A cura di Giulia Muraro
Il dibattimento è il nucleo centrale del giudizio di primo grado e costituisce la modalità ordinaria, ma non esclusiva (cfr procedimenti speciali), di svolgimento del procedimento penale a carico dell’imputato.
Nel procedimento penale ordinario, la fase del dibattimento consegue all’udienza preliminare, a sua volta terminata con il decreto del GUP che ha disposto il giudizio, e si compone di tre sottofasi: atti preliminari al dibattimento, dibattimento in senso stretto, atti successivi al dibattimento (che comprendono la deliberazione e la pubblicazione della sentenza).
È la sede elettiva della formazione della prova, che avviene nel contraddittorio delle parti e davanti a un giudice terzo e imparziale.
Si esaltano al massimo i principi cardine del sistema processuale: oralità, contraddittorio, immediatezza, concentrazione, pubblicità.
A che serve la pubblicità delle udienze?
L’udienza dibattimentale è pubblica a pena di nullità. La pubblicità del dibattimento ha una duplice funzione: da una parte permette all’opinione pubblica il controllo sul funzionamento della giustizia e sul rispetto delle regole, dall’altra è uno degli strumenti mediante i quali si realizza e preserva la fiducia e la credibilità del sistema giudiziario.
Il principio della pubblicità del dibattimento si realizza nella pratica con due modalità: assicurando a ogni cittadino maggiorenne di partecipare al processo e avere una diretta percezione delle modalità con le quali viene amministrata la giustizia (c.d. pubblicità immediata); consentendo la pubblicabilità degli atti del dibattimento tramite la stampa o altro mezzo di diffusione (c.d. pubblicità mediata).
In quali casi il dibattimento si svolge a porte chiuse?
Il giudice può tuttavia disporre che il dibattimento o alcune sue fasi si svolgano a porte chiuse, ad esempio quando la pubblicità dell’udienza può comportare la diffusione di notizie da mantenere segrete nell’interesse dello Stato o al di salvaguardare la sicurezza di testimoni e imputati. Nelle udienze per i delitti di violenza sessuale, la persona offesa può chiedere che si proceda a porte chiuse anche solo per una parte del dibattimento. Si procede sempre a porte chiuse quando la persona offesa è minorenne.
Possono essere effettuate riprese audiovisive?
Una forma di peculiare pubblicità, connessa con l’esercizio del diritto di cronaca, è quella rappresentata dalle riprese audiovisive del dibattimento per fini di divulgazione.
Il giudice può autorizzare con ordinanza la ripresa fotografica, fonografica o audiovisiva o la trasmissione radiofonica o televisiva.
È necessario altresì il consenso delle parti, in virtù della protezione dei diritti della personalità, ma il giudice può comunque sempre vietarle quando ne derivi pregiudizio al sereno e regolare svolgimento dell’udienza o alla decisione.
Il consenso delle parti non è invece necessario, viceversa, quando sussista un interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento.
Cos’è il principio del contraddittorio?
Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. Le parti, cioè, si confrontano in maniera dialettica tra loro per esporre e far valere le proprie ragioni e per “contraddire” le tesi avversarie, davanti a un giudice terzo e imparziale. Il contraddittorio nella formazione della prova impone che ogni elemento a carico dell’imputato (testimonianze, perizie, ecc.) sia valutato dal giudice solamente a seguito del confronto dialettico tra accusa e difesa. esso trova la sua massima espressione nell’esame incrociato dei testimoni
Che vuol dire che il dibattimento è improntato al principio di immediatezza e oralità?
Il principio di immediatezza comporta un rapporto privo di intermediazione tra l’acquisizione della prova e la decisione dibattimentale: il giudice che assiste al dibattimento e alla formazione della prova deve essere lo stesso giudice che decide. La prova dichiarativa deve essere orale, nel senso che il testimone deve essere sentito direttamente davanti al giudice e le parti hanno diritto a porre domande e ottenere risposte a viva voce dal dichiarante
Che vuol dire che il dibattimento è improntato al principio di concentrazione?
Per garantire una decisione celere e per non disperdere le risultanze del dibattimento, non vi dovrebbero essere intervalli tra l’assunzione delle prove e la deliberazione della sentenza: il codice prevede che quando non è possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza, il giudice ne disponga la prosecuzione nel giorno seguente. È però un’eventualità, nella prassi, molto difficile, e dunque è prevista la possibilità di sospendere il dibattimento per un termine massimo non superiore a 10 giorni. Tuttavia anche questo termine può raramente essere rispettato, con la conseguenza che i tempi complessivi del giudizio si allungano di fatto eccessivamente. La recente riforma Cartabia ha imposto quanto meno una calendarizzazione delle udienze, al fine di assicurare una maggiore celerità nella celebrazione dei processi.
