Giustizia penale: le impugnazioni

a cura di Tommaso Tedeschi

Nel procedimento penale l’impugnazione costituisce il rimedio esperibile da una parte al fine di rimuovere un provvedimento giurisdizionale svantaggioso che si ritiene errato, sottoponendolo ad un controllo di un giudice diverso da quello che ha emesso il provvedimento medesimo.

Nell’ambito delle impugnazioni penali è possibile distinguere le impugnazioni ordinarie (appello e ricorso per cassazione), ossia quelle esperibili avverso sentenze non ancora divenute irrevocabili, da quelle straordinarie (revisione, ricorso per cassazione per errore materiale o di fatto, rescissione del giudicato e richiesta per l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della Cedu), che, invece, sono quelle esperibili avverso sentenze già passate in giudicato.

A tal proposito occorre precisare che per irrevocabilità della sentenza si intende la tendenziale non modificabilità del provvedimento emesso dal Giudice (principio di intangibilità del giudicato). 

L’art. 648 c.p.p. attribuisce tale caratteristica alle sentenze contro le quali non possono essere esperite impugnazioni ordinarie; viceversa, le impugnazioni straordinarie si contraddistinguono proprio per la capacità di aggredire le sentenze irrevocabili.

Pertanto, si può dire che sono irrevocabili le sentenze nei confronti delle quali non è più esperibile né l’appello, né il ricorso per cassazione.

L’irrevocabilità (o passaggio in giudicato) della sentenza può derivare sia dal fatto che nessuna parte ha presentato appello o ricorso per cassazione nei termini previsti dalla legge, sia dal fatto che si sono esaurite tutte le possibilità previste dalla legge per impugnare il provvedimento.

* * *

Il codice di procedura penale indica una serie di disposizioni generali che si applicano a tutte le impugnazioni (artt. 568-592 c.p.p.), fatte salve le specifiche deroghe eventualmente previste dalla legge per ciascun tipo di impugnazione.

L’art. 568, co. 1, c.p.p. fissa il principio di tassatività, secondo cui è la legge che stabilisce “i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti ad impugnazione e determina il mezzo con cui possono essere impugnati”. 

Il diritto ad impugnare i provvedimenti del giudice spetta soltanto alle parti alle quali la legge espressamente lo conferisce (legittimazione ad impugnare).

L’art. 588 c.p.p. prevede l’effetto sospensivo delle impugnazioni, secondo il quale, salvo che la legge disponga diversamente, “durante i termini per impugnare e fino all’esito del giudizio di impugnazione, l’esecuzione del provvedimento impugnato è sospesa”. Si tratta di una regola coerente con la presunzione di non colpevolezzadi cui all’art. 27, co. 2, Cost. in base al quale “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.

Da ultimo, gli artt. 581-585 c.p.p. sanciscono una serie di regole per la presentazione dell’impugnazione il cui mancato rispetto determina l’inammissibilità della stessa.

In particolare, l’impugnazione deve essere presentata, entro i termini previsti dall’art. 585 c.p.p., con atto scritto, nel quale devono essere indicati il provvedimento impugnatola data del medesimo, il giudice che lo ha emesso e, infine, i seguenti elementi:

  • i punti della decisione che si intendono impugnare;
  • le prove delle quali si ritiene l’inesistenza, l’omessa assunzione o l’erronea valutazione;
  • le richieste, anche istruttorie, avanzata al giudice;
  • i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che si intendono far valere.

Si tratta di elementi indefettibili in assenza dei quali il giudice dichiara l’inammissibilità dell’impugnazione a prescindere da qualsiasi valutazione di merito o di diritto.

Che cos’è l’appello?

L’appello (artt. 593 e ss. c.p.p.) è un mezzo di impugnazione ordinario, mediante il quale le parti soccombenti nel giudizio di primo grado chiedono ad un giudice di secondo grado di modificare la decisione, ritenendola errata per motivi di fatto o di diritto.

