La paura di sanzioni ha fortemente ristretto i flussi di informazioni: la comunicazione dalla Procura si limita ormai a fatti eclatanti, già noti al pubblico.
di Maria Fiore, la Provincia Pavese
La legge sulla presunzione di innocenza voluta dalla ministra Marta Cartabia, proposta e approvata come una norma di garanzia per chi è sottoposto a un procedimento penale, porta con sé, al di là delle intenzioni, diversi effetti collaterali. Le conseguenze più immediate riguardano il lavoro dei giornalisti e gli stessi lettori. I primi costretti a fare i conti, ogni giorno, con gli ostacoli imposti dalla norma sull’accesso alle fonti e alle notizie. I secondi perché esclusi dalla possibilità di venire a conoscenza di fatti di cronaca, spesso gravi e rilevanti.
Chi ci rimette
Così può accadere, ad esempio, che per due settimane resti sotto silenzio l’arresto per frode fiscale di un noto imprenditore di Vigevano, perché la procura di Pavia ha ritenuto di non comunicare il provvedimento. Ma a rimetterci, oltre ai giornalisti e ai lettori, è anche la qualità dei giornali. La legge, attraverso la comunicazione unidirezionale dei procuratori capo, che possono decidere quali fatti sono di interesse pubblico e quali non lo sono, finisce per impoverire i giornali e mette a rischio la loro stessa sopravvivenza. La cronaca giudiziaria e nera raccontano la vita e le storie delle persone attraverso un lavoro che, nella sua essenza, non è cambiato nel tempo, nonostante l’innovazione digitale e i nuovi canali di informazione.
Un lavoro che richiede sacrificio quotidiano, fatto di contatto diretto con le fonti, di relazioni basate sulla fiducia, vincolato al rigido rispetto delle carte deontologiche e sottoposto a verifica continua (commettere errori in un articolo di cronaca giudiziaria espone pesantemente il giornalista, anche di fronte alla legge). Un lavoro che richiede tempi lenti e approfondimento, l’opposto dell’informazione rapida e superficiale che danneggia la credibilità della nostra categoria, e quindi più che mai necessario.
Notizie solo via comunicato
La legge sulla presunzione di innocenza mette in discussione il valore che ha oggi questo aspetto del mestiere, soprattutto in una fase di crisi come quella che l’informazione sta vivendo. Il potere accentrato nelle mani dei Procuratori, che il più delle volte, come accade da mesi a Pavia, comunicano solo attraverso note stampa, mina la possibilità per un giornalista di fare domande e di accedere direttamente alle fonti, la base per un lavoro di qualità. Allontanare un giornalista dai corridoi della procura, come è accaduto alla sottoscritta mesi fa, giustificando la decisione con «le nuove disposizioni», significa proprio questo: impedire di fare domande e ostacolare la possibilità di fare verifiche dirette, non mediate da “veline” o comunicati stampa.
Meno domande
Il giornalista che scrive di cronaca giudiziaria o nera non è, come vorrebbe la narrazione dominante, un sadico in attesa di poter sbattere il mostro in prima pagina. Al di là dei limiti e degli errori che si possono commettere, il cronista di giudiziaria prova a farsi tramite del bisogno di giustizia che proviene dalla società, di chi è vittima di un reato o di chi è sotto processo a volte da anni. Concretamente con la legge in vigore non si possono (o comunque è sempre più difficile) fare domande sull’esito di una indagine, sul lavoro del magistrato (che non a caso, secondo la legge, non dovrebbe nemmeno più essere citato come a capo di una indagine) o verificare i tempi spesso lunghissimi dei procedimenti, mortificando la stessa funzione che il lettore ci chiede di assumere.
Fonti latitanti
A Pavia, come in altre piccole procure, dall’entrata in vigore della legge si respira un clima da “caccia alle streghe”. Le fonti che consentivano al giornalista di fare il suo mestiere con libertà, avendo a disposizione tutte le informazioni necessarie per poter scrivere un articolo con equilibrio e imparzialità, restano ora in silenzio, terrorizzate dalle circolari che minacciano procedimenti disciplinari e sanzioni. In questi mesi, dunque, solo il procuratore capo, Fabio Napoleone, ha fornito le comunicazioni che riteneva di dare. Una comunicazione che il più delle volte si è limitata a fatti eclatanti, già noti al pubblico e mediaticamente più clamorosi.
Ma le piccole vicende, quelle che riguardano i fatti più vicini alla vita concreta della gente comune, soprattutto nei territori, sono rimaste inaccessibili. La battaglia per respingere il principio alla base della legge, perciò, è anche una battaglia per preservare la qualità dei giornali che ogni giorno arrivano nelle mani dei lettori. Una difesa che non può restare nelle mani di poche decine di giornalisti addetti ai lavori, perché è in gioco più di quanto si possa ora immaginare