A cura di: Arianna Filisetti e Giulia Muraro
Il procedimento penale ha la finalità di acclarare la fondatezza, o meno, della pretesa punitiva dello Stato in relazione a un determinato fatto – reato attribuito all’imputato.
Il nostro Legislatore ha scelto un procedimento di tipo accusatorio, ispirato al principio del contraddittorio nella formazione della prova e disciplinato dall’art. 111 Cost.
Il procedimento penale si distingue in due fasi: quella delle indagini preliminari, volta ad acquisire elementi utili al Pubblico Ministero per le sue determinazioni in ordine all’esercizio dell’azione penale, e quella più propriamente processuale, che ha inizio allorché l’azione penale venga esercitata. A tale articolazione per fasi corrisponde la differenza fra:
· mezzi di ricerca della prova, che trovano la loro collocazione fisiologica nel corso delle indagini preliminari;
· mezzi di prova, gli strumenti – acquisiti dinanzi al Giudice in dibattimento (o, in casi eccezionali previsti e disciplinati dal codice, avanti il Giudice delle Indagini Preliminari in un procedimento definito “incidente probatorio”) e nel contraddittorio fra le parti – attraverso cui specifici elementi divengono prove; prove su cui il Giudice, secondo una valutazione di cui dovrà dare atto nella motivazione del provvedimento giurisdizionale (sentenza), forma il proprio convincimento.
L’art. 187 c.p.p. stabilisce che sono oggetto di prova:
· i fatti che si riferiscono all’imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza;
· i fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali;
· nonché, nelle ipotesi in cui vi è costituzione di parte civile, quelli che riguardano la responsabilità civile che deriva dal reato .
Ai sensi dell’art. 188 c.p.p. non possono essere utilizzati, neanche con il consenso della persona interessata, metodi e tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o di alterare la capacità di ricordare e valutare i fatti.
In ossequio al principio dispositivo, l’art. 190 c.p.p. prevede che le prove sono ammesse su richiesta di parte, salvo i casi nei quali la legge stabilisce che il Giudice proceda d’ufficio.
Con riguardo al giudizio ordinario, una volta accertata la regolare costituzione delle parti e risolte le eventuali questioni preliminari, le parti formulano dinanzi al Giudice le proprie richieste istruttorie (in un processo accusatorio, infatti, sono le parti che devono offrire al Giudice gli elementi su cui dovrà decidere). Il Giudice ammette le prove richieste, mediante ordinanza, sempre revocabile, con il solo limite delle prove vietate dalla legge, manifestamente superflue o irrilevanti, e dichiara aperta l’istruttoria dibattimentale.
Le prove assunte in violazione della legge sono inutilizzabili, cioè non possono essere poste dal Giudice alla base della sua decisione.
La prova si contraddistingue in rappresentativa o indiziaria.
È rappresentativa quando il fatto oggetto di prova è direttamente provato mediante la sua rappresentazione a opera della fonte di prova (ad es. il Testimone).
È indiziaria, invece, quando la prova del fatto non è diretta, ma frutto di un ragionamento induttivo che trae origine da un dato certo dal quale si desume il fatto da provare secondo massime di esperienza o leggi scientifiche. La legge precisa, quanto alla prova indiziaria, che la esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi, a meno che essi non siano gravi, precisi e concordanti (art. 192 c.p.p.).
In cosa consiste l’oggetto della testimonianza?
La testimonianza è il tipico mezzo di prova che garantisce l’oralità e il citato diritto al contradditorio attraverso il c.d. esame incrociato (cross examination).
In senso tecnico – giuridico, non può dirsi che si ha testimonianza nelle fasi delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare, entrambe non finalizzate alla formazione della prova. In questo caso, la persona informata rende “informazioni” utili ai fini delle investigazioni e della decisione del GUP, ma non già “testimonianza”.
Oggetto della testimonianza sono fatti determinati e specifici, non anche giudizi sulla moralità dell’imputato, apprezzamenti personali o voci correnti.
Solo al fine di valutare la credibilità del testimone o la personalità della persona offesa dal reato, l’esame può estendersi a temi diversi da quelli racchiusi nell’incolpazione.
Le informazioni rese dalla persona offesa che rende testimonianza possono, da sole, essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, ma richiedono una particolare verifica circa la sua credibilità e circa l’attendibilità intrinseca del racconto.
