande pubblico, ma adatte a candidarsi a strumenti di riferimento per altri.
Twitch utilizza questo nome dal 2011, ma le sue radici come livestreaming risalgono al 2007, epoca in cui la sezione dedicata ai videogiochi si era distinta da subito per popolarità.
Twitch (fruibile anche sul televisore) è nato come uno strumento per sessioni live di videogiocatori professionisti, anche se al momento è trasversale a diversi argomenti, dallo sport ai viaggi, passando per la moda. Non stupisce quindi che gli under 20, preferiscano guardare in diretta su Twitch come affrontare un mostro nel videogioco del momento o scoprire nuovi titoli di videogame da un creator di cui si fidano, piuttosto che assistere in TV a Mara Venier che, nonostante lo scorrere del tempo, intervista l’ennesimo personaggio in voga negli anni ’80 (che nemmeno conoscono) ormai con i capelli bianchi.
Più in generale, varrebbe la pena riflettere su dove le nuove generazioni anche di trentenni s’informano e su come raggiungerli con un’informazione di qualità, visto che di sicuro non comprano i giornali, oggetti in via d’estinzione riservati ormai agli over 50 e a politici e manager di rilievo.
Il pubblico è parte del Live
Oltre che ai contenuti di qualità, Twitch deve la sua popolarità al livello d’interazione che consente, con commenti visibili a tutti sullo schermo.
La svolta per questo strumento avviene a fine agosto del 2014 quando Amazon finalizza l’acquisizione per 970 milioni di dollari. Questo passaggio facilita la monetizzazione dei propri sforzi, in linea con la Creator Economy e grazie alla sensibilità di un pubblico più giovane in grado di riconoscere il valore di un contenuto online e premiarlo con una sottoscrizione o donazione. Il tutto in maniera diversa da altre fasce d’età, basta pensare alla fatica che ancora fanno i giornali per farsi riconoscere un contributo per la lettura degli articoli sul Web.
Questa piattaforma grazie al sistema dell’abbonamento e all’interazione con Prime presenta già al suo interno (senza tool aggiuntivi e complicazioni), dei sistemi che permettono a creator, influencer o aziende di monetizzare.
Inutile dire che le dirette della lega di calcio a sette che appassiona tanto i ragazzi, la Kings League (ancora più della serie A, perché spettacolare, mediatica ed intensa), è possibile seguirle in prevalenza su Twitch.
Sempre per quanto riguarda i social media degli adolescenti, da segnalare è BeReal, anche se meno in voga rispetto a qualche mese fa. Questo social è stato creato all’insegna dell’autenticità, ormai dimenticata su Instagram, dai francesi Alexis Barreyat e Kevin Perreau nel 2020. Una volta al giorno, la piattaforma invita l’utente a scattare una foto, a quel punto lui ha 20 minuti di tempo per realizzarne una (con la videocamera frontale e quella posteriore dello smartphone), per poi pubblicarla. Il meccanismo è pensato per ritagliare un reale momento di vita vissuta dell’utente.
Twitter, la diaspora
Nonostante la resistenza del liberal Jack Dorsey, una volta arrivata la classica “offerta che non si può rifiutare”, il 27 ottobre 2022, Twitter è stato acquistato per 44 miliardi di dollari da Elon Musk. Da quel momento il social che è sempre stato il punto di riferimento per il mondo della comunicazione, il giornalismo e la politica, ha cambiato radicalmente il suo ruolo.
Il media dei cinguettii, che in Italia non ha mai preso piede del tutto, è sempre stato caratterizzato da alti e bassi in termini di popolarità e gradimento del pubblico, ma il declino mondiale degli ultimi anni, compreso il cambio del nome e del simbolo in X, è stato quasi fatale.