Come anticipato, le impugnazioni ordinarie sono quelle che possono essere esperite, entro un termine stabilito dalla legge (art. 585 c.p.p.), avverso una decisione non definitiva, ossia non ancora passata in giudicato.

Le caratteristiche principali dell’appello sono le seguenti:

l’appello, di regola, si conclude con una sentenza che conferma o riforma la decisione impugnata, mentre i casi di annullamento, con conseguente regressione al giudizio di primo grado, sono eccezionali (art. 604 c.p.p.).

è un mezzo di impugnazione parzialmente devolutivopoiché il giudice di secondo grado può pronunciarsi unicamente sui punti indicati dalla parte appellante nei motivi di impugnazione;

è un’impugnazione a critica libera, in quanto i motivi di impugnazione formulati dalle parti possono concernere tanto questioni di fatto, quanto di diritto;

è un procedimento essenzialmente cartolare, nel senso che le risultanze probatorie del giudizio di primo grado vengono acquisite dal giudice di secondo grado senza che quest’ultimo abbia un contatto diretto con le fonti di prova; l’acquisizione diretta di nuove prove (c.d. rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale), come meglio si dirà in seguito, ha carattere di eccezionalità;

Chi è il Giudice di appello?

La principale garanzia offerta dal giudizio di appello è quella di devolvere la cognizione della causa ad un giudice collegiale diverso da quello di primo grado.

Il Giudice competente per l’appello proposto contro le sentenze del Tribunale è la Corte di Appello. Le sentenze della Corte d’Assise sono impugnate dinnanzi alla Corte di Assise d’Appello, composta da due magistrati togati e sei giudici popolari. Competente per l’appello contro le sentenze del Giudice di Pace è il Tribunale in composizione monocratica. 

Quali sentenze sono inappellabili?

La legge (art. 593 c.p.p.) individua un novero di sentenze contro le quali – secondo un bilanciamento tra diritto all’impugnazione ed economia processuale – non è possibile proporre appello. In particolare, sono inappellabili:

  • le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda;
  • le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità;
  • le sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa.

Ulteriori limitazioni all’appellabilità delle sentenze sono previste in caso di rito abbreviato o patteggiamento:

  • in caso di rito abbreviato, il pubblico ministero non può proporre appello avverso la sentenza di condanna, salvo che si tratti di sentenza che modifica il titolo di reato;
  • in caso di patteggiamento, la sentenza è inappellabile e il pubblico ministero può proporre appello solo se non ha prestato il consenso al rito speciale. 

Nei confronti delle sentenze inappellabili rimane, quindi, esperibile solamente il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 568, co. 2, c.p.p. in base al quale “sono sempre soggetti a ricorso per cassazione, quando non sono altrimenti impugnabili, i provvedimenti con i quali il giudice decide sulla libertà personale e le sentenze”.

Chi è legittimato a proporre appello?

Fuori dai casi di cui sopra, è sempre ammesso appello avverso le sentenze emesse nel giudizio di primo grado, purché sia avanzato da soggetto legittimato.

L’imputato è legittimato ad appellare le sentenze di condanna (purché, come sopra precisato, la pena applicata in concreto non consista nell’ammenda o nella pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità) e le sentenze di proscioglimento, salvo che si tratti di sentenze di assoluzione con formula piena (ossia “perché il fatto non sussiste” o “perché l’imputato non lo ha commesso”).

Il pubblico ministero è legittimato ad appellare le sentenze di proscioglimento, ad eccezione di quelle pronunciate per i reati per i quali è prevista la citazione diretta a giudizio (art. 550, co. 1 e 2, c.p.p., che riguarda fattispecie di reato considerate meno gravi), e le sentenze di condanna quando, rispetto all’imputazione originariamente formulata, hanno modificato il titolo del reato, hanno escluso la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale (ossia quelle che comportano un aumento di pena superiore a 1/3) ovvero hanno stabilito una pena di specie diversa (pena dell’arresto anziché quella della reclusione).