Vi sono particolari accortezze nel caso di testimonianza da parte delle vittime di reati sessuali?
Per evitare che le vittime di reati sessuali patiscano in dibattimento una seconda violenza, questa volta psicologica, il nostro codice di procedura penale sancisce l’inammissibilità di domande sulla vita privata o sessuale della persona offesa, salvo che siano necessarie per la ricostruzione del fatto.
Tale disposizione si applica anche ai processi per reati di prostituzione e pornografia minorile.
Il nostro codice disciplina altresì una forma di audizione protetta, attivabile nel caso in cui si proceda per reati di violenza sessuale, prostituzione e pornografia minorile, che consiste nell’audizione del teste minore con l’assistenza di uno psicologo e senza il contatto delle parti con il Giudice.
In cosa consiste la testimonianza indiretta?
Affinché la dichiarazione testimoniale possa costituire elemento di prova (a carico o anche a discarico), il codice richiede che il testimone abbia conoscenza diretta dei fatti oggetto della sua deposizione. Allorché il testimone tragga la conoscenza dei fatti da terzi, questi ultimi (definiti testi di riferimento) devono essere chiamati a deporre, anche su impulso del Giudice.
La testimonianza indiretta serve, dunque, come mezzo per individuare nuove fonti di prova e per acquisire la loro conoscenza (ossia le prove).
Se le persone a cui il teste fa riferimento non sono chiamate a deporre, la testimonianza c.d. de relato sarà inutilizzabile, salvo che l’esame risulti impossibile per morte, infermità o irreperibilità del teste di riferimento.
Chi e quando acquisisce la capacità di testimoniare?
La capacità processuale di testimoniare appartiene a qualsiasi persona. Altra cosa è la capacità fisico – mentale di testimoniare, che attribuisce al teste credibilità e attendibilità e che può essere assoggettata anche ad accertamenti peritali.
Quando la testimonianza resa è falsa? Quali sono le conseguenze?
Il testimone, diversamente dall’imputato, ha l’obbligo giuridico di dire la verità.
Commette il reato di falsa testimonianza il testimone che afferma il falso o nega il vero o si manifesta reticente.
Va precisato che, in ordine al trattamento processuale della c.d. falsa testimonianza, il Giudice non è detentore di una verità già processualmente acquisita: innanzi a lui le prove sono in corso di formazione e tra queste rientra anche quella testimoniale.
Ciò implica che, nell’ipotesi in cui il Giudice avesse il sentore che quando affermato dal teste non corrisponda al vero, mancando – per l’appunto – una verità processuale precostituita, il Giudice ne informerà il Pubblico Ministero all’esito della fase processuale, allorché potrà avere un quadro probatorio più chiaro e completo; nell’immediatezza il Giudice ha solo la facoltà di rinnovare al teste l’avvertimento di dire la verità.
Chi sono le parti che possono essere esaminate?
Tale mezzo di prova investe le c.d. parti processuali e, più precisamente, le sole parti pubbliche, ossia l’imputato e la parte civile. La parte pubblica, ossia il Pubblico Ministero, non può essere sottoposta né all’esame né alla testimonianza.
Come funziona l’esame delle parti?
Mentre i testimoni hanno l’obbligo di deporre e dire il vero, le parti hanno solo la facoltà di assoggettarsi all’esame, essendo titolari di un interesse proprio nel processo e, quindi, legittimate a esercitare il diritto di difesa anche mediante rifiuto di sottoporvisi.
Esso si distingue dalla testimonianza anche perché non comporta l’impegno a dire la verità, né conseguenze penali in caso di falsità o reticenza nelle dichiarazioni o in caso di rifiuto dell’esame stesso.
Fa eccezione la parte civile che assume le vesti e gli obblighi del testimone allorché essa è a diretta conoscenza dei fatti oggetto dell’imputazione penale sui quali è in grado di testimoniare.
È obbligatorio presentarsi nel caso di invito del Giudice a rendere l’esame. Se la parte decidesse, poi, di sottoporsi all’esame, il rifiuto di rispondere alla singola domanda è suscettibile di valutazione probatoria, avendo già effettuato la scelta di rispondere.
È ammesso effettuare alle parti contestazioni laddove quanto dichiarato in sede di esame sia difforme a dichiarazioni rese in precedenza.
In cosa consiste il confronto nella fase delle indagini preliminari?
