È una testata digitale formata da giornalisti israeliani e gazawi e dunque è un progetto giornalistico che fa informazione sulla guerra in corso a Gaza e il conflitto mediorientale fuori dagli schemi consueti. Ecco come e perché è diventata una fonte per chi pensa che informarsi significhi conoscere prima che schierarsi
di Serena Curci

Questo articolo è parte di Tabloid Project, il magazine multimediale dell’OgL
Creare ponti tra opposti e far dialogare realtà agli antipodi è la storia di +972 Magazine, rivista online nata dalla collaborazione tra giornalisti israeliani e palestinesi. È un sito che prende forma a Tel Aviv nel 2010 come risposta alle tensioni tra Israele e Hamas del 2008 e che oggi diventa una fonte per comprendere come e perché il conflitto si sta allargando da Gaza all’Iran.

Una immagine di Gaza, oggi (Ansa)
È un progetto che si è sviluppato in origine per iniziativa di sette giornalisti: Lisa Goldman, Yuval Ben-Ami, Joseph Dana, Ami Kaufman, Dimi Reider, Dahlia Scheindlin e Noam Sheizaf. A questo team si sono aggiunti altri componenti e oggi la redazione è formata da un gruppo di redattori che si occupa di pubblicare il lavoro di analisti e reporters dal campo. Concepito come media indipendente e senza scopo di lucro, +972 ha l’obiettivo di raccontare in maniera oggettiva e scevra da pregiudizi le dinamiche del conflitto mediorientale, abbattendo preconcetti e avvicinando mondi da sempre ritenuti divergenti.
Il fine ultimo del progetto è già nel suo nome: +972, infatti, è il prefisso internazionale condiviso sia da Israele che dai territori palestinesi. Questo sito diventa, dunque, uno strumento di approfondimento in un momento in cui sono i conflitti ad avere la meglio e il mondo dei media si polarizza intorno ad essi. La collaborazione tra giornalisti israeliani e gazawi pone le basi per un dialogo in cui è la corretta informazione a essere protagonista.
«Ho iniziato a lavorare con questo team cinque anni fa: grazie a loro ho trovato uno spazio per affrontare temi complessi e molto delicati in totale libertà», spiega Meron Rapoport, giornalista israeliano che di +972 è un editorialista dopo essere stato caporedattore di Haaretz, e aver scritto per The Guardian e Middle East Eye. «Credo che + 972 stia cambiando i paradigmi classici dell’informazione. Solitamente arrivano in Medio Oriente inviati americani o europei supportati da fixers palestinesi. Il racconto, dunque, è filtrato dallo sguardo occidentale. Su questo sito, invece, la testimonianza giunge spesso da professionisti gazawi che non sono stati costretti ad abbandonare il territorio».
Buona parte dei contenuti pubblicati sul sito di +972 è scritto in lingua inglese: l’obiettivo, infatti, è quello di valicare i confini mediorientali e raggiungere una platea internazionale. «Trovo il lavoro dei giornalisti palestinesi straordinario – aggiunge Rapoport -. Sono sotto le bombe e mentre cercano di lottare per la loro vita hanno comunque voglia di stabilire un contatto con i lettori israeliani e raccontare cosa sta accadendo a Gaza».
+972 è una realtà multi-canale: dispone di un sito, di un podcast e di svariati profili social. È un magazine con una struttura orizzontale e collaborativa e ha il supporto di attivisti, giornalisti e analisti da ogni parte del mondo. Il fil rouge che unisce tutte queste figure è proteggere i diritti umani dei cittadini israeliani e palestinesi. +972 Magazine è nato come collettivo di blogger volontari, ma è rapidamente cresciuto fino a trasformarsi in un vero e proprio centro di informazione e analisi che ha permesso di studiare e raccontare con chiarezza e in maniera veritiera il complesso e travagliato rapporto tra Israele e Palestina. Nel corso degli anni la struttura di questo giornale online è profondamente mutata: è passato, infatti, da essere un semplice collettivo dotato di poche – seppur volenterose – voci a diventare un vero e proprio team di redattori che, a tempo pieno, pubblica gli articoli di un gruppo di giornalisti e analisti in costante crescita. Basti pensare che, al momento, gli autori sono ben 37, tra cui il già citato Rapoport. Il lettore, però, non è un soggetto passivo che riceve acriticamente le informazioni, anzi gioca un ruolo centrale all’interno della redazione: può segnalare storie da affrontare e temi da approfondire. Il citizen journalism – o meglio il giornalismo partecipativo dal basso – diventa una chiave per raccontare temi di portata internazionale. I lettori possono diventare a tutti gli effetti “membri” di +972, una scelta della redazione che ha un duplice obiettivo: da una parte, si tratta di uno strumento fondamentale per fare crowdfunding – gli utenti possono fare donazioni di qualsiasi importo – e garantire la sopravvivenza della testata, dall’altra è un mezzo chiave per ricevere segnalazioni da territori in cui la copertura delle notizie diventa sempre più difficile. Inoltre, i lettori che diventano membri del gruppo instaurano un rapporto diretto con la redazione: gli autori, infatti, organizzano webinar e call per ricevere feedback dagli utenti e stabilire con loro una relazione in cui lo scambio di idee è il vero protagonista.