La parte civile (ossia la persona offesa dal reato che si è costituita nel giudizio penale per ottenere una condanna risarcitoria) può appellare, per i soli interessi civili, sia le sentenze di condanna, sia quelle di proscioglimento. L’impugnazione proposta dalla parte civile è diretta esclusivamente contro i capi della sentenza inerenti al riconoscimento del risarcimento del danno patito. È ben possibile, quindi, che, in assenza di impugnazione da parte del pubblico ministero, la sentenza diventi irrevocabile sotto il profilo penale, ma la parte civile proponga appello chiedendo di accertare la responsabilità dell’imputato al fine esclusivo di ottenere il risarcimento del danno.

Il responsabile civile e la persona civilmente obbligata alla pena pecuniaria possono impugnare le sentenze di condanna “col mezzo che la legge attribuisce all’imputato” (art. 575 c.p.p.).

Nel giudizio di appello si possono assumere nuove prove?

Di regola, nel giudizio di appello, il Giudice di secondo grado valuta le stesse prove che sono state già acquisite nel giudizio di primo grado; l’assunzione di prove in sede di appello è configurata come eccezionale.

Le ipotesi eccezionali di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sono tassativamente previste dal codice (art. 603 c.p.p.):

il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa (in sostanza il giudice dell’appello non può condannare un imputato assolto in 1^ grado interpretando le dichiarazioni testimoniali in modo diverso da quanto avvenuto nel precedente giudizio, senza avere riascoltato i testimoni).

il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale quando non è in grado di decidere allo stato degli atti e una parte ha chiesto, nell’atto di appello o nei motivi nuovi, la riassunzione di prove già acquisite in primo grado o l’assunzione di nuove prove(intese come prove già note alla parte nel corso del giudizio di primo grado, ma non acquisite in quella sede);

il giudice, sentite le parti, dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale se le nuove prove sono sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado;

la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale può essere disposta d’ufficio dal giudice se la ritiene assolutamente necessaria;

il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa (in sostanza il giudice dell’appello non può condannare un imputato assolto in 1^ grado interpretando le dichiarazioni testimoniali in modo diverso da quanto avvenuto nel precedente giudizio, senza avere riascoltato i testimoni).

Quali sentenze possono essere emesse dal giudice di secondo grado?

Di regola, il giudice di appello pronuncia una sentenza con la quale conferma o modifica la sentenza impugnata.

Il decisum della sentenza varia a seconda del soggetto che ha proposto appello.

Quando appellante è solo il pubblico ministero:

  1. il giudice può confermare la sentenza di primo grado;
  2. se l’appello riguarda una sentenza di condanna, il giudice può condannare l’imputato per un reato più grave, mutare la specie o aumentare la quantità della pena, revocare benefici (quali, ad esempio, la sospensione condizionale della pena) e adottare ogni provvedimento consentito dalla legge;
  3. se l’appello riguarda una sentenza di proscioglimento, il giudice può ribaltare il giudizio e condannare l’imputato (c.d. overturning) ovvero prosciogliere l’imputato per una causa diversa da quella enunciata nella sentenza di primo grado.

Quando appellante è solo l’imputato, il giudice non può riformare in peius la sentenza appellata (c.d. divieto di reformatio in peius):

  1. se l’appello riguarda una sentenza di condanna, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità;
  2. se l’appello riguarda una sentenza di proscioglimento, il giudice non può prosciogliere l’imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata.

Quando sono appellanti tanto il pubblico ministero quanto l’imputato, il giudice avrà il potere di adottare sia i provvedimenti in peius (sfavorevoli al reo), sia quelli in melius(a favore dell’imputato), pur nei limiti dei punti impugnati dalle parti (tantum devolutum quantum appellatum).

Che cos’è il concordato con rinuncia ai motivi di appello?

Il concordato (c.d. patteggiamento in appello) è l’istituto previsto dal codice di procedura penale (art. 599 bis c.p.p.) che consente alle parti di concordare l’accoglimento dei motivi di appello, in tutto o in parte, con rinuncia agli altri eventuali motivi. L’accordo raggiunto dalle parti sull’accoglimento dei motivi può comportare una nuova determinazione della pena e, in tal caso, essa viene indicata al giudice come parte dell’accordo stesso.