Il confronto è un atto a partecipazione necessariamente plurima; più parti, ovvero più testimoni, ovvero una parte e un testimone. Esso consiste nell’esame di tali soggetti, eseguito congiuntamente e nel loro contradditorio, allorché tra essi vi è disaccordo su fatti e circostanze già riferite in precedenza.
Le modalità del confronto, atto di istruzione probatoria che si svolge innanzi al Giudice, implicano per l’imputato l’assistenza del difensore e l’inesistenza di un obbligo di sottoporvisi o un impegno a dire la verità; per il testimone permangono tutti i doveri connessi al suo status, dettagliati supra. Quale mezzo di prova, il confronto – in linea di massima – può avere luogo solo innanzi a un Giudice in sede dibattimentale o nell’incidente probatorio.
Eccezionalmente, anche nelle indagini preliminari, il Pubblico Ministero o la Polizia giudiziaria possono procedere a confronto di soggetti che ancora non sono formalmente né imputati né testi.
In questo caso l’atto è utile solo ai fini delle investigazioni e non, già, per la formazione delle prove, sicché non riceve una particolare disciplina, salva l’utilizzabilità in dibattimento per le contestazioni.
Quali sono i “pro” e i “contro” delle ricognizioni?
La ricognizione è un mezzo di prova che consiste in un raffronto tra una percezione attuale e il ricordo di una percezione passata: chi la esegue è chiamato a dire se v’è coincidenza.
Le ricognizioni possono avere ad oggetto qualsiasi sensazione: suoni, odori, sapori, ma di prassi nell’ambito processuale solitamente si tratta di percezioni visive.
La ricognizione classica è quella attraverso cui si chiede al testimone di riconoscere un soggetto che s’ipotizza avere tenuto una determinata condotta.
Dal punto di vista processuale, tale mezzo di prova può risultare molto efficace (per alcuni tipi di reati non è raro che sia la prova principale). Esso, però, ha un alto tasso d’incertezza ed errore: si fonda sul ricordo e sull’evocazione, concetti per definizione manipolabili e aleatori; è difficile da verificare, consistendo in una risposta secca; pare, secondo alcuni studi a riguardo, che il soggetto sotto esame percepisca su di sé l’aspettativa di una risposta positiva e tenda a darla.
Come si apre il procedimento di ricognizione?
Ad aprire il procedimento v’è una fase preparatoria, in cui il giudice interloquisce con il ricognitore.
Il ricognitore è invitato a descrivere la persona che ha visto.
Il giudice pone poi delle domande: se abbia già effettuato in altra sede il medesimo riconoscimento; se abbia già visto il soggetto altrove, prima o dopo il fatto per cui si procede; se gli sia stato indicato o descritto da soggetti terzi. Tali domande mirano a individuare eventuali percezioni intermedie che si possano essere frapposte tra la percezione originaria e quella attuale.
Si domanda infine se vi siano altre possibili circostanze che possono incidere sull’attendibilità della prova.
Il ricognitore viene quindi allontanato.
Come avviene la ricognizione vera e propria
Prendendo come riferimento la ricognizione di persona, il procedimento è il seguente: Il giudice procura la presenza di almeno due persone compatibili con la descrizione effettuata, alle quali si chiede di presentarsi nelle condizioni descritte dal ricognitore.
Il ricognitore viene quindi richiamato e gli si chiede se riconosca taluno dei presenti; in caso di risposta affermativa, si indaga il grado di certezza e gli si chiede il tasso di somiglianza “in percentuale”.
Ci sono dei sistemi per garantire che i due soggetti dellla ricognizione non interagiscano direttamente?
Se vi è ragione per ritenere che il ricognitore possa subire intimidazioni o influenze dal soggetto chiamato a ricognizione, il giudice può disporre metodi che impediscano l’interazione.
Uno dei più utilizzati è lo specchio unidirezionale; può essere utilizzata anche una porta con spioncino.
Il soggetto da sottoporre a ricognizione è obbligato a presentarsi?
La presenza dell’imputato è coercibile (art. 490 c.p.p.), ma, in forza del principio “nemo tenetur se detegere”, non gli si può imporre un comportamento attivo, come ad esempio indossare determinati abiti. Si deduce dunque che una ricostruzione completa con tali dettagli, come prevista dal legislatore, sia possibile solo in caso di sua collaborazione spontanea.
