A cura di: dott.ssa Arianna Filisetti
Il procedimento penale è costituito da diverse fasi. Le indagini preliminarirappresentano la prima fase che ha inizio nel momento in cui una notizia di reato perviene alla Polizia giudiziaria o al Pubblico Ministero e terminano quando quest’ultimo esercita l’azione penale, dando avvio, così, al vero e proprio processo penale, ovvero ottiene dal Giudice l’archiviazione da lui richiesta.
Durante tale fase il Pubblico ministero e/o la Polizia giudiziaria, eventualmente dal primo delegata, svolgono attività investigativa finalizzata alla ricostruzione del fatto – reato e all’individuazione del colpevole. L’art. 327 c.p.p. affida la direzione di tale attività al Pubblico Ministero in attuazione del principio costituzionale di cui all’art. 109 che recita che l’autorità giudiziaria dispone direttamente della Polizia giudiziaria.
Occorre sin da subito precisare che gli atti compiuti in tale fase primordiale vanno distinti a seconda che siano di iniziativa del Pubblico Ministero (artt. 358 e ss. c.p.p.) o di iniziativa della Polizia giudiziaria (artt. 347 e ss. c.p.p.) in quanto soggiacciono a regolamentazione parzialmente diversa, anche sotto il profilo dell’utilizzabilità nel processo.
In ossequio al principio costituzionale del contradditorio (art. 111, c.4, Cost.), recepito dall’art. 526 c.p.p., il Giudice non può decidere utilizzando prove differenti da quelle acquisite nel processo (che si ribadisce essere la fase successiva alle indagini preliminari, che si instaura nell’ipotesi in cui il Pubblico Ministero decida di esercitare l’azione penale). Pertanto, salvo eccezioni, gli atti di indagine, essendo coperti da segreto investigativo e compiuti in una fase antecedente al processo vero e proprio, restano inutilizzabili sino alla decisione pronunciata all’esito del processo dibattimentale.
Le finalità di tale fase sono molteplici: i) in primo luogo l’attività investigativa svolta consente al Pubblico Ministero, come anticipato, di accertare il fatto – reato e individuare il colpevole e, dunque, di decidere se esercitare l’azione penale o chiedere l’archiviazione del caso; ii) in secondo luogo, gli atti compiuti consentono al Giudice delle indagini di assumere le proprie decisioni in merito alle richieste del Pubblico Ministero; iii) in terzo luogo, con determinate cautele e in via eccezionale, alcuni di tali atti possono essere utilizzati dal Giudice del processo per emettere la decisione finale.
Quali iniziative ha la Polizia giudiziaria?
La direzione delle indagini preliminari, come anticipato, è affidata al Pubblico Ministero il quale ha poteri di iniziativa ben più ampi rispetto a quelli riconosciuti dal legislatore alla Polizia giudiziaria.
In genere si parla di dipendenza funzionale della Polizia giudiziaria, proprio poiché essa svolge le proprie funzioni sotto la direzione del Pubblico Ministero e sotto la sorveglianza del Procuratore generale presso la Corte d’Appello, il quale è legittimato a dare inizio al procedimento disciplinare contro l’Ufficiale o Agente di Polizia in caso di trasgressione dei doveri correlati al proprio ufficio.
Nell’ambito dell’attività svolta di iniziativa della Polizia giudiziaria vi è quella di iniziativa autonoma, vale a dire finalizzata alla raccolta di ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto – reato e alla individuazione di un colpevole (art. 348, c.1, c.p.p.).
Vi è poi l’attività di iniziativa successiva, ossia che prende atto una volta ricevute le direttive (c.d. temi di indagine) da parte del Pubblico Ministero. Tale attività si articola, a sua volta, in iniziativa guidata o parallela: la prima consiste nella stretta esecuzione delle direttive del Pubblico Ministero, la seconda comprende tutte quelle attività che la Polizia compie per accertare reati di cui deve informare prontamente il Pubblico Ministero titolare delle indagini.
Infine, è prevista la cosiddetta iniziativa integrativa, ossia svolta sulla base di dati emersi a seguito del compimento di atti delegati dal Pubblico Ministero.
La Polizia giudiziaria può compiere atti che richiedono specifiche competenze tecniche?
