Giustizia penale: i procedimenti speciali

A cura di: Benedetta Marialiliana Ceresoli, Dottoranda di diritto penale, Dipartimento C. Beccaria, Università degli Studi di Milano

Il procedimento ordinario – che consta della fase delle indagini preliminari, cui seguono la fase dell’udienza preliminare e, successivamente, la fase del dibattimento – costituisce la modalità normale, ma non esclusiva, di svolgimento del procedimento penale a carico dell’imputato.  Nel rito ordinario, in particolare, le garanzie difensive dell’indagato-imputato vengono tutelate nel grado massimo, specialmente in ragione del fatto che: 

  • l’impianto accusatorio formulato dalla Pubblica Accusa a seguito delle indagini preliminari viene sottoposto a un primo e oggi assai pregnante vaglio in punto di fondatezza, nel corso dell’udienza preliminare, che si svolge dinnanzi al G.U.P. (giudice dell’udienza preliminare); 
  • inoltre, le prove sulla base delle quali l’autorità giudiziaria in sede dibattimentale è chiamata a decidere vengono assunte nel contraddittorio tra le parti dinnanzi al giudice del dibattimento, e non invece unilateralmente da parte del P.M. 

Il codice di procedura penale, però, accanto al rito ordinario, conosce anche altre modalità di svolgimento del procedimento penale: il riferimento è, in particolare, ai c.d. procedimenti speciali.
procedimenti speciali (anche detti “riti speciali”) si distinguono dal procedimento ordinario perché omettono una o più fasi del procedimento penale per finalità di economia processuale. In particolare, possono essere omesse: la fase dell’udienza preliminare; la fase del dibattimento; o entrambe. In taluni casi, la velocizzazione del procedimento penale derivante dall’accesso ai riti speciali e la conseguente contrazione del diritto di difesa dell’imputato (art. 24 Cost.) che da ciò deriva possono essere contro-bilanciate tramite il riconoscimento di effetti premiali per l’imputato, che si sostanziano in uno “sconto” di pena o in benefici assimilabili: sono questi i c.d. riti alternativi premiali. 

I procedimenti speciali non premiali che omettono la fase dell’udienza preliminare sono: 

  • il giudizio immediato, disciplinato negli artt. 453 e ss. c.p.p.; 
  • e il giudizio direttissimo, disciplinato negli artt. 449 e ss. c.p.p.

Invece, i principali procedimenti alternativi e premiali – che omettono talvolta il solo dibattimento e, talaltra, anche l’udienza preliminare – sono: 

  • il giudizio abbreviato, di cui agli artt. 438 e ss. c.p.p.; 
  • l’applicazione della pena su richiesta delle parti (più nota con il termine “patteggiamento”), disciplinata negli artt. 444 e ss. c.p.p.; 
  • e il procedimento per decreto, di cui agli artt. 459 e ss. c.p.p.

A quelli ora menzionati, si aggiungono altri istituti, aventi natura ibrida (sostanziale e processuale), che hanno il principale effetto di determinare l’estinzione del reato ma che, comunque, proprio per la loro natura ibrida, vengono talvolta ricondotti in dottrina nella categoria dei riti alternativi premiali, ossia: 

  • la sospensione del procedimento con messa alla prova, disciplinata negli artt. 168-bis e ss. c.p. nonché negli artt. 464-bis e ss. c.p.p.; 
  • e l’oblazione, di cui agli artt. 162 e ss. c.p.
Che cos’è il giudizio immediato?

Il giudizio immediato (artt. 453 e ss. c.p.p.) ha la caratteristica di eliminare l’udienza preliminare; pertanto, dalle indagini preliminari si transita direttamente al dibattimento. 

L’omissione di questa fase processuale può dipendere da una scelta dell’imputato (raramente) oppure (più frequentemente) da una scelta del P.M., fondata sul fatto che il quadro probatorio conferma con probabilità tendente alla “certezza processuale” la reità dell’imputato medesimo e, quindi, può ritenersi superfluo lo svolgimento dell’udienza preliminare in funzione di “filtro” della fondatezza dell’impianto accusatorio.

Quali benefici ha l’imputato nel giudizio immediato?

Il giudizio immediato non esplica effetti premiali nei confronti dell’imputato

Quali sono le tipologie di giudizio immediato?