L’accordo deve essere presentato, a pena di decadenza, nel termine di 15 giorni prima dell’udienza.

A partire dalla c.d. Riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022), il concordato in appello è applicabile con riferimento a qualsiasi titolo di reato. Infatti, il secondo comma dell’art. 599 bis c.p.p. – abrogato dall’intervento legislativo – precludeva l’operatività del concordato in appello nei confronti dei soggetti autori di delitti di particolare gravità (quali quelli a sfondo sessuale) o di soggetti dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza.

Che cos’è il ricorso per cassazione?

Il ricorso per cassazione (artt. 606 e ss. c.p.p.) è un mezzo di impugnazione ordinario, proponibile esclusivamente avverso una sentenza che non sia ancora divenuta definitiva, a critica vincolata, in quanto esperibile esclusivamente per motivi di diritto tassativamente indicati dalla legge, e parzialmente devolutivo, in quanto la Corte di cassazione conosce del procedimento limitatamente ai motivi proposti.

La Corte di cassazione ha sede a Roma ed è divisa in sette sezioni penali, con attribuzioni differenziate per materia, che decidono sui ricorsi per cassazione con la presenza del presidente e di quattro consiglieri.

Alle sette sezioni semplici, si aggiungono le Sezioni Unite che, come si dirà, sono chiamate a decidere nei casi di contrasto tra l’orientamento delle singole sezioni della Corte (cfr. infra).

Quali sentenze sono ricorribili in cassazione?

Ai sensi dell’art. 568, comma 2, c.p.p. “sono sempre soggetti a ricorso per cassazione, quando non sono altrimenti impugnabili, i provvedimenti con i quali il giudice decide sulla libertà personale e le sentenze”.

Ne consegue che il ricorso per cassazione è esperibile nei confronti delle sentenze pronunciate in grado di appello e delle sentenze non appellabili (quali, ad esempio, quelle che comportano la condanna dell’imputato alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità).

Un’ipotesi peculiare è rappresentata dal c.d. ricorso in cassazione per saltum (art. 569 c.p.p.) che consente alla parte che avrebbe diritto di appellare la sentenza di primo grado di “saltare” il grado di appello e proporre direttamente il ricorso per cassazione.

Il ricorso in cassazione per saltum non è ammesso per lamentare la mancata assunzione di una prova decisiva a discarico o il vizio di motivazione di cui all’art. 606, lett. d) ed e), c.p.p. (cfr. infra).

Chi è legittimato a proporre ricorso per cassazione?

L’imputato può proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di condanna o di proscioglimento; tuttavia, a differenza di quanto previsto per l’appello, il ricorso deve essere presentato, a pena di inammissibilità, da un difensore abilitato al patrocinio in cassazione ed iscritto nell’apposito albo.

La pubblica accusa può ricorrere per cassazione contro ogni sentenza di condanna o di proscioglimento pronunciata in grado di appello o inappellabile. Una regola particolare è prevista nel caso in cui il giudice di appello abbia confermato la sentenza di proscioglimento già pronunciata dal giudice di primo grado: in tale ipotesi, il ricorso per cassazione può essere proposto soltanto per i motivi di cui all’art. 606, lett. a), b) e c), c.p.p. (cfr. infra).

Quali sono i motivi che possono essere proposti con il ricorso per cassazione?

Come anticipato, il ricorso per cassazione è un mezzo di impugnazione a critica vincolata in quanto può essere proposto, a pena di inammissibilità, soltanto per i motivi di diritto tassativamente indicati nell’art. 606 c.p.p. nelle seguenti lettere:

  1. esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi o non consentita a pubblici poteri (c.d. eccesso di potere);
  2. inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altra norma giuridica (c.d. error in iudicando);
  3. inosservanza delle norme processuali penali stabilite a pena di nullità, di inammissibilità, di inutilizzabilità o di decadenza (c.d. error in procedendo);
  4. mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta anche nel corso dell’istruzione dibattimentale limitatamente ai casi previsti dall’art. 495, comma 2, c.p.p. (mancata assunzione di prove a discarico);
  5. mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificatamente indicati nei motivi di gravame (c.d. vizio di motivazione).