In cosa consistono le ricognizioni plurime?
Il caso di ricognizioni plurime può presentarsi in due forme: quando un soggetto è chiamato a riconoscere più soggetti; in questo caso le comparse dovranno essere ogni volta diverse.
Un secondo caso riguarda l’eventualità che più soggetti siano chiamati a riconoscerne una; in tal caso si procede con atti separati, per impedire comunicazioni tra i ricognitori.
Come si documenta questo mezzo di prova?
L’art. 214 comma 3 c.p.p. prevede che il giudice, accanto alla documentazione cartacea, possa disporre la registrazione fotografica o cinematografica.
Chi può richiedere una perizia?
La perizia è lo strumento che immette nel processo conoscenze estranee al sapere comune.
L’art. 220 c.p.p. stabilisce che quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche, la perizia è ammessa. In deroga al principio secondo cui le prove sono ammesse a richiesta di parte, la perizia può essere svolta anche d’ufficio, e ciò testimonia la tendenza del legislatore a favorire l’ingresso di apporti specialistici.
Quali tipi di perizia esistono?
Esistono diversi tipi di perizia. A titolo esemplificativo, non esaustivo:
Prova del DNA: si utilizza per accertare la paternità di una traccia biologica lasciata sul luogo del delitto o sul corpo della vittima.
Perizia tossicologica: si appura, ad esempio, la natura stupefacente di una sostanza;
Perizia grafica: stabilisce la paternità di un manoscritto, la genuinità o meno di una sottoscrizione;
Perizia fonica: si accerta a chi appartiene una voce;
Perizia nummaria: utilizzata per i reati di falso in moneta;
Perizia dattiloscopica: per analizzare le impronte digitali;
È ammesso ogni tipo di perizia?
Nel nostro ordinamento è vietata la perizia psicologica, ossia quella volta a stabilire l’abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere o la personalità dell’imputato o in genere le sue qualità psichiche (a meno che non derivino da una patologia).
Tale divieto deriva dal timore di una sovrapposizione tra giudizio sulla personalità e giudizio sul fatto: si vuole cioè evitare il rischio che i risultati della perizia psicologica incidano sull’accertamento della responsabilità in sé dell’imputato.
E’ invece consentita la perizia volta ad accertare la capacità d’intendere e volere dell’imputato al momento del fatto e la capacità di stare in giudizio (che talvolta può mancare per ragioni fisiche o psichiche), la cui assenza non consente di celebrare il processo.
Come si individua il perito?
Il perito è nominato dal giudice, che di regola lo sceglie all’interno degli albi istituiti presso ogni tribunale. Se, invece, ne sceglie uno non iscritto, deve motivare la scelta.
È possibile anche, quando l’accertamento è particolarmente complesso, che vengano nominati più periti (cd. perizia collegiale).
Come si articola l’iter di una perizia?
Il giudice conferisce l’incarico, dopo aver accertato che il soggetto non si trovi in una delle condizioni di incapacità, incompatibilità o astensione.
Il perito recita la formula d’impegno.
Il giudice gli pone i quesiti, che sono formulati nel contraddittorio tra le parti.
Al termine del suo lavoro, il perito risponde personalmente ai quesiti esponendo oralmente il suo parere qualificato. Le parti possono chiedere un successivo esame del perito, che si svolge secondo le regole dell’esame incrociato.
L’esposizione orale può essere accompagnata da una relazione cartacea; nella prassi, in realtà, è la relazione scritta ad assumere un ruolo centrale, e durante l’esame il perito si limita ad illustrarla.
Qual è la differenza tra consulente tecnico e perito?
Le parti non possono interloquire sulla scelta del perito, che rimane affidata in via esclusiva al giudice, ma possono nominare i propri esperti, i cd. “consulenti tecnici”.
La designazione di un proprio consulente può avvenire sia nell’ambito interno di una perizia disposta dal giudice (cd. consulenza endoperitale), sia a prescindere dall’esistenza della stessa (cd. consulenza extra-peritale).
Chi può nominare consulenti?
È previsto che sia le parti private, sia il pubblico ministero possano nominare propri consulenti tecnici.
In cosa consiste l’attività dei consulenti nel caso di consulenza disposta nell’ambito di una perizia?
