a cura di Francesco Manfrin, Dottorando di procedura penale, Dipartimento C. Beccaria, Università degli Studi di Milano
Quando una sentenza può essere considerata irrevocabile?
A norma dell’art. 648 c.p.p., sono irrevocabili le sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non è più possibile esperire impugnazioni diverse dalla revisione. Quando, cioè, non è più possibile esperire le impugnazioni c.d. ordinarie (ossia l’appello, il ricorso per cassazione e, con riferimento al decreto penale di condanna, l’opposizione). Al contrario, le impugnazioni straordinarie hanno la caratteristica di rivolgersi proprio contro le sentenze irrevocabili.
A tal proposito, se contro una decisione è possibile proporre l’impugnazione, la sentenza è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporla o quello per impugnare l’ordinanza che la dichiara inammissibile. In particolare, se vi è stato ricorso per cassazione, la sentenza è irrevocabile dal giorno in cui è stata pronunciata l’ordinanza o la sentenza che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso.
Con la sentenza divenuta irrevocabile l’accertamento penalistico sull’oggetto del procedimento si cristallizza e il provvedimento è, di regola, non più modificabile.
Cos’è l’esecutività del provvedimento?
L’esecutività può essere definita come l’idoneità del provvedimento ad essere attuato anche coattivamente, cioè anche contro la volontà del destinatario.
L’esecutività, di regola, consegue alla irrevocabilità, come si ricava dalla lettera dell’art. 650 c.p.p., il quale dispone che, salvo che sia altrimenti stabilito, le sentenze e i decreti penali hanno forza esecutiva quando sono divenuti irrevocabili.
Ne deriva che vi possono essere taluni provvedimenti che, sebbene non irrevocabili, sono comunque esecutivi: si pensi, ad esempio, alla condanna al pagamento di una provvisionale (art. 540, co. 2 c.p.p.) o al provvedimento cautelare ancora impugnabile (art. 588, co. 2 c.p.p.).
Cos’è il giudicato “sostanziale”? E quali sono i suoi principali effetti?
Oltre al descritto concetto di giudicato ricollegabile alla irrevocabilità della decisione (giudicato c.d. formale), vi è anche un giudicato sostanziale che si concretizza negli effetti che si producono dalle sentenze divenute irrevocabili. Tali effetti sono rappresentati da vincoli di tipo preclusivo e di tipo valutativo. Alla prima tipologia deve essere ricondotta l’operatività del ne bis in idem (art. 649 co. 1 c.p.p.); nella seconda categoria deve essere annoverata la c.d. efficacia extra-penale del giudicato.
Cosa si intende per ne bis in idem?
L’effetto preclusivo del giudicato, come descritto dall’art. 649 co. 1 c.p.p., comporta che l’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non possa essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto storico, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze.
Assai dibattuta è la definizione di “medesimo fatto”: attualmente, l’impostazione preferibile si rifà a una concezione storico-naturalistica del fatto, secondo cui l’identità sussiste quando vi è corrispondenza nella condotta e nell’oggetto materiale verso cui essa è diretta.
Per espressa previsione della norma, ai fini dell’individuazione del medesimo fatto, non hanno rilevanza il cambiamento del titolo (cioè, la qualificazione giuridica del fatto), il grado (quindi, la maggiore o minore gravità concreta del reato) e le circostanze (aggravanti o attenuanti) del reato.
Pertanto, ad esempio, se è intervenuta una sentenza di condanna per omicidio doloso, non si può sottoporre il condannato ad un nuovo processo per omicidio colposo in relazione alla medesima vicenda. In questo caso il fatto storico è il medesimo, mutando solamente la qualificazione giuridica dello stesso (da omicidio doloso a omicidio colposo).
Esistono delle deroghe all’operatività dell’effetto preclusivo?
L’efficacia preclusiva del giudicato soffre delle eccezioni, come dimostra la clausola di salvezza prevista dall’art. 649 co. 1 c.p.p. («salvo quanto disposto dagli artt. 69, co. 2 e 345» c.p.p.).
La prima eccezione concerne l’erronea sentenza per morte dell’imputato: in questo caso la sentenza non impedisce il nuovo giudizio per il medesimo fatto e contro la medesima persona, se si scopre che la sua morte è stata erroneamente dichiarata.