Esiste il giudizio immediato c.d. su richiesta dell’imputato; tale richiesta può essere presentata al G.U.P. solo dopo la conclusione delle indagini preliminari e la fissazione dell’udienza preliminare. Non sono richiesti requisiti ulteriori. Sulla richiesta decide il G.U.P., a cui spetta rimettere le parti dinnanzi al giudice del dibattimento. 

Esiste, poi, il giudizio immediato c.d. per evidenza della prova, che può essere richiesto dal P.M. quando ricorrono le seguenti condizioni: la prova della reità dell’imputato appare evidente alla luce del compendio probatorio; e l’indagato è stato interrogato, o è stato invitato a rendere interrogatorio, ma ha omesso di presentarsi senza giustificato motivo. 

Esiste, infine, il giudizio immediato c.d. custodiale (di più recente introduzione), che può essere richiesto dal P.M. a condizione che l’imputato risulti detenuto in carcere in via cautelare e, quindi, sia gravemente indiziato di aver commesso il reato, ma non siano ancora decorsi 180 giorni dall’inizio della detenzione.

Sulla richiesta del P.M., in entrambi i casi, decide il giudice per le indagini preliminari. Se il G.I.P. non accoglie la richiesta, restituisce gli atti al P.M; invece, se la richiesta viene accolta, il G.I.P. rimette le parti al giudice del dibattimento e il procedimento prosegue dinnanzi a quest’ultimo giudice, salvo che l’imputato formuli richiesta di accesso a uno dei riti alternativi (nel qual caso, si apre il rito alternativo dinnanzi allo stesso G.I.P.). 

Che cos’è il giudizio direttissimo?

Anche il giudizio direttissimo (artt. 449 e ss. c.p.p.) – come il giudizio immediato – elimina l’udienza preliminare, con ciò consentendo di passare dalle indagini preliminari direttamente al dibattimento, e non ha effetti premiali. 

Esso si caratterizza (in ciò differenziandosi dal giudizio immediato) per i presupposti. Infatti, per instaurare il giudizio direttissimo sono richiesti: l’arresto in flagranza; o la confessione resa dall’indagato. 

Spetta al P.M. procedere per rito direttissimo, presentando l’imputato direttamente davanti al giudice del dibattimento.

Dopodiché, se il giudice ritiene mancanti i presupposti per il rito direttissimo, restituisce gli atti al P.M.; altrimenti, il giudizio si incardina davanti al giudice delle direttissime. 

Quali sono le tipologie di giudizio direttissimo?

Anzitutto, il P.M. deve procedere con giudizio direttissimo (salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini preliminari), quando: l’indagato è stato arrestato in flagranza di reato; l’arresto è stato convalidato dal G.I.P.; e all’indagato è stata applicata la custodia cautelare in carcere. In questi casi, il P.M. deve far condurre l’accusato in udienza entro 30 giorni dall’arresto. 

In secondo luogo, il P.M. deve procedere con giudizio direttissimo (salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini preliminari), quando l’indagato abbia reso una confessione all’autorità giudiziaria nel corso di un interrogatorio. In questi casi, l’udienza deve svolgersi entro 30 giorni dall’iscrizione della notizia di reato nel R.G.N.R.

In terzo luogo, il P.M. può procedere con giudizio direttissimo quando: l’accusato viene arrestato in flagranza; il P.M. ritiene già sussistenti in quel momento elementi probatori idonei a suffragare l’accusa in giudizio; e, quindi, il P.M. ritiene di chiedere direttamente al giudice del dibattimento la convalida dell’arresto. In questi casi, l’udienza di convalida deve tenersi entro 48 ore dall’arresto e, in assenza di convalida, non si può procedere per rito direttissimo, a meno che non sussista il consenso dell’imputato e del P.M. Se il giudice del dibattimento dispone la convalida, si può procedere per rito direttissimo, con conseguente apertura del dibattimento, salvo il c.d. termine a difesa dell’imputato. 

Nel giudizio direttissimo, l’imputato può avere accesso a riti alternativi?

Sì, prima che si apra formalmente il dibattimento, l’imputato che sia stato condotto o citato davanti al giudice delle direttissime può richiedere l’accesso a un rito alternativo ed evitare, così, il dibattimento (ad es.: giudizio abbreviato; patteggiamento).