Sì, l’art. 348, c.4, c.p.p. legittima la Polizia giudiziaria a compiere operazioni di propria iniziativa necessitanti specifiche competenze tecniche.
A tal fine, la Polizia giudiziaria, che potrebbe non avere tali apposite competenze, può avvalersi di soggetti ausiliari che la coadiuvano nelle attività e che non possono rifiutare la propria opera. Pertanto, va mantenuta ben distinta la figura degli ausiliari della Polizia giudiziaria che la affiancano, la coadiuvano nell’attività da lei condotta, da quella dei Consulenti tecnici che, diversamente, svolgono attività in proprio a seguito di uno specifico incarico.
La Polizia giudiziaria, inoltre, nell’ambito degli atti di indagine che può compiere, dispone – in alcuni casi – di poteri coercitivi.
Che cosa sono le SIT?
L’art. 350 c.p.p. disciplina 3 diverse modalità con cui la persona sottoposta alle indagini può in tale fase rendere dichiarazioni alla Polizia giudiziaria. Si tratta di modalità differenti nei presupposti e nell’utilizzabilità.
Le informazioni con la presenza del difensore sono una delle diverse modalità con cui l’indagato libero può rendere dichiarazioni.
In tal caso esse sono assunte da un Ufficiale di Polizia giudiziaria alla presenza necessaria del difensore che, se non nominato, viene individuato nel difensore d’ufficio di turno.
La c.d. Riforma Cartabia ha previsto che, su richiesta della Polizia giudiziaria, quando l’indagato e il difensore vi consentano, il Pubblico Ministero può autorizzare lo svolgimento dell’atto a distanza.
Le dichiarazioni spontanee possono essere rese dall’indagato libero o arrestato, dinanzi a un Ufficiale o Agente di Polizia giudiziaria .
Le informazioni per la prosecuzione delle indaginirappresentano la terza e ultima modalità che consente agli Ufficiali di Polizia giudiziaria di porre domande all’indagato libero o arrestato, anche in assenza del difensore, soltanto sul luogo o nell’immediatezza del fatto di reato. La finalità è quella di garantire l’immediata prosecuzione delle indagini; è vietata la documentazione e l’utilizzazione di tali dichiarazioni, se non per il fine sopra esposto.
In cosa consistono le SIT rese da persone diverse dall’indagato?
Tale attività di indagine di iniziativa della Polizia giudiziaria consiste nell’assumere informazioni da persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini.
Nella prassi, i dichiaranti vengono denominati “possibili testimoni” ovvero “persone informate sui fatti”.
La loro posizione processuale, difatti, è equiparata a quella di un testimone e ciò implica che nei loro confronti, diversamente dall’indagato, incombe l’obbligo di dire la verità.
Nel caso di persona informata vulnerabile come, ad esempio, minorenni in relazione a delitti di prostituzione minorile, adescamento di minori ecc., la Polizia giudiziaria deve avvalersi dell’ausilio di un esperto in psicologia o psichiatria nominato dal Pubblico Ministero che lo coadiuva nell’attività di indagine, offrendo altresì assistenza alla persona vulnerabile.
All’assunzione di tali informazioni può provvedere solo un Ufficiale di Polizia.
Quest’ultimo può sentire a sommarie informazioni di propria iniziativa anche un imputato (o indagato) in un procedimento connesso o collegato, purché assistito dal proprio difensore di fiducia, ovvero d’ufficio eventualmente designato, tempestivamente avvisato affinché possa assistere a tale attività di indagine.
In cosa consiste e quali finalità ha l’attività di identificazione?
L’attività di identificazione, disciplinata dall’art. 349 c.p.p., consiste essenzialmente nell’attribuire un nome a un volto, affinché chiunque abbia avuto a che fare con il fatto – reato, direttamente o indirettamente, ovvero chiunque possa avere un ruolo nel procedimento, sia individuato.
Il codice prevede la possibilità di esercitare un potere coercitivo in capo alla Polizia giudiziaria: ogni qual volta in cui un soggetto si rifiuti di fornire le proprie generalità ovvero le fornisca false, è possibile disporre l’accompagnamento coattivo presso gli Uffici della Polizia per il tempo strettamente necessario per identificarlo o, comunque, non oltre 12 ore ovvero 24 nel caso di identificazione particolarmente complessa ovvero necessitante l’assistenza dell’interprete o dell’autorità consolare, e in tal caso con facoltà per il soggetto di chiedere di avvisare un familiare o un convivente.