La seconda deroga, invece, consente un secondo procedimento quando sopravviene la condizione di procedibilità la cui mancanza aveva impedito il proseguimento del procedimento. Ad esempio, la sentenza di proscioglimento che abbia dichiarato la mancanza della querela non impedisce l’esercizio dell’azione penale per il medesimo fatto e contro la medesima persona se è in seguito proposta la querela.
A ben vedere, però, non si tratta di una vera e propria eccezione al ne bis in idem, in quanto la sentenza da travolgere è una decisione meramente processuale (es. sentenza di non luogo a procedere per mancanza di querela) e non una sentenza che aveva deciso sul merito.
Quali sono i vincoli di tipo valutativo che scaturiscono dal giudicato?
Il giudicato penale può produrre, a certe condizioni, dei vincoli valutativi nei confronti dei giudizi civili, amministrativi e disciplinari. A monte di questa scelta di politica legislativa, vi è la consapevolezza che l’ampiezza dei poteri di accertamento di cui dispone il giudice nel giudizio penale rende la sua decisione particolarmente affidabile.
Il giudicato penale produce effetti valutativi nei giudizi civili o amministrativi di danno?
Sì, la prima categoria in cui operano gli effetti vincolanti di tipo valutativo concerne le sentenze di condanna, di proscioglimento per particolare tenuità del fatto e di assoluzione nei giudizi civili e amministrativi di danno.
A norma dell’art. 651 c.p.p., infatti, la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia, se pronunciata in seguito a dibattimento, quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nei giudizi civili e amministrativi di danno promossi nei confronti del condannato e del responsabile civile (qualora questo sia stato citato o sia intervenuto nel processo penale). Il riferimento alla sentenza “pronunciata a seguito di dibattimento” sta a significare che sono escluse le sentenze emesse all’esito del patteggiamento e i decreti penali di condanna. Mentre, per quanto riguarda le decisioni emesse all’esito del giudizio abbreviato, queste hanno la stessa efficacia di quelle post-dibattimentali, salvo che vi si opponga la parte civile che non abbia accettato quel rito speciale.
La sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto, a norma dell’art. 651 bis c.p.p., è sottoposta allo stesso regime del giudicato di condanna.
Infine, sempre nei giudizi civili e amministrativi di danno promossi dal danneggiato, con riferimento alle sentenze penali irrevocabili di assoluzione, la scelta del legislatore è stata quella di prevedere all’art. 652 c.p.p. che queste decisioni, se pronunciate all’esito del dibattimento, abbiano efficacia di giudicato quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima. In questo caso il vincolo extra-penalistico trova operatività sempre che il danneggiato si sia costituito parte civile o sia stato posto nella condizione di costituirsi e non, invece, quando questi abbia promosso l’azione civile separata nella sua sede naturale.
Il giudicato penale ha efficacia in altri giudizi civili o amministrativi?
L’art. 654 c.p.p. disciplina l’efficacia del giudicato penale (sentenze di condanna o di assoluzione) nei giudizi civili o amministrativi, diversi da quelli di danno.
Si tratta di giudizi in cui si controverte intorno a un diritto od interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi fatti materiali che sono stati in precedenza oggetto del processo penale. In questi giudizi la decisione penalistica, emessa a seguito di dibattimento – esclusa, quindi, la sentenza di patteggiamento –, produce un vincolo solo con riferimento ai “fatti materiali” e non si estende alle valutazioni giuridiche operate nella sentenza.
Il giudicato penale ha efficacia nei giudizi disciplinari?
Sì, nei giudizi disciplinari innanzi alle autorità pubbliche (che coinvolgono, quindi, dipendenti pubblici, di enti pubblici o di ordini professionali e non dipendenti di enti privati) le sentenze di assoluzione e di condanna irrevocabili hanno efficacia a norma dell’art. 653 c.p.p.
Con riferimento alle sentenze di condanna, l’efficacia del giudicato si produce, similmente ai giudizi civili o amministrativi di danno, all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso. Mentre, le sentenze di assoluzione producono un vincolo quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l’imputato non lo ha commesso. Pertanto, mentre le altre due formule assolutorie condurranno ad un esito positivo del giudizio disciplinare, non può dirsi lo stesso per la formula “perché il fatto non costituisce reato”: in quest’ultimo caso, infatti, l’esclusione della rilevanza penale non preclude una valutazione positiva in ordine alla rilevanza disciplinare.