Inchieste collaborative: il metodo EIC

L’European Investigative Collaborations è un network che raggruppa 14 testate di diversi Paesi, lavora su inchieste transnazionali e ha portato alla luce Football Leaks, la più grande fuga di notizie nella storia dello sport. Risorse e approcci raccontati da chi ne fa parte 

di Stefano Vergine

Panama Papers, pubblicata nel 2016 dall’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ) e premiata con il Pulitzer, è probabilmente la più conosciuta a causa dell’effetto politico che ha avuto: l’indagine ha infatti permesso di rivelare i nomi di decine di società offshore appartenenti a ministri e capi di Stato di varie nazioni del mondo, dall’Islanda alla Russia, dall’Argentina al Regno Unito. Negli ultimi anni sono state però moltissime le inchieste giornalistiche realizzate in gruppo, da cronisti di varie nazioni. Sono i cosiddetti consorzi. Una formula relativamente nuova, usata per produrre ricerche internazionali con l’obiettivo di massimizzare la raccolta di informazioni e l’impatto sui lettori.

La rete EIC

Chi scrive collabora da diversi anni con EIC, acronimo di European Investigative Collaborations. Creata nel 2016, è una associazione con sede ad Amburgo e attualmente composta da 14 testate: De Standaard (Belgio), Der Spiegel (Germania), Domani (Italia), Expresso (Portogallo), Le Soir (Belgio), Mediapart (Francia), Nacional (Croazia), Nrc (Paesi Bassi), Infolibre (Spagna), Politiken (Danimarca), Reporters United (Grecia), Rts (Svizzera), Shomrim (Israele), Vg (Norvegia). La squadra è dunque variegata, con un misto di gruppi editoriali tradizionali, organizzazioni no-profit e testate online. Non mancano le collaborazioni con realtà che possono aiutare a sviluppare meglio il singolo progetto d’indagine. Ne sono state realizzate con testate giornalistiche, come Bbc e Bloomberg, ma anche con associazioni di attivisti come Amnesty International Security Lab. Complessivamente, nei suoi sette anni di vita EIC ha realizzato 15 progetti di inchiesta, equivalenti a centinaia di articoli. Il più noto è probabilmente Football Leaks. È stata la più grande fuga di notizie nella storia dello sport: 1,9 terabyte di dati, pari a circa 18,6 milioni di documenti, grazie ai quali le testate che compongono EIC hanno potuto rivelare, tra le tante notizie, l’evasione fiscale realizzata da alcuni dei protagonisti del calcio mondiale, i pagamenti segreti ottenuti da allenatori e agenti, il ruolo occulto dei fondi d’investimento nella proprietà dei giocatori, i tentativi di aggirare le regole del fairplay finanziario da parte di alcuni club europei. Ma cosa significa concretamente lavorare in consorzio? Quali sono gli strumenti e i metodi utilizzati per collaborare con colleghi di varie nazioni su documenti riservati, forniti da fonti che vogliono rimanere anonime e vanno dunque protette?

Da concorrenti a partner

Alla base ci dev’essere soprattutto la volontà di collaborare. Rispetto al passato, il punto di svolta che ha permesso di costituire un consorzio come EIC è stata la scelta, da parte delle varie testate che lo compongono, di non farsi concorrenza, ma anzi di aiutarsi. Questione (anche) di necessità. La quantità di dati alla base di indagini come Football Leaks, Malta Files o Abu Dhabi Secrets era imponente. La testata che per prima li ha ottenuti avrebbe potuto in teoria fare tutto da sola, ma con un grosso limite: sarebbe probabilmente riuscita con facilità ad analizzare, verificare e approfondire i contenuti relativi alla propria nazione di appartenenza, ma avrebbe rischiato di buttare al vento buona parte di ciò che riguardava altri Paesi, vuoi per questioni di lingua o per mancanza di conoscenze. E magari la notizia principale si nascondeva proprio lì. Prendiamo Malta Files, un’inchiesta che ha permesso di rivelare decine di società registrate sull’isola ed intestate a personaggi legati alle mafie italiane. Per un giornalista nostrano non è stato impossibile riconoscere e verificare i nomi degli italiani collegati a queste imprese, ma per un collega tedesco o francese il lavoro non sarebbe stato altrettanto agevole. L’altro grande vantaggio di lavorare in consorzio riguarda l’impatto. Poter pubblicare un’inchiesta insieme a tanti altri giornali internazionali permette di rafforzare il messaggio e di accrescere l’autorevolezza della propria testata agli occhi del lettore. Ovvio, i problemi di concorrenza rimangono. Per questo i consorzi internazionali come EIC non hanno mai al loro interno più di una testata per nazione (fa eccezione nel nostro caso il Belgio, dove però si parla sia fiammingo che francese).