Che cos’è il giudizio abbreviato?

Il giudizio abbreviato (artt. 438 e ss. c.p.p.) è un rito speciale che consente al G.U.P. di pronunciare, già al momento dell’udienza preliminare, la decisione di merito (proscioglimento o condanna). 

Tale rito presuppone la richiesta dell’imputato e si svolge in camera di consiglio (non in pubblica udienza); il giudice dovrà decidere sulla base degli atti e delle prove – raccolti dal Pubblico Ministero nonché dall’Avvocato nel corso delle indagini preliminari e delle indagini difensive – contenuti nel fascicolo del P.M.

Per quali reati è ammissibile il giudizio abbreviato?

Per i reati commessi a partire dal 20 aprile 2019, l’imputato può richiedere l’accesso al rito abbreviato solo a condizione che essi siano puniti con una pena diversa dall’ergastolo.  

Quali benefici ha l’imputato nel giudizio abbreviato?

In caso di condanna, l’imputato ha diritto a uno sconto di pena e, precisamente, a: una riduzione di 1/3 della pena da irrogare, se ha commesso un delitto; o una riduzione di 1/2, se ha commesso una contravvenzione. 

A partire dalla riforma Cartabia, se l’imputato non impugna la sentenza di condanna emessa nel giudizio abbreviato, ha diritto ad un ulteriore sconto di pena: una riduzione di 1/6 sulla pena irrogata, a prescindere dal tipo di reato commesso (delitto o contravvenzione). 

Quali sono le due tipologie di giudizio abbreviato a cui l’imputato può avere accesso?

Il giudizio abbreviato può essere di due tipi: giudizio abbreviato c.d. secco; e giudizio abbreviato c.d. condizionato.

Il giudizio abbreviato secco impone al giudice di assumere una decisione esclusivamente sulla base del compendio probatorio contenuto nel fascicolo del Pubblico Ministero. 

Non sarà quindi possibile, ad esempio, ascoltare alcun testimone o disporre alcuna perizia davanti al giudice prima della decisione.Nel giudizio abbreviato condizionato, l’imputato viene giudicato: sulla base degli atti contenuti nel fascicolo del P.M.; e, in aggiunta, sulla base di una o più prove che vengono assunte davanti al giudice, prima della decisione, su richiesta dell’imputato. Le prove richieste dall’imputato devono essere “necessarie” per la decisione del giudice e non devono pregiudicare l’economia processuale tipica del giudizio abbreviato; altrimenti, la richiesta di giudizio 

Che cosa sono i giudizi abbreviati “atipici”?

Con il termine “giudizi abbreviati atipici” si fa riferimento al fatto che il giudizio abbreviato può innestarsi: non solo sul procedimento ordinario (privandolo della fase del dibattimento), davanti al giudice dell’udienza preliminare; ma anche sui procedimenti speciali che omettono l’udienza preliminare (ad es.: giudizio immediato; giudizio direttissimo), davanti al giudice di volta in volta competente (con conseguente omissione, anche in questi casi, della fase del dibattimento).  

Il danneggiato da reato può richiedere il risarcimento nel rito abbreviato?

Il danneggiato da reato può costituirsi parte civile e richiedere, così, il risarcimento del danno in sede penale, anche se l’imputato sceglie di essere giudicato col rito abbreviato.

Che cos’è l’applicazione della pena su richiesta delle parti? 

L’applicazione della pena su richiesta delle parti (artt. 444 e ss. c.p.p.) – in gergo: “patteggiamento” – è un rito speciale che presuppone: la proposta, proveniente dall’imputato e diretta alla Pubblica Accusa, di applicazione di una pena, quantificata dall’imputato medesimo; e l’accettazione della proposta da parte del P.M.

Dopodiché, se il giudice ritiene congrua la pena concordata tra le parti, la applica con sentenza; altrimenti, non può fare altro che respingere la richiesta pervenuta dalle parti e dar seguito al procedimento.

La sentenza con cui viene applicata la pena su richiesta delle parti non equivale a una sentenza di condanna perché, formalmente, l’imputato che “accetta” la pena non ammette per ciò solo la sua responsabilità penale. L’accettazione della pena si sostanzia, tecnicamente ed esclusivamente, in una rinuncia a difendersi nel processo e, quindi, in una rinuncia al processo.