Quali sono gli atti preliminari al dibattimento?
Il dibattimento è preceduto da una serie di atti preliminari, alcuni necessari, altri eventuali. È preposto a tale fase il Presidente del collegio giudicante. In termini generali, la fase degli atti preliminari ha la funzione di rendere possibile l’attuazione dei principi della pubblicità, del contraddittorio, dell’oralità e dell’immediatezza del dibattimento.
Cos’è la lista dei testimoni?
Tra le attività preliminari necessarie vi è l’onere delle parti di depositare le liste con l’indicazione delle fonti di prova (in particolare, la lista contiene i testimoni, i periti, i consulenti tecnici e le persone indicate dall’art. 210 c.p.p.).
La lista dev’essere depositata almeno 7 prima dell’udienza dibattimentale, per permettere alle parti di consultarla anticipatamente e di venire in tal modo a conoscenza delle prove di cui l’altra parte chiede l’ammissione. La funzione più importante delle liste è infatti quella di consentire a ciascuna parte di preparare il controesame del testimone e eventualmente di esercitare il proprio diritto all’ammissione della prova contraria.
Cosa si intende per assunzione di prove urgenti
Dal momento che i tempi di transizione che conducono al dibattimento – dove le prove saranno assunte – possono essere dilatati e comportare il rischio che talune prove vengano disperse, tra le attività preliminari è prevista la possibilità di anticiparne la formazione, qualora si ritenga l’impossibilità di attendere il momento dell’istruzione dibattimentale.
Cos’è la sentenza anticipata di proscioglimento
In sede di pre-dibattimento è infine possibile che intervenga una decisione giudiziale che anticipa l’epilogo processuale.
L’art. 469 c.p.p. autorizza l’organo giudicante, a determinate condizioni, a emettere una sentenza di proscioglimento immediato, consentito per tre cause:
• impossibilità dell’azione penale per mancanza originaria o sopravvenuta della necessaria condizione;
• estinzione del reato;
• particolare tenuità del fatto.
La ratio va ricercata nel risparmio di tempi e attività processuali.
Quali sono gli atti introduttivi del dibattimento?
Tra le attività rientranti nei cd. atti introduttivi al dibattimento v’è in primo luogo la verifica della regolare costituzione delle parti, dal momento che l’udienza è caratterizzata dalla partecipazione dialettica delle parti e presupposto di ogni ulteriore sviluppo è dunque la verifica della loro presenza.
Il Presidente del collegio verifica dunque la costituzione del pubblico ministero, chiamato a sostenere l’accusa, dell’imputato, e delle parti private eventuali.
Non appena ne sia stata verificata la regolare costituzione, le parti sono tenute a sollevare la questioni preliminari.
Quali sono le questioni preliminari?
Il giudice risolve in tale momento le cd. questioni preliminari, ovverosia quelle che vanno risolve in via preventiva e che, se non sollevate in tale momento, sono precluse alle parti.
Rientrano in tale categoria: l’eccezione di incompetenza territoriale, l’incompetenza per ragione di connessione, l’errata devoluzione della causa a un giudice superiore ratione materiae.
Ancora, le parti hanno l’onere di sollevare le questioni di nullità di tipo relativo verificatesi nelle fasi anteriori al giudizio e altresì le questioni attinenti alla regolare costituzione delle parti private eventuali.
Le questioni relative alla riunione e separazione dei processi possono essere sollevate in tale sede, ma può ben accadere che i requisiti maturino o vengano meno in seguito, così da rendere prospettabile la relativa questione solo in quel momento.
Infine, le parti devono sollevare le questioni che concernono la composizione del fascicolo per il dibattimento.
La discussione delle questioni preliminari è sintetica e il giudice decide immediatamente con ordinanza.
Da che atti è formato il fascicolo per il dibattimento?
Il fascicolo per il dibattimento viene formato in un momento precedente dal Giudice dell’udienza preliminare, in contraddittorio tra le parti.
Degli atti appartenenti alla fase delle indagini preliminari contiene solo quelli relativi alla procedibilità e all’esercizio dell’azione civile, i verbali degli atti non ripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero e dal difensore, i verbali degli atti assunti nell’incidente probatorio, il certificato penale, i documenti relativi al giudizio sulla personalità, le cose pertinenti al reato, i verbali delle prove urgenti assunte nella fase degli atti preliminari.
