I comunicati stampa introdotti dalla riforma Cartabia inquadrano solo alcuni aspetti delle inchieste: lo slalom tra note ufficiali, fonti informali e indiscrezioni rischia di alimentare il “mercato nero” delle notizie.
di Benedetta Dalla Rovere, agenzia LaPresse
Un medico accusato di aver abusato delle pazienti che si presentavano nel centro che dirigeva nel cuore di Milano. Visite immunologiche che diventavano improbabili e invasivi accertamenti ginecologici. Il trauma raccontato da 6 ragazze, che hanno fatto mettere tutto a verbale e lo hanno ripetuto davanti al gip nel corso dell’incidente probatorio. Esperienze analoghe riferite da altre giovani che si sono fatte avanti in un secondo momento e hanno denunciato. L’avvocato difensore del medico che invoca la legge Cartabia, sostenendo che riportare questo grave fatto di cronaca leda i diritti dell’indagato e minaccia azioni legali.

Tempi della cronaca e tempi della giustizia
Questo è solo l’esempio più recente in ordine di tempo che bene illustra come in questi mesi si sia complicato il lavoro quotidiano dei giornalisti che si occupano di cronaca nera e giudiziaria. Anche a Milano, dove da sempre c’è un clima di apertura da parte della Procura e delle Forze dell’Ordine nei confronti dei media, il cambio di passo si è avvertito. La maggior parte delle notizie, raccolte da inquirenti e investigatori, prima di essere divulgata deve ottenere il necessario via libera della Procura e può essere divulgata solo quando si ravvisi un interesse pubblico. E non sempre i tempi della giustizia coincidono con quelli della cronaca né la selezione e il “taglio” scelto coincidono con le esigenze di chi scrive.
Un caso simbolo
Con l’introduzione della legge Cartabia, la ricerca delle notizie si è trasformata sempre più in un percorso ad ostacoli. Uno slalom tra note ufficiali, fonti informali e indiscrezioni che ha l’effetto di alimentare il “mercato nero” delle notizie. Senza contare che i comunicati alle volte inquadrano solo alcuni aspetti delle inchieste, non abbracciandone per intero la complessità o non raccontandone l’iter. È il caso di una recente indagine della Dda milanese. Un comunicato della Procura del luglio scorso ricordava che era stato «notificato un avviso di conclusione delle indagini nei confronti di 27 indagati ritenuti responsabili a vario titolo di associazione di tipo mafioso, traffico di droga ed estorsioni aggravate dal metodo mafioso» e «contestualmente eseguita anche un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 4 soggetti ritenuti autori di estorsione». Diversa era la versione che poteva leggere chi si fosse procurato, con “metodi informali”, l’ordinanza. Il Pm nell’aprile del 2021 aveva chiesto al gip 27 arresti, ma il gip li aveva respinti escludendo l’associazione mafiosa per i 10 a cui era contestata. Il Gip aveva anche escluso le esigenze cautelari per tutti e 27 gli indagati, pur ritenendo i reati gravi ed esistenti, mentre aveva accolto un supplemento d’indagine che riguardava una grave estorsione, disponendo gli arresti per 3 persone e l’obbligo di firma per una quarta.
Silenzi paradossali
Un problema di punti di vista, certo. E di sicuro non il più complesso da affrontare. Solo nell’ultima settimana, in un paio di occasioni, chi dalle redazioni milanesi chiamava le forze dell’ordine chiedendo il nome e l’età di un operaio morto sul lavoro si è sentito negare le informazioni «perché la legge Cartabia non lo consente». E ancora, tornando indietro di qualche mese, sempre invocando la norma, nel marzo scorso il sindaco di un paese in provincia di Lecco si è rifiutato di confermare che un jet fosse precipitato su uno dei versanti del vicino Monte Legnone e che i piloti fossero morti nello schianto. E questo, nonostante in rete ci fossero già i video che mostravano l’incidente. Di casi simili ognuno di noi ne potrebbe citare decine.
Una coperta buona per tutti
Quella della norma in vigore ormai da un anno è diventata una “coperta” che permette di omettere, modificare o edulcorare le informazioni che vengono fornite alla stampa, pretendendo che i giornalisti si accontentino della versione ufficiale e dopo aver riportato qualche riga di uno scarno comunicato, rinuncino ad approfondire.
Una “coperta” alle volte invocata anche da chi, come le amministrazioni comunali, non avrebbe titolo per farlo. O addirittura richiamata per non fornire informazioni relative a sentenze ormai passate in giudicato da anni e che rientrano ormai a pieno titolo nella storia giudiziaria del nostro Paese. Con il rischio che, con l’inaridirsi delle fonti, ci si trovi a dare spazio a indiscrezioni e mezze notizie, la cui verifica risulta più tortuosa rispetto a pochi mesi fa. Con buona pace della presunzione di innocenza.