Il ricorso per cassazione non può essere esperito per motivi di fatto ed è inammissibile se viene proposto per motivi diversi da quelli sopra esposti o manifestamente infondati, ossia quando il ricorrente denuncia vizi la cui insussistenza è di immediata evidenza.

Quali sentenze possono essere emesse dalla Corte di cassazione?

Il giudizio di cassazione si può concludere con le seguenti sentenze:

  • inammissibilità: quando il ricorso è proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge o manifestamente infondati (ipotesi, quest’ultima, introdotta dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, che si presta a notevole discrezionalità) ovvero per violazioni di legge che, non essendo state dedotte con i motivi di appello, vengono denunciate per la prima volta solo in cassazione;
  • rigetto: quando il ricorso è infondato, non essendo accolto nessuno dei motivi proposti;
  • rettificazione: quando vengono rilevati errori di diritto nella motivazione o erronee indicazioni di testi di legge che però non hanno avuto alcuna incidenza decisiva sulla decisione impugnata;
  • annullamento: quando vengono accolti uno o più motivi di ricorso. L’annullamento può essere pronunciato senza rinvio, ossia quando è superfluo un ulteriore giudizio di merito, nei casi espressamente previsti dall’art. 620 c.p.p.

L’annullamento può essere pronunciato con rinvioquando l’accoglimento del ricorso richiede ulteriori accertamenti di fatto che, essendo preclusi al giudice di legittimità, devono essere nuovamente valutati dal giudice di merito. In quest’ultimo caso, la Corte di cassazione fissa un principio di diritto al quale il giudice di merito dovrà attenersi nella nuova valutazione dei fatti.

Da ultimo, l’annullamento può essere parziale, ossia riguardare anche solo una parte della sentenza, mentre quelle che non avranno alcuna connessione con la parte annullata acquisiranno autorità di cosa giudicata. In questo caso, se occorre, la Corte di cassazione può indicare quali parti della sentenza impugnata diventano irrevocabili.

Quando la Corte di cassazione si pronuncia a Sezioni Unite?

Quando la Corte deve fornire un’interpretazione uniforme del diritto in un caso di contrasto tra l’orientamento delle singole sezioni della Corte, essa decide a Sezioni Unite.  

Le Sezioni Unite sono composte da otto consiglieri provenienti dalle singole sezioni e dal Presidente della Cassazione.

Le Sezioni Unite sono chiamate a decidere sui ricorsi delle parti nei seguenti casi:

quando una sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite, deve rimettere a queste ultime la decisione del ricorso.

il presidente, su richiesta delle parti o anche d’ufficio, può assegnare il ricorso alle Sezioni Unite quando le questioni proposte sono di speciale importanza o quando occorre dirimere contrasti insorti tra le decisioni delle singole sezioni;

quando una sezione semplice rileva che la questione di diritto sottoposta al suo esame ha dato luogo o può dar luogo ad un contrasto giurisprudenziale, su richiesta delle parti o d’ufficio, può rimettere il ricorso alle Sezioni Unite;

quando una sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite, deve rimettere a queste ultime la decisione del ricorso.

Che cos’è la revisione?

Come anticipato nell’introduzione, le impugnazioni straordinarie sono quelle che possono essere esperite avverso una decisione già divenuta irrevocabile.

La tendenziale non modificabilità delle sentenze definitive (intangibilità del giudicato) può venir meno mediante vari tipi di impugnazioni straordinarie (revisione, rescissione del giudicato, ricorso straordinario per errore materiale o di fatto e richiesta per l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della Cedu), in conformità al principio costituzionale secondo cui “la legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari” (art. 24, comma 4, Cost.).