È opportuno sottolineare che comunque gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento, sebbene conosciuti dal giudice, non sono per ciò solo utilizzabili ai fini della decisione, ma devono comunque essere acquisiti tramite lettura, sebbene la lettura possa essere sostituita dalla loro “indicazione” da parte del giudice.
Come rimane traccia di quanto accade in dibattimento?
La verbalizzazione dell’udienza è fondamentale in un processo in cui la decisione deve intervenire esclusivamente sulla base delle prove raccolte il dibattimento, secondo i principi dell’oralità e del contraddittorio.
La funzione del verbale del dibattimento diviene quindi principalmente quella di consentire al giudice di avere memoria precisa, fedele e completa di quanto accaduto.
In particolare, la legge dispone che nel verbale di assunzione dei mezzi di prova siano riprodotte integralmente e in forma diretta le domande e le risposte.
La verbalizzazione integrale può avvenire o con strumenti tecnici o con la scrittura manuale, nel qual caso, però, dev’essere affiancato dalla riproduzione fonografica, se il verbale viene poi redatto in forma riassuntiva.
Come si apre la fase del dibattimento in senso stretto?
Il dibattimento si apre con l’esposizione introduttiva, momento di fondamentale importanza poiché il giudice non conosce nulla delle indagini preliminari, ad eccezione dell’imputazione e di quel numero limitato di atti che sono contenuti nel fascicolo per il dibattimento.
Il tema della discussione è dunque fissato in questo momento: prima il pubblico ministero, poi, nell’ordine, i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, e infine dell’imputato indicano i fatti che intendono provare e le prove di cui chiedono l’ammissione.
Come si scandisce il procedimento probatorio?
Il cuore della fase dibattimentale è rappresentato infatti dal procedimento probatorio, che ha la finalità di procurare al giudice l’insieme di conoscenze necessarie alla decisione.
Preliminarmente, le parti hanno presentato, come detto, le liste a norma dell’art. 468 c.p.p., che preannunciano la loro strategia probatoria, impedendo l’ingresso in giudizio di prove a sorpresa e permettendo alle altre parti di elaborare la propria controffensiva. È ammessa comunque l’acquisizione di prove ulteriori solo se la parte dimostri di non averle potute indicare tempestivamente nelle liste.
Il procedimento probatorio vero e proprio si scandisce in tre fasi: la prima fase consiste nell’ammissione dei singoli mezzi di prova; la seconda è rappresentata dall’assunzione dei mezzi di prova preventivamente ammessi; la terza attiene alla valutazione della prova da parte del giudice.
La richiesta di ammissione della prova. Quali sono i principi che governano tale fase?
Una volta che il dibattimento è formalmente aperto, le parti presentano le rispettive richieste di ammissione dei mezzi di prova che hanno in serbo.
Il giudice è chiamato ad una verifica i cui parametri sono indicati dall’art. 495 cpp: la prova è senz’altro ammessa, potendo il giudice escluderla solo se vietata dalla legge, manifestamente superflua o irrilevante.
La parte interessata ha l’onere di argomentare in modo che la prova indicata appaia rispettosa di tali canoni.
In questa sede le parti chiedono anche l’ammissione della prova contraria, sottratta all’onere di anticipata indicazione nelle liste predibattimentali e presunta sempre rilevante. Inoltre, se la parte dimostra di non averle potute indicare tempestivamente, possono essere ammesse le prove non incluse nelle liste depositate prima del dibattimento.
Il giudice decide con ordinanza motivata, dopo aver interpellato le parti affinchè eventualmente eccepiscano l’inammissibilità dell’istanza avversaria.
In che ordine si assumono le prove?
Il primo a schierare le prove a carico è il pubblico ministero, sul quale incombe l’onere di dimostrare la colpevolezza dell’imputato.
A seguire, secondo il principio di vicinanza d’interesse, la parte civile, ove costituita, presenta le proprie prove.
La difesa dell’imputato, dal canto suo, assistito dalla presunzione di innocenza, presenta le proprie prove per ultima, a seguire dall’eventuale materiale probatorio del responsabile civile e del civilmente obbligato per la sanzione pecuniaria.
Rimane possibile che le parti concordino tra loro un diverso ordine di successione dei mezzi di prova, ex art. 496 comma 2.
Il giudice può ammettere prove di propria iniziativa?
Di regola, l’impulso all’ammissione della prova è riservato alle parti.