Di tale attività viene redatto un verbale.L’identificazione è un atto tipico non garantito, ciò significa che non va dato alcun avviso al difensore che, in ogni caso, non potrebbe parteciparvi.
Come avviene l’identificazione della persona indagata?
La persona indagata è invitata a dichiarare le proprie generalità, con l’avvertimento che costituisce reato sia il rifiutarsi di fornirle, sia fornirle false. Infatti, la facoltà di non rispondere non si applica alle dichiarazioni sulla propria identità personale (ma si applica, sulle domande relative alle condizioni personali)[1].
Nel caso di identificazione dell’indagato, la Polizia giudiziaria può procedere, ove occorra, a rilievi antropometrici, fotografici o dattiloscopici.
Tra i rilievi da compiersi nei confronti dell’indagato è compreso il prelievo di capelli o saliva che può avvenire previo consenso dell’interessato. Nel caso di mancato consenso, la Polizia giudiziaria può procedere coattivamente previa autorizzazione, scritta ovvero orale e poi confermata per iscritto, del Pubblico ministero, nel rispetto della dignità personale dell’indagato.
In sede di identificazione l’indagato viene invitato a eleggere domicilio per tutte le notificazioni che si renderanno necessarie nel corso del procedimento. In ogni caso, ogni atto verrà comunque notificato anche al difensore.
[1] La Corte Costituzionale, con Sent. n. 111 del 5.6.2023 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 64, c.3, c.p.p., nella parte in cui non prevede che gli avvertimenti ivi indicati siano rivolti alla persona sottoposta alle indagini, o all’imputato, prima che vengano loro richieste le informazioni di cui all’art. 21 norme att. cod. proc. pen., nonché l’illegittimità costituzionale dell’art. 495, c.1, c.p., nella parte in cui non esclude la punibilità della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato che, richiesti di fornire le informazioni indicate nell’art. 21 norme att. cod. proc. pen. senza che siano stati loro previamente formulati gli avvertimenti di cui all’art. 64, c.3, c.p.p., abbiano reso false dichiarazioni.
In cosa consistono e quali finalità hanno i rilievi e gli accertamenti urgenti nell’ambito di un sopralluogo?
Tali attività di indagine rappresentano un fondamentale atto di tipo investigativo per reperire prontamente sul luogo del reato tracce che potrebbero, nel tempo, essere perse.
I rilievi, gli accertamenti urgenti e il sequestro sono atti che per loro natura non sono ripetibili. Pertanto, diversamente da altri atti di indagine, una volta disposto il rinvio a giudizio dell’indagato, confluiscono nel fascicolo del processo.
Quali sono gli adempimenti che compie la Polizia giudiziaria nell’ambito di un sopralluogo?
L’attività di conservazione consiste nel curare che le cose o tracce pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi non sia mutato prima dell’intervento del Pubblico Ministero.
I rilievi urgenti consistono nell’attività di osservazione, nonché descrizione delle tracce e degli effetti materiali del reato.
Il carattere d’urgenza implica l’impossibilità di un intervento tempestivo del Pubblico Ministero ovvero il pericolo che il decorso del tempo comporti il mutamento dello stato dei luoghi o la perdita delle tracce. Tale attività compete agli Ufficiali di Polizia giudiziaria.
Gli accertamenti urgenti sono un’attività compiuta laddove ricorrano i medesimi presupposti d’urgenza di cui supra, che possono essere compiuti da un Ufficiale ovvero, nei casi di particolare urgenza, da un Agente di Polizia giudiziaria.
La polizia agisce di propria iniziativa per conservare elementi di prova senza modificarli. Nel caso in cui l’attività possa comportare un mutamento dell’elemento probatorio, a tale accertamento provvede il Pubblico Ministero.
Il sopralluogo di supporti e sistemi informatici (c.d. repertamento informatico) è un’attività di indagine che può essere compiuta da Ufficiali di Polizia giudiziaria nell’eventualità in cui sul posto siano reperiti dati, informazioni e programmi/sistemi telematici dai quali è possibile reperire informazioni utili ai fini delle indagini.