+972 è un magazine alla costante ricerca di storie nuove, punti di vista originali e inaspettati, capaci di garantire un arricchimento per il lettore e lo sviluppo di nuove prospettive. La guerra occupa sicuramente un ruolo centrale nelle pagine di questo media, ma il racconto delle realtà più vulnerabili, di nuovi movimenti e tendenze sociali è riuscito a ritagliarsi il suo spazio. Questa scelta mira a includere le voci di altre comunità oppresse: dai mizrahim – comunità ebraiche originarie del Medio Oriente e del Maghreb – ai richiedenti asilo provenienti dall’Africa, fino agli attivisti della comunità Lgbtqia+ presenti nei territori israeliani e palestinesi. L’obiettivo, però, è sempre quello di raccontare la realtà, rifiutando ogni forma di violenza verbale o di razzismo, favorendo un dibattito costruttivo e stimolante.
Al riguardo Rapoport spiega di avere scelto «di cancellare i miei profili social. C’è molta aggressività sul web e soprattutto circolano tante fake news». In molti casi l’inasprimento dei conflitti causa la propagazione di notizie false e tendenziose e a volte i primi a cadere in questa trappola sono proprio i giornalisti.
Proprio per questa ragione +972 ha un unico faro guida: la ricerca costante della verità attraverso lo studio e l’analisi capillare delle proprie fonti. L’opera di debunking, dunque, diventa il fulcro del lavoro per questo media. Basti pensare all’articolo pubblicato lo scorso 4 giugno dal titolo: “Israel is falsely designating Gaza areas as empty in order to bomb them”. Un testo che può essere considerato uno studio approfondito degli algoritmi utilizzati da Israele per scegliere quali territori bombardare. L’articolo di Yuval Abraham sfata il falso mito secondo cui il governo di Netanyahu colpirebbe unicamente territori inabitati. Secondo le testimonianze raccolte dal team di +972, infatti, l’esercito userebbe un algoritmo impreciso e difettoso che stimerebbe in maniera approssimativa la presenza dei gazawi nelle proprie abitazioni. Inoltre, i militari sul posto non effettuerebbero valutazioni in seguito all’attacco per determinare il numero di civili feriti o uccisi. Una condotta, secondo quanto spiegato da Marta Bo – ricercatrice senior di diritto internazionale presso l’Asser Institute dell’Aia – che violerebbe il principio di precauzione del diritto internazionale. Un’operazione di debunking, quella compiuta da Abraham, che ha richiesto la collaborazione di diverse fonti dell’intelligence, esperti di diritto e uno studio approfondito degli algoritmi utilizzati dagli eserciti in pieno conflitto. Questo è solo l’ultimo degli articoli pubblicati con l’obiettivo di svelare i retroscena di un conflitto dai contorni profondamente opachi: «Per me esiste una sola regola: scrivere solo ciò che si conosce e ciò che si può verificare. Il rispetto per la verità dei fatti non può mai essere infranto», aggiunge Rapoport.
Da molti anni Meron Rapoport è tra i sostenitori di A Land For All, un movimento che chiede la creazione di due Stati indipendenti per Israele e Palestina, con confini aperti, massima libertà di circolazione e istituzioni comuni. Una posizione, quella del giornalista di Tel Aviv, che l’ha allontanato dai media tradizionalmente, ancorati alle posizioni del governo israeliano. Se nei Paesi occidentali l’informazione tende a essere fortemente polarizzata – assumendo, in alcuni casi, i tratti di vere e proprie tifoserie da stadio – nei territori israeliani la situazione è ben diversa: «Qui oltre il 90% dei media diffonde comunicati rilasciati dal governo oppure dall’esercito – spiega Rapoport – Questa metodologia ha inasprito la rabbia sociale e per le strade di Tel Aviv si sentono frasi di una violenza inaudita che, in passato, non sarebbero mai state pronunciate pubblicamente. Noi abbiamo il dovere morale di fare le pulci e verificare in maniera accurata le notizie rilasciate dal governo prima di diffonderle».
+972 magazine ha scelto di essere una rivista online indipendente: il rifiuto delle sovvenzioni statali, per loro, è l’unico modo per divulgare notizie veritiere ed evitare che i governi possano fare pressioni o manipolare l’operato dei giornalisti. Ed è proprio per questa ragione che questa rivista è finanziata unicamente dai lettori e da varie fondazioni pronte a supportare e sostenere il loro lavoro. Per una maggiore trasparenza il team condivide annualmente l’identità delle associazioni o dei gruppi che scelgono di fare delle donazioni; tra questi vi sono diverse realtà occidentali, come il CFI – l’agenzia francese per lo sviluppo dei media – e la Disrupt Foundation, fondazione con sede nel Regno Unito. Per i giornalisti di +972 l’informazione ha ancora il potere di orientare i conflitti e influenzare l’opinione pubblica: «In tempi così bui, se il giornalismo rinuncia ai propri doveri, le conseguenze possono essere distruttive – spiega Rapoport -. Abbiamo un’unica stella polare a guidarci: la responsabilità civile e sociale di dare voce a chi ora non può parlare ma ha diritto di essere ascoltato e di avere un proprio spazio nel mondo dell’informazione».