L’art. 507 c.p.p. contempla dunque in via d’eccezione la possibilità che il giudice introduca ex officio mezzi istruttori: è possibile solo una volta che sia terminata l’acquisizione delle prove introdotte dalle parti e soltanto se risulta assolutamente necessario.
Le due condizioni previste conferiscono all’attività del giudice carattere accessorio e meramente integrativo, seppur la giurisprudenza prevalente tenda a dare a tale potere un’accezione sostitutiva. In tale senso, il giudice potrebbe per mezzo di tale potere sopperire all’eventuale inerzia delle parti, se si trovasse a corto di materiale per la decisione.
Quali regole governano l’assunzione della prova?
Una volta superato il vaglio di ammissibilità, il secondo stadio del procedimento probatorio consiste nell’effettiva assunzione del mezzo di prova.
La modalità di assunzione è quella dell’esame incrociato, ossia dell’alternarsi delle domande – rivolte direttamente alla persona interpellata, alternativamente da ciascuna delle parti – e delle risposte date al cospetto del giudice.
Quale iter è seguito, invece, per le prove documentali?
È peculiare la scansione procedurale che ha ad oggetto le prove documentali.
La loro acquisizione si identifica infatti col momento dell’ammissione, per il fatto che esse consistono in entità materiali già formate altrove e sono dunque producibili in giudizio direttamente. Poiché il codice non esige la loro previa indicazione nelle liste a norma dell’art. 468, la parte può depositare i documenti contestualmente alla domanda preordinata alla loro ammissione.
Quali prove possono essere usate per la decisione?
Vi è una prescrizione di carattere generale (l’art. 190 c.p.p.) che sancisce che il giudice deve escludere le prove vietate dalla legge e quelle manifestamente superflue o irrilevanti.
Per la decisione, dunque, il giudice potrà utilizzare – oltre alle prove legittimamente assunte nell’istruzione dibattimentale – gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento, i verbali delle dichiarazioni impiegate per le contestazioni e le altre letture consentite dalla legge, nonché i documenti ammessi e le prove reali.
La discussione finale. Come avviene?
Una volta esaurite le prove da assumere, ha termine l’istruzione dibattimentale e si svolge in udienza la discussione finale, ex art. 523 c.p.p.
Secondo il consueto ordine, prendono parola il pubblico ministero, le parti private eventuali e la difesa dell’imputato, enunciando le loro conclusioni.
All’esito della discussione, il giudice dichiara formalmente chiuso il dibattimento e abbandona l’aula per addivenire alla decisione finale in camera di consiglio.
Cosa accade dopo il dibattimento?
La fase del post-dibattimento si snoda a parte dal momento in cui il giudice entra in camera di consiglio sino al momento di deposito della sentenza.
Anch’essa è governata dai principi di immediatezza e concentrazione – dev’esserci continuità, cioè, tra l’assunzione delle prove, la valutazione delle stesse e la deliberazione – e dall’immutabilità del giudice.
Quale procedura logica deve seguire il giudice per la deliberazione?
L’art. 527 c.p.p. delinea le regole da seguire per addivenire a sentenza.
In primo luogo, vige il principio di priorità delle questioni di rito su quelle di merito: il giudice decide per prime le questioni preliminari non ancora risolte e, più in generale, tutte quelle di carattere processuale; solo dopo aver appurato che l’esito delle medesime non preclude la disamina nel merito, si passa al merito.
In primis, il giudice valuta le prove acquisite in dibattimento e l’efficacia persuasiva del loro insieme, verificando se dimostrino o meno la responsabilità dell’imputato; in secundis, egli attribuisce al fatto così provato la corretta qualificazione giuridica.
Qualora si pervenga all’affermazione di colpevolezza, decide la specie e la misura della pena applicabile, nonché gli eventuali benefici concedibili in tale fase.
In questo momento il giudice può modificare l’accusa?
Un principio fondamentale della fase del giudizio è quello della correlazione tra accusa e sentenza: il giudice non può pronunciarsi su un fatto che non sia stato portato a conoscenza dell’imputato. Se quindi l’accertamento finale non coincide con l’accusa, il giudice deve esimersi dal decidere, trasmettendo gli atti al pubblico ministero affinchè formuli una nuova imputazione.
Tuttavia, nel corso del dibattimento è consentito al pubblico ministero modificare e integrare l’accusa iniziale, qualora dall’escussione delle prove emerga tale necessità. In tal caso, la nuova accusa va effettuata personalmente all’imputato.