Quali benefici ha l’imputato nel patteggiamento?

La sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti non ha legalmente il valore di una sentenza di condanna penale. 

Inoltre, con il patteggiamento, l’imputato ha diritto a una riduzione di pena fino a 1/3. 

Che differenza c’è tra il patteggiamento c.d. tradizionale e il patteggiamento c.d. allargato?

Il patteggiamento tradizionale viene in rilievo quando – qualunque sia il reato contestato – la pena “patteggiata”, tenuto conto della riduzione fino a 1/3 derivante da questo rito speciale, non supera i 2 anni di pena detentiva, soli o congiunti a pena pecuniaria. 

A questa forma di patteggiamento conseguono ulteriori benefici secondari (ad es. in materia di: pene accessorie; spese del procedimento penale; estinzione del reato).

Il patteggiamento allargato viene in rilievo quando la pena “patteggiata”, tenuto conto della riduzione fino a 1/3 derivante da questo rito speciale, non supera i 5 anni di pena detentiva. 

Non sempre l’imputato può accedere al patteggiamento allargato. Sono esclusi, infatti, dall’ambito applicativo di tale rito: molteplici reati considerati “gravi” (ad es.: associazione mafiosa; violenza sessuale); nonché alcuni specifici soggetti (ad es.: recidivi reiterati). 

Il danneggiato da reato può richiedere il risarcimento del danno in caso di patteggiamento?

No, se il giudice accoglie la richiesta di applicazione della pena su richiesta delle parti, non può decidere sulla richiesta di risarcimento del danno derivante dal reato, la quale dovrà allora essere proposta dal danneggiato al giudice civile.

Nella prassi, tuttavia, il P.M. è spesso restio a concedere il consenso per il patteggiamento, qualora l’imputato non abbia già risarcito il danneggiato da reato; cosicché, il risarcimento del danno diviene spesso un presupposto implicito (e legalmente non richiesto) per l’accesso a tale rito, in un’ottica di bilanciamento tra i diversi interessi in gioco. 

Che cos’è il procedimento per decreto?

Il procedimento per decreto penale di condanna (artt. 459 e ss. c.p.p.) comporta l’eliminazione sia dell’udienza preliminare sia del dibattimento. Inoltre, rientra tra i riti alternativi; quindi, necessita del consenso dell’indagato ed esplica effetti premiali.  

Più precisamente, questo procedimento speciale può operare solo nei casi in cui: il P.M. e il G.I.P. ritengono che si possa irrogare la sola pena pecuniaria e che non debba essere applicata alcuna misura di sicurezza all’autore del reato; inoltre, non sia ancora decorso 1 anno dall’iscrizione della notizia di reato nel R.G.N.R.

L’instaurazione di tale rito dipende da un’iniziativa del P.M. e si conclude con l’emissione di un decreto penale di condanna ad opera del G.I.P., inaudita altera parte (ossia: senza il previo interpello dell’imputato); tuttavia, l’imputato – entro 15 giorni dalla notifica del decreto penale di condanna – può presentare formale opposizione al decreto, per accedere agli altri riti alternativi o per affrontare il dibattimento.

Trattandosi di procedimento speciale con effetti premiali, esso comporta per l’imputato uno “sconto” di pena.

Per quali reati è ammissibile il procedimento per decreto?

La legge non pone preclusioni specifiche, ma nei fatti questo procedimento speciale può operare solo se il reato è punibile in concreto con pena esclusivamente pecuniaria e, cioè, in definitiva, solo rispetto a reati già in astratto “bagatellari”, non gravi. 

Così, ad esempio, è da escludere che tale rito alternativo possa venire in rilievo con riferimento ai delitti di rapina o di omicidio. 

Quali benefici ha l’imputato in caso di decreto penale di condanna?

Nel procedimento per decreto, all’imputato può essere irrogata una pena pecuniaria diminuita fino alla metà rispetto al minimo edittale. 

Inoltre, a partire dalla riforma Cartabia, è stato introdotto un ulteriore incentivo premiale, ossia la riduzione aggiuntiva di 1/5 della pena irrogata, in favore del condannato che: rinuncia a proporre l’opposizione al decreto; e paga la sanzione pecuniaria entro 15 giorni dalla notifica del decreto di condanna. 