In questi casi, in presenza dei presupposti richiesti dalla legge, l’esigenza di giustizia prevale su quella della certezza del passaggio in giudicato delle sentenze.

La revisione (artt. 629 e ss. c.p.p.) è un’impugnazione straordinaria esperibile “in ogni tempo” nei confronti di sentenze di condanna divenute irrevocabili.

Nella richiesta di revisione si fanno valere errori di fatto che siano tali da dimostrare, se accertati, che il condannato doveva essere prosciolto.

Quali sono i casi di revisione?

La revisione può essere richiesta nei soli casi tassativamente previsti (art. 630 c.p.p.):

se viene dimostrato che la sentenza di condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato.

se i fatti posti a fondamento della sentenza di condanna sono incompatibili con quelli stabiliti da un’altra sentenza penale irrevocabile (contrasto di giudicati);

se la sentenza di condanna è fondata su una questione pregiudiziale accertata in una sentenza civile o amministrativa, successivamente revocata;

se, dopo la condanna, sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, da sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve prosciolto;

Chi è legittimato a chiedere la revisione?

La richiesta di revisione può essere avanzata dal condannatoo da un suo prossimo congiunto; se il condannato è morto, il potere di iniziativa spetta all’erede o ad un suo prossimo congiunto.

Inoltre, la richiesta può essere avanzata anche dal Procuratore generale presso la Corte d’Appello in cui fu pronunciata la condanna.

Come si svolge il giudizio di revisione?

Il giudizio di revisione si compone di due fasi e per entrambe è competente una Corte d’Appello diversa da quella in cui è stata pronunciata la sentenza di condanna.

  1. Nella fase preliminare di deliberazione, la corte valuta l’ammissibilità della richiesta di revisione.
  2. Se la richiesta risulta ammissibile, il presidente della Corte d’Appello emette il decreto di citazione e si apre un nuovo giudizio in cui verranno valutate le nuove prove.

All’esito del nuovo giudizio, se le nuove prove dimostrano che il condannato deve essere prosciolto, il giudice revoca la sentenza di condanna e pronuncia il proscioglimento. 

In caso di rigetto della richiesta, la Corte d’Appello condanna la parte richiedente al pagamento delle spese processuali.

Quali sono gli effetti della sentenza di revisione?

La revisione della sentenza di condanna comporta quale effetto immediato, oltre all’eventuale scarcerazione se l’imputato sia detenuto, la restituzione delle somme pagate in esecuzione della condanna per le pene pecuniarie, per le spese processuali e di mantenimento in carcere e per il risarcimento dei danni a favore delle parti civili.

Su espressa richiesta dell’interessato, la sentenza di accoglimento della richiesta di revisione può essere affissa nel Comune di residenza del condannato e in quello in cui la condanna fu pronunciata; inoltre, l’estratto della sentenza può essere pubblicato in un giornale scelto dall’interessato quale forma di riparazione morale.

Da ultimo, l’interessato, prosciolto in sede di revisione, può avanzare, entro due anni dal passaggio in giudicato della sentenza di revisione, richiesta di riparazione dell’errore giudiziario, commisurata alla durata della eventuale espiazione della pena e alle conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna.

Condizioni necessarie per il riconoscimento della riparazione sono:

  • la revisione del giudicato di condanna, con conseguente riconoscimento dell’errore giudiziario;
  • l’interessato non deve aver contribuito a causare, per dolo o colpa grave, l’errore giudiziario.

La riparazione dell’errore giudiziario si attua mediante il pagamento di una somma di denaro o la costituzione di una rendita vitalizia.

Che cos’è la richiesta per l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della Cedu?

La richiesta per l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della Cedu (art. 628 bis c.p.p.) è una impugnazione straordinaria introdotta di recente dalla Riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022) che costituisce un rimedio ad hoc per garantire l’esecuzione delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU).