Se muta il tema d’accusa, l’imputato ha altresì il diritto di rivedere le proprie opzioni in ordine al tipo di rito da scegliere.
Può, però, il giudice dare al fatto una qualificazione giuridica diversa?
Sì, il giudice può dare al fatto accertato una qualificazione giuridica diversa rispetto a quella enunciata nell’imputazione, posto che le richieste del pubblico ministero non sono affatto vincolanti.
La nuova qualificazione giuridica, comunque, deve sempre essere portata a conoscenza dell’imputato nel corso del processo, prima che la sentenza di condanna diventi irrevocabile.
La sentenza. Qual è la regola di giudizio che deve guidare il giudice per la pronuncia dibattimentale?
Il dibattimento ha lo scopo di accertare definitivamente la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato.
Per emettere una sentenza di condanna, il giudice dev’essere convinto della colpevolezza dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio, basandosi sul libero convincimento che poggia sulla valutazione critica delle prove assunte.
La sentenza di condanna deve quindi avere un livello di certezza molto elevato.
La decisione dev’essere motivata dando conto di come siano state valutate le prove e di come si sia giunti alla conclusione della colpevolezza dell’imputato, senza aver lasciato spazio a ragionevoli dubbi.
Per converso, il giudice deve pronunciare sentenza di assoluzione quando manca, è insufficiente o contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato l’ha commesso, che il fatto costituisce reato, che il reato è stato commesso da persona imputabile.
Com’è strutturata la sentenza?
La sentenza si compone di una prima parte enunciativa ed è seguita dalla motivazione e dal dispositivo. A pena di nullità, dev’esservi infine la data e la sottoscrizione del giudice.
Il dispositivo corrisponde al momento imperativo della decisione: enuncia o l’accoglimento della pretesa punitiva, enunciando il comando recante la condanna e le relative conseguenze penali, o il proscioglimento.
La motivazione, di regola, dovrebbe essere contestuale: il giudice dovrebbe cioè esporre immediatamente le ragioni di fatto e di diritto poste alla base della decisione.
Sono previste due sole ipotesi di motivazione differita, che sono però di fatto divenute la prassi. È infatti sufficiente che sia impossibile la stesura contestuale della motivazione perché il giudice sia autorizzato a provvedervi entro 15 giorni dalla pronuncia. Se, infine, l’elaborazione dei motivi è particolarmente complessa, il deposito può avvenire entro 90 giorni dalla pronuncia.
Quali sono le formule di proscioglimento?
Il codice prescrive di completare il dispositivo della sentenza con una specifica formula, che indica in modo sintetico la causa della mancata condanna, nel caso di sentenza di assoluzione. Queste sono:
– “il fatto non sussiste”: indica che non è integrato taluno degli elementi oggettivi della fattispecie (condotta, evento, nesso causale);
– “l’imputato non l’ha commesso”: indica che, seppur si sia verificato l’accadimento del fatto storico, il fatto va attribuito a un soggetto diverso dall’imputato;
– “il fatto non costituisce reato” è la formula utilizzata quando siano accertate le componenti materiali della fattispecie ma manca la prova del dolo, della colpa o della preterintenzione, ovvero quando sia subentrato un errore sul precetto, ignorantia legis incolpevole, una scusante, una causa di giustificazione;
– “il fatto non è previsto dalla legge come reato” indica il difetto di tipicità dovuto non a lacune concernenti la ricostruzione storica della vicenda, bensì alla fallita sussunzione della medesima sotto alcuna fattispecie penale astratta;
– “il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un’altra ragione” è la formula utilizzata quando il giudice abbia ricostruito un fatto materialmente e soggettivamente tipico, antigiuridico e colpevole, ma ricorre una situazione in cui la legge impedisce di applicare la pena.
Qual è la differenza tra sentenza di assoluzione e sentenza di non doversi procedere?
La sentenza di assoluzione è pronunciata quando non sia stata verificata l’ipotesi di responsabilità penale formulata nell’imputazione.
Il proscioglimento può però anche essere il risultato di una decisione negativa sul potere di decidere oppure di un giudizio che riconosce l’estinzione del reato: in tal caso il giudice emette sentenza di non doversi procedere.
La causa di una declaratoria di non doversi procedere può essere la mancanza di una delle condizioni di procedibilità, che porta alla formula “l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita”. Ancora, è possibile che il giudice emetta sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, che può essere dovuta a prescrizione, amnistia, remissione (accettata) della querela, morte del reo.