I consulenti devono essere sentiti dal giudice quando questi elabora i quesiti peritali: essi possono estendere l’oggetto della perizia.
Hanno inoltre il diritto di partecipare alle operazioni peritali, suggerendo specifiche indagini o formulando osservazioni o riserve, di cui il perito deve fare menzione nel proprio parere.
Se i consulenti vengono nominati quando le operazioni peritali sono già esaurite, essi possono consultare la relazione e chiedere al giudice l’autorizzazione ad esaminare l’oggetto della perizia.
In cosa consiste, invece, la cd. consulenza extra peritale?
Alla consulenza tecnica c.d. extra peritale, ovvero fuori dai casi di perizia, si può ricorrere in ogni fase del procedimento penale, con l’obiettivo di fornire al giudice un apporto conoscitivo di tipo tecnico, in grado di contribuire alla corretta ricostruzione del fatto.
Il sapere dei consulenti può entrare nel processo in due modi: attraverso un esame orale, guidato dalle ordinarie regole dell’esame incrociato; attraverso la presentazione di memorie scritte.
Che differenza sussiste tra i “documenti” e gli “atti”?
Le prove documentali rappresentano fatti, persone o cose mediante la scrittura, la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo.
Il catalogo delle prove documentali è aperto, avendo il legislatore immaginato pro-futuro un possibile ampliamento delle categorie. Al fine di evitare il rischio dell’ingresso nel processo di documenti “interni” al procedimento (come, ad esempio, una relazione predisposta dalla Polizia Giudiziaria che riassume le attività d’indagine), che secondo il sistema del doppio fascicolo (secondo cui gli atti dell’indagine rimangono, di regola, nel fascicolo del PM senza che il Giudice possa esaminarli) non possono essere prodotti in giudizio, vi è una netta distinzione tra atti e documenti.
Questi ultimi preesistono al procedimento penale e sono formati al difuori dallo stesso, divenendo così – se inerenti ai fatti oggetto del processo – elementi utili per formare il convincimento del Giudice.
Vi sono documenti vietati?
Il legislatore ha vietato l’ingresso dei documenti anonimi, principalmente per il fatto che è impossibile valutarne l’attendibilità e aprire un contraddittorio sugli stessi.
È da sottolineare però che all’interno del divieto rientrano solo i documenti che contengono dichiarazioni anonime; non rientra quindi nel divieto un documento non dichiarativo (foto o filmato), che può essere acquisito anche se inciso da sconosciuto.
Ci sono invece regimi privilegiati per determinati tipi di documento?
La legge favorisce l’ingresso di documenti che si presume siano particolarmente rilevanti.
È il caso dei documenti che sono il corpo del reato, che possono essere acquisiti anche in deroga a limiti altrimenti previsti: “qualunque sia la persona che li abbia formati o li detenga”.
È il caso poi dei documenti provenienti dall’imputato, dei quali è consentita l’acquisizione anche su iniziativa del giudice.
Si possono produrre nel processo verbali di prova di altri procedimenti?
L’ammissione di verbali di prova creati all’interno di un altro processo è ammessa senza condizioni ulteriori solo laddove si tratti di prove assunte nell’incidente probatorio o in dibattimento.
I verbali di cui sia soltanto stata data lettura in un altro processo, invece, possono essere utilizzati soltanto contro gli imputati i cui difensori abbiano partecipato alla loro assunzione, in virtù del principio del contraddittorio.
È sempre ammessa, però, l’acquisizione di atti non ripetibili per cause sopravvenute ed imprevedibili.
In tutti gli altri casi, rimane possibile l’acquisizione di altri verbali solo nei confronti dell’imputato che vi consenta.Rimane in qualunque caso fermo il diritto delle parti di ottenere l’esame delle parti che abbiano reso le dichiarazioni che si intendono acquisire.
Si possono acquisire sentenze?
È sempre consentita l’acquisizione di sentenze divenute irrevocabili ai fini della prova dei fatti che in esse sono stati accertati.
Qual è la procedura di acquisizione?
L’iter è molto snello: dopo che la parte ha presentato la propria richiesta di assunzione del documento, ciascuna delle altre parti ha la facoltà di esaminarlo. Il giudice, poi, provvede a decidere sulla domanda di prova.
Tali documenti dovranno essere inseriti nel fascicolo per il dibattimento e, come tali, potranno considerarsi legittimamente acquisiti.