È necessario garantire la conservazione di tali dati e impedirne l’alterazione. Ove possibile, è ammessa la duplicazione su supporti idonei che garantiscano la conformità all’originale e la immodificabilità della copia.
Il sequestro probatorio è l’attività tipica per assicurare le fonti di prova.
La Polizia giudiziaria può procedere a sequestro ogni qualvolta in cui vi è impossibilità che il Pubblico Ministero intervenga tempestivamente, ovvero quando quest’ultimo non abbia ancora assunto la direzione delle indagini.
Tale attività è sottoposta a convalida da parte del Pubblico Ministero del luogo in cui si è compiuta. Al PM viene trasmesso il verbale redatto dalla Polizia giudiziaria entro 48h dal compimento del sequestro; la convalida avviene mediante decreto da emettersi nelle 48h successive alla ricezione del verbale, laddove ne ricorrano i presupposti.
L’acquisizione di reperti biologici, facenti parte sia della sfera personale che rinvenuti in luoghi, cadaveri o cose, è un’attività che può essere compiuta dalla Polizia giudiziaria anche al di fuori dei sopralluoghi.
La Polizia giudiziaria può, altresì, procedere al prelievo coattivo di materiale biologico esclusivamente nei confronti dell’indagato al solo fine di provvedere alla sua identificazione. In tutti gli altri casi, è necessario il consenso dell’interessato.
Gli accertamenti obbligatori previsti dal codice della strada sono un’altra attività che compete alla Polizia giudiziaria e che consiste nel sottoporre i conducenti a esami qualitativi non invasivi anche attraverso apparecchi portatili, al fine di verificare lo stato di ebrezza o di alterazione psico – fisica per uso di sostanze stupefacenti.
Nel caso di accertato stato di ebrezza, la Polizia giudiziaria può accompagnare il conducente al più vicino Ufficio al fine di effettuare l’accertamento con strumenti determinati dal regolamento. Nel caso di accertato stato di alterazione psico – fisica per uso di sostanze stupefacenti, la Polizia giudiziaria può sottoporre il conducente ad accertamenti clinico – tossicologici e strumentali o analitici su campioni di mucosa del cavo orale prelevati a cura di personale sanitario ausiliario delle forze di Polizia, anche mediante accompagnamento presso strutture sanitarie fisse o mobili.
In cosa consiste l’attività di perquisizione? Quali sono i requisiti?
Tra le diverse attività di indagine di iniziativa della Polizia giudiziaria vi rientra anche la perquisizione finalizzata alla ricerca di cose o tracce pertinenti al reato, ovvero la persona dell’indagato o dell’evaso.
Gli appena citati oggetti della perquisizione sono il primo dei quattro requisiti necessari per il compimento tale attività.
Il secondo requisito attiene alle situazioni in cui la Polizia giudiziaria può procedere alle perquisizioni: i) nella flagranza del reato; ii) in caso di evasione; iii) nel caso di fermo dell’indagato o laddove si proceda a dare esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare ovvero all’ordinanza che dispone la carcerazione per uno dei delitti per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.
Il terzo requisito è dato dal pericolo nel ritardo, ovvero dal fatto che le cose o le tracce possano cancellarsi o disperdersi con il trascorrere del tempo.
Quarto e ultimo requisito è il fondato motivo di ritenere che nel luogo o sulla persona vi siano le cose o tracce ricercate. La Polizia giudiziaria deve avere a disposizione elementi obbiettivi dai quali emerga la sufficiente probabilità che quanto ricercato si trovi ove viene effettuata la perquisizione.
Di tale attività viene redatto un verbale che la Polizia giudiziaria deve trasmettere al Pubblico Ministero del luogo ove ha condotto l’attività per la successiva convalida con decreto motivato.
In cosa consiste la relazione di servizio? Da chi viene redatta e dove viene conservata?
La doppia qualifica della Polizia giudiziaria, che generalmente cumula anche la funzione di polizia di sicurezza, impone l’obbligo di redigere una relazione di servizio che è destinata al Dirigente dell’Ufficio, con la quale viene riferito tutto quanto emerso durante il servizio.
Tale atto viene inserito nel fascicolo del dibattimento solo ove irripetibile, ovvero descriva situazioni o persone soggette e mutamento non riproducibili genuinamente mediante la narrazione ad opera del verbalizzante. Diversamente, non confluiranno nel fascicolo del processo.