Prima del suddetto intervento legislativo, la Corte costituzionale (sent. n. 113/2011) era intervenuta, dichiarando l’illegittimità dell’art. 630 c.p.p. (che, come appena visto, indica i casi in cui è ammessa la revisione) nella parte in cui non contemplava un caso di revisione ulteriore rispetto a quelli già previsti, volto specificamente a consentire la riapertura del processo quando risultasse necessario per conformarsi a una sentenza definitiva della Corte EDU (c.d. revisione europea). L’obiettivo perseguito dalla revisione europea è quello di porre il soggetto condannato in via definitiva nelle condizioni in cui si sarebbe trovato se nel processo a suo carico non fosse stata violata la Convenzione Europea.

Il neo introdotto art. 628 bis c.p.p. introduce pertanto una disciplina specifica del rimedio attivabile dal condannato in via definitiva nel caso in cui la Corte EDU abbia accertato, con decisione definitiva, una violazione della Cedu che abbia causato effetti pregiudizievoli nel processo a suo carico.

Competente a decidere è la Corte di cassazione che accoglie la richiesta quando la violazione accertata dalla Corte EDU ha avuto un’incidenza effettiva sulla sentenza di condanna pronunciata nei confronti del richiedente.

In caso di accoglimento, la Corte di cassazione adotta i provvedimenti necessari a rimuovere gli effetti pregiudizievoli causati dalla violazione della Convezione Europea, disponendo la revoca della sentenza quando non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, oppure disponendo la riapertura del processo nel grado e nella fase in cui si procedeva al momento in cui si è verificata la violazione.

Che cos’è la rescissione del giudicato?

La rescissione del giudicato è un’impugnazione straordinaria esperibile nei confronti delle sentenze di condanna irrevocabili nel caso in cui nel giudizio si sia proceduto, per errore, in assenza del condannato che, quindi, ha visto compromesso il suo diritto a partecipare al processo a suo carico.

Il condannato in via definitiva può chiedere la rescissione del giudicato qualora provi che:

non abbia avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo a suo carico prima della pronuncia della sentenza.

sia stato dichiarato assente in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge (art. 420 bis c.p.p.) per proseguire il giudizio anche in assenza dell’imputato;

non abbia potuto proporre impugnazione della sentenza nei termini previsti dalla legge senza sua colpa;

non abbia avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo a suo carico prima della pronuncia della sentenza.

Come si svolge il giudizio di rescissione?

La richiesta di rescissione del giudicato deve essere presentata alla Corte d’Appello nel cui distretto ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento entro il termine, stabilito a pena di inammissibilità, di 30 giorni dal momento dell’avvenuta conoscenza del procedimento.

La Corte d’Appello provvede sulla richiesta e, in caso di accoglimento, ha il solo potere di rescindere il giudicato e trasmettere gli atti al giudice della fase o del grado in cui si è verificata la nullità, senza svolgere alcuna valutazione di merito (c.d. fase rescindente).

In tal caso, si svolge un nuovo processo sul merito con la presenza del condannato che riacquista la qualifica di imputato (c.d. fase rescissoria).

Che cos’è il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto?

Il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto (art. 625 bis c.p.p.) è un mezzo di impugnazione straordinario esperibile nei confronti di sentenze irrevocabili che mira a correggere, in favore del condannato, un errore materiale (quali, ad esempio, l’erronea indicazione dei testi di legge o l’erroneo computo della quantità di pena) o un errore di fatto contenuto nel provvedimento pronunciato dalla Cassazione che ha determinato il passaggio in giudicato di una sentenza di condanna.

Si tratta di “sviste” che determinano un divario fra la volontà del giudice e la materiale rappresentazione grafica della stessa, la cui correzione non comporta comunque una modifica essenziale del decisum.

La richiesta può essere avanzata dal condannato o dal Procuratore generale entro 180 giorni dal deposito del provvedimento. 

Se accoglie la richiesta, la Corte di cassazione adotta i provvedimenti necessari per correggere l’errore.

Iscriviti alla newsletter per non perdere tutti gli aggiornamenti