Che cos’è la sospensione del procedimento con messa alla prova (M.A.P.)?

La sospensione del procedimento con messa alla prova (artt. 168-bis e ss. c.p.) è un istituto di diritto penale introdotto per gli adulti nel 2014; invece, per i minorenni era previsto già in passato.  

Il giudice, su richiesta dell’imputato, può disporre la M.A.P. e, così, il procedimento penale entra in una fase di quiescenza, durante la quale l’imputato – per il periodo di tempo stabilito dal giudice – è tenuto a svolgere attività di pubblica utilità e a rispettare le ulteriori prescrizioni imposte col provvedimento di ammissione alla M.A.P.

Se la “prova” a cui viene sottoposto l’imputato ha esito positivo, il giudice pronuncia sentenza di estinzione del reato. Se, invece, l’imputato fallisce la “prova”, il procedimento penale riprende il suo corso a carico dell’imputato medesimo. 

Quali sono i presupposti operativi della M.A.P.?

Nel sistema penale degli adulti, la M.A.P. è ammissibile solo per: i reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria; i reati puniti con pena edittale detentiva fino a 4 anni nel massimo; e i reati tassativamente elencati nell’art. 550, comma 2, c.p.p.

Inoltre, la M.A.P. non può essere concessa più di una volta all’imputato. 

Infine, la M.A.P. è esclusa per talune specifiche categorie di soggetti, ossia per i delinquenti abituali, professionali o per tendenza. 

Nel sistema penale dei minorenni, la M.A.P. può invece essere richiesta per qualsiasi reato. 

Quali benefici ha l’imputato con la M.A.P.?

Se la M.A.P. ha esito positivo, l’imputato evita il rischio di andare incontro ad una sentenza penale di condanna. Infatti, l’esito positivo della messa alla prova determina l’estinzione del reato. 

Che cos’è il programma di trattamento?

Il programma di trattamento è il corredo di prescrizioni, elaborato dall’Ufficio di esecuzione penale esterna (U.E.P.E.), a cui l’imputato nel corso della “prova” deve attenersi. Si tratta del documento principale e fondamentale che il giudice deve acquisire per poter disporre formalmente l’ammissione dell’imputato alla M.A.P. e la conseguente sospensione del procedimento penale. 

Che cos’è l’oblazione?

L’oblazione (artt. 162 e ss. c.p.) è un rito alternativo tramite cui si realizza l’estinzione del reato, a fronte del pagamento allo Stato di una somma di denaro prestabilita.

Quali sono i reati “oblazionabili”?

I reati per cui è ammessa oblazione sono esclusivamente i reati contravvenzionali e, più precisamente, i reati contravvenzionali puniti in astratto, o che il giudice punirebbe in concreto, con la pena pecuniaria dell’ammenda. 

Quali sono le due tipologie di oblazione previste?

Il Codice prevede due diverse tipologie di oblazione, obbligatoria e discrezionale. 

L’oblazione obbligatoria (ordinaria) viene in rilievo rispetto alle contravvenzioni punite esclusivamente con la pena edittale pecuniaria. Se l’imputato richiede l’accesso all’oblazione, il giudice non può respingere la richiesta. 

L’oblazione discrezionale (speciale) viene in rilievo rispetto alle contravvenzioni punite con la pena alternativa, ossia punite in via edittale con pena pecuniaria con pena detentiva. La richiesta di oblazione proveniente dall’imputato necessita di essere vagliata dal giudice, il quale può sempre respingerla se ritiene il fatto di reato troppo grave per potere essere oblazionato. In ogni caso, l’oblazione discrezionale è esclusa per talune categorie di soggetti (es. recidivi reiterati). 

L’oblazione, invece, non è ammessa per i reati contravvenzionali che sono necessariamente puniti sia con la pena detentiva dell’arresto sia con la pena pecuniaria dell’ammenda. 

Quali benefici ha l’imputato con l’oblazione?

Con l’oblazione, l’imputato evita il rischio di andare incontro ad una sentenza penale di condanna. Infatti, il pagamento della somma di denaro a titolo di oblazione determina l’estinzione del reato. 

Iscriviti alla newsletter per non perdere tutti gli aggiornamenti