A Como non parla solo il Pm

Una interpretazione meno restrittiva della riforma Cartabia da parte del capo della Procura lascia anche alle Forze di Polizia la possibilità di fornire informazioni: assicurata la pluralità di fonti.

di Paolo Moretti, La Provincia di Como

L’incontro con la stampa dei nuovi questori, così come quello dei nuovi ufficiali dei carabinieri o della guardia di finanza, da diversi mesi a questa parte ripropone il medesimo refrain: «Come sapete la legge Cartabia ha ridotto notevolmente la nostra possibilità di comunicare con voi». A cui, immancabilmente, viene aggiunto: «Ma la stampa ha un ruolo importante per diffondere la cosiddetta sicurezza percepita ». Tradotto: le notizie sui procedimenti penali e sugli arresti vediamo se darvele, ma se c’è bisogno di farci pubblicità contiamo su di voi.

La redazione de La Provincia di Como
Erosa la libertà di informare

Il decreto legislativo 188/2021 sulla “presunzione d’innocenza” è senz’ombra di dubbio uno dei provvedimenti più dannosi e lesivi della libertà di stampa degli ultimi anni. Ed è anche una delle norme che maggiormente sottrae alla professione giornalistica una delle sue prerogative: comprendere e decidere quale notizia abbia o meno rilevanza pubblica. Non potendo limitare normativamente il diritto di cronaca, in quanto ogni provvedimento in tal senso sarebbe a rischio di incostituzionalità, ormai da diversi anni – un po’ in tutti i settori – la strategia alternativa adottata per limare la libertà a informare, è quella di erodere la possibilità di accedere alle fonti.

Flussi di notizie accentrate in un solo soggetto

La riforma Cartabia, nel campo della cronaca giudiziaria, è riuscita nell’impresa di delegare ogni decisione circa la divulgazione o meno di notizie a una sola figura: il capo della Procura. Che, almeno nell’intenzione della norma, diventa non solo l’unica fonte per i giornalisti, ma anche la persona che, al posto dei professionisti dell’informazione, è chiamata a decidere quando, come e perché comunicare informazioni relative ai procedimenti penali. E, soprattutto, se quelle informazioni sono di interesse pubblico o meno. Una contrazione così clamorosa del diritto dei cronisti di attingere da più fonti d’informazione crea situazioni profondamente differenti da provincia a provincia, da Procuratore a Procuratore. C’è chi ha imposto il silenzio assoluto su ogni procedimento, limitando i comunicati stampi a pochi fatti dove regolarmente vengono omessi dati, comprendere il fatto di cui si parla, e c’è chi invece ha interpretato in maniera più larga il dettato normativo.

Cosa accade a Como

Nella realtà comasca, dove mi occupo da anni di cronaca nera e giudiziaria, il Procuratore capo uscente ha intrapreso la seconda via. E ha diffuso una nota a tutte le forze di polizia nella quale lascia loro facoltà di comunicare con i giornalisti. In particolare si legge: «Le Autorità diverse da questa A.G. che decidano di rilasciare dichiarazioni relative a procedimenti penali non dovranno chiedere una preventiva autorizzazione al procuratore della Repubblica ma saranno tenute al rispetto del segreto investigativo e di quanto previsto dall’art. 2 del decreto legislativo 188/2021». Sul segreto investigativo, nulla è cambiato.

Riguardo l’art.2 della norma Cartabia il riferimento è al passaggio in cui «è fatto divieto alle autorità pubbliche di indicare come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili». Ciò che resta vincolante, e che passa inevitabilmente dal procuratore, è invece il comunicato stampa o la conferenza stampa.

Una interpretazione di buon senso

Così interpretato, l’impatto del decreto legislativo 188 è senz’ombra di dubbio attenuato. Perché i giornalisti possono ancora rivolgersi a una pluralità di fonti. Al contrario, un’interpretazione più rigida finirebbe per avere un effetto paradosso, rispetto allo stesso principio della norma. Come noto, gli atti dei procedimenti penali a disposizione delle parti non sono più segreti. E quindi i giornalisti, del tutto lecitamente, possono continuare ad averli e ad usarli per fare cronaca giudiziaria. Chiedendoli ad altre parti del processo. Con il problema, ben sottolineato da Luigi Ferrarella, tra i più autorevoli giudiziaristi italiani, che avremmo “l’effetto di favorire quei legami incestuosi che si proclama di voler spezzare” proprio con la legge Cartabia.

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