I tanti nomi che rappresentavano un punto di riferimento per la piattaforma, tra cui i giornalisti, hanno abbandonato X, optando per un racconto meno in tempo reale, ma più approfondito tramite Podcast o newsletter (anche grazie a piattaforme specifiche per giornalisti e scrittori come Substack). Altri sono rimasti, ma a causa anche delle scelte politiche di Musk e della decisione di filtrare in modo meno selettivo le fake news su X, l’algoritmo finisce col premiare inevitabilmente determinati tipi di contenuti, non tenendo sempre conto dell’interesse dell’utente e dell’imparzialità.
X quindi rappresenta una fonte d’informazione meno affidabile del passato, inoltre è a pagamento per la verifica del profilo e per chi decide di postare molto, le numerose alternative però non sono ancora state in grado di candidarsi al ruolo che Twitter si era ritagliato.
Alternative ai cinguettii
Ci ha provato Zuckerberg intuendo la possibilità lasciata dal vuoto delle evoluzioni di X/Twitter, forte anche del fatto che può sfruttare dati, interazioni e suggerimenti dell’ecosistema Meta per far iscrivere e spingere gli utenti a utilizzare una piattaforma come Threads.
Al momento però Threads a causa del suo stretto legame con Instagram, non sembra adatto alle comunicazioni testuali brevi e immediate che hanno reso celebre Twitter, inoltre presenta un’interfaccia e delle funzioni ancora tutte in evoluzione come il supporto per video e foto.
Bluesky, creatura a cui ha dato vita tra gli altri anche Jack Dorsey, ha il pregio d’essere la piattaforma che per quanto riguarda grafica e algoritmo è più fedele al caro vecchio Twitter, inoltre a ulteriore garanzia d’imparzialità, è basata su una filosofia decentralizzata e open source.
Mastodon invece era stata pronta ad accogliere la prima grande migrazione da Twitter, sconta però una scarsa praticità d’uso (iscrizione e utilizzo macchinosi) e il suo successo è stato in parte frenato dai tanti nomi emersi in seguito.
Chiude la carrellata della Guerra dei Cloni di Twitter Hive, più orientato ai contenuti multimediali e al mondo della musica, con una caratteristica che aveva reso celebre il suo precursore, la timeline organizzata rigorosamente in ordine cronologico.
Come sopravvivere
Per la quotidianità di tanti giornalisti, anche italiani, il cambiamento di ruolo di Twitter negli ultimi due anni ha rappresentato un problema, è diventato più complesso accedere a delle fonti che prima erano immediate.
È necessario quindi vagliare quali dei propri contatti sono rimasti comunque fedeli a Twitter e in alternativa orientarsi su un numero più ampio di piattaforme a seconda del contesto e degli argomenti, senza dimenticare i canali Telegram e WhatsApp, sempre più popolari. Non c’è più una sola strada per il giornalista sui social nel 2025, ma la fruizione e la condivisione sono sempre più personalizzati in base alle esigenze.
Linkedin in compenso, negli ultimi anni ha aumentato la propria autorevolezza in termini di contenuti e di supporto al giornalista, oltre a diventare una sorta di vetrina digitale della propria professionalità ormai irrinunciabile, è l’unico social di cui è veramente sconsigliato fare a meno, a patto di non voler dare l’immagine di un giornalista poco propenso al digitale.
Su Instagram grandissimi passi in avanti sono stati fatti dal mondo dell’informazione, sia da singoli giornalisti sia da testate, anche se la natura immediata, ispirazionale, emozionale e naturalmente visiva (legata a immagini e foto) del social, presenta grossi limiti per chi vuole fare informazione anche quando ben utilizzato. Senza dimenticare la necessità costante di realizzare post “aerodinamici” per l’algoritmo, in grado di viaggiare sulla piattaforma, a scapito della qualità.
Da non sottovalutare nemmeno TikTok che nella sua natura orientata all’intrattenimento e alla dispersione, può candidarsi comunque a una fonte d’informazione utile a patto di fare i conti con un importante fact checking.
Come dicevamo all’inizio, il panorama social 2025 ha una maggiore complessità che complica la vita del giornalista, richiede un notevole sforzo e capacità di personalizzazione, ma può offrire anche soddisfazioni, soprattutto a chi si dedica ad argomenti specifici.