Come funziona la macchina

A differenza di ICIJ o OCCRP, EIC non ha una redazione: sono i giornalisti delle varie testate a costituire i lavoratori del gruppo, e sono poi le stesse testate a pubblicare i pezzi in forma scritta, audio o video. Il principio è dunque quello della collaborazione distribuita, piuttosto che della centralizzazione. Mettere d’accordo così tante teste non è facile, anche perché tra i vari partner ci sono differenze di stazza, forma comunicativa, tempi di pubblicazione, tipologie organizzative, ordinamento giuridico del Paese d’appartenenza. L’esperienza e la volontà di venirsi incontro hanno aiutato a superare molti degli ostacoli incontrati. Importanti sono state però anche le regole che le testate del network si sono date. Gli interessati possono leggerle sul sito di EIC (https://eic.network/) scaricando la “Lettera di Intesa”, un documento firmato ogni anno dai vari partner per definire il flusso di lavoro, i ruoli delle persone coinvolte e gli strumenti utilizzati. Ciascun media deve nominare un coordinatore, cui possono essere affiancati altri reporter a seconda dell’indagine in corso e della forza lavoro messa a disposizione dalla singola testata. La comunicazione interna tra chi svolge l’indagine si svolge quotidianamente su canali criptati. Una volta alla settimana i coordinatori si ritrovano online per una riunione in cui fare il punto della situazione. Se ci sono disaccordi, eventualità che di solito si materializza prima della pubblicazione dei progetti e riguarda la data di uscita, la regola è una: ogni partner dice la sua, ma l’ultima parola spetta a chi ha portato i documenti da cui è nato il progetto.

L’associazione EIC è gestita da un consiglio di amministrazione, il cui mandato dura due anni. Il coordinamento delle operazioni, cioè dei progetti investigativi e dello sviluppo di strumenti e partnership esterne, è gestito sin dal 2016 dal giornalista Stefan Candea. Una volta all’anno i coordinatori delle varie testate partner si riuniscono fisicamente per discutere dei nuovi progetti (quest’anno l’incontro è avvenuto a Lisbona, nella sede del gruppo Expresso), analizzare lo stato dell’arte e discutere del budget operativo di EIC, a cui i partner contribuiscono annualmente con una quota associativa. Sebbene non abbia una redazione, il network ha infatti dei costi rappresentati dal coordinamento esecutivo delle operazioni, da eventuali giornalisti freelance ingaggiati per svolgere parte delle ricerche e, soprattutto, dallo sviluppo e dal mantenimento dell’infrastruttura tecnologica. Uno dei punti chiave di EIC, così come di molti altri consorzi del genere, è rappresentato proprio dal sistema informatico in cui immagazzinare i documenti, spesso molto pesanti, e grazie al quale decine di giornalisti sparsi per il mondo possono accedervi per le proprie ricerche.  

La sicurezza informatica

Dopo le rivelazioni di Edward Snowden sulle attività illecite di spionaggio della NSA, i reporter sono diventati sempre più timorosi che governi e aziende informatiche possano accedere ai loro dati e monitorare le comunicazioni, mettendo così a rischio l’incolumità delle fonti. La condanna nel 2018 di Reality Winner, accusata dalla giustizia statunitense di aver inviato alla testata The Intercept un rapporto top secret della stessa NSA (per la quale la donna lavorava come fornitrice esterna), non ha fatto altro che aumentare queste paure. Per questo EIC ha creato una piattaforma decentralizzata, che consente ai giornalisti di condurre le inchieste senza pericoli di interferenze o sorveglianza. Per un potenziale hacker, l’archiviazione di tutti i dati e le comunicazioni di un’inchiesta giornalistica su un’unica piattaforma rappresenta un bersaglio facile. Se la piattaforma viene bucata, tutto il materiale accumulato per l’inchiesta rischia di essere compromesso, inclusa la cronologia delle ricerche dei giornalisti e i documenti a cui hanno avuto accesso. Per ridurre al minimo i rischi, EIC ha deciso di prendere alcune contromisure: non archivia i dati su cloud, usa server propri con diversi livelli di sicurezza; inoltre le comunicazioni e-mail vengono effettuate utilizzando la crittografia Pgp.

All’inizio di un’inchiesta, i giornalisti di EIC s’incontrano faccia a faccia per discutere come analizzare in modo indipendente il materiale trapelato, senza depositare i dati in un formato online centralizzato. Vengono dunque create copie crittografate dei dati grezzi. Offrire a tutti i media-partner accesso ai dati grezzi è ciò che distingue il nostro approccio da quello di consorzi che utilizzano piattaforme centralizzate. EIC punta dunque sul controllo distribuito dei dati, condividendo con tutti i partner i diritti sulle piattaforme. Per l’analisi dei documenti è stato sviluppato internamente un motore di ricerca, una specie di Google che attinge ai dati caricati sui nostri server. Si chiama Hoover: il codice è open source, non memorizza le query di ricerca e non registra l’identità di chi accede ai dati. Di conseguenza, nessuno può entrare nella piattaforma per profilare le ricerche di un giornalista. Neanche gli amministratori possono monitorare le attività degli utenti. Per accedere a Hoover è richiesta una verifica in due passaggi, l’accesso scade ogni tre ore e il sistema opera su scala internazionale. Se un’autorità nazionale dovesse quindi trovare un modo legale per chiuderlo, i partner di EIC potrebbero renderlo disponibile da un altro Paese. Per fortuna non è mai successo, ma la posizione del server cambia comunque di tanto in tanto, così da limitare al massimo i rischi.

Disponiamo inoltre di un’altra piattaforma, per comunicazioni interne e scambio di dati. Lo schema è simile a quello pensato per Hoover: in caso di emergenza, la posizione del server di hosting può essere spostata rapidamente. Questa piattaforma gira su Liquid, che ospita una serie di app open source tra cui Rocket.Chat, Nextcloud e, cosa più importante fra tutte, DokuWiki. Si tratta di un software che permette di creare le pagine su cui l’inchiesta prende forma. In sostanza, ogni volta che nei documenti qualcuno trova delle potenziali notizie, crea una pagina in cui elenca i fatti scoperti. Per capirci, è come un foglio di word a cui tutti i membri di una redazione possono accedere, modificabile all’infinito, ma sicuro per via del sistema sottostante. È la base delle inchieste di EIC e, solitamente, per ogni progetto ne vengono create decine. Non tutte diventano articoli, perché bisogna poi fare le verifiche usando banche dati, visure camerali, ricerche open source, visite sul campo e interviste ai soggetti su cui si sta indagando. Strumenti tecnologici a parte, però, realizzare inchieste con consorzi internazionali permette di raccontare fenomeni globali con un livello di profondità che, da soli, sarebbe impossibile raggiungere. Oltre a una lingua comune e a una buona dose di flessibilità, è necessario però avere parecchio tempo da dedicarci. Merce rarissima, nel giornalismo di oggi.

Lascia un commento

Iscriviti alla newsletter per non perdere tutti gli aggiornamenti