Cosa serve sapere sull’intelligenza artificiale generativa

Un sondaggio realizzato con Slow News approfondisce i fabbisogni formativi sul tema e fornisce un quadro di come i giornalisti stanno vivendo i cambiamenti introdotti da Chat GPT e i suoi fratelli: oltre l’85% dei rispondenti chiede una formazione più strutturata, solo il 36% ha partecipato a un corso 

Di Alberto Puliafito, fondatore e direttore di Slow News 

Come informeremo e come ci informeremo nel mondo delle intelligenze artificiali generative? È il titolo di un evento di formazione gratuito che si tiene il 21 maggio a Milano (alla Fondazione Feltrinelli di via Pasubio) organizzato dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia e Slow News in collaborazione con il Consolato Generale degli Stati Uniti a Milano e la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Il corso si tiene in due sessioni (dalle 9 alle 13; dalle 14 alle 18; si può partecipare anche a una sola sessione). Iscrizioni sul sito formazionegiornalisti.it, informazioni a questo link.

L’Italia non è all’avanguardia nell’uso e nello sviluppo dell’intelligenza artificiale, anche se diversi ricercatori e esperti nel campo – il professor Nello Cristianini e il professor Giuseppe Attardi, per citarne un paio – sono molto noti a livello internazionale. La Strategia Italiana per l’Intelligenza Artificiale 2024-2026 riconosce l’impatto trasformativo dell’IA sul sistema socio-economico del paese. Ma sappiamo anche che la richiesta di professionisti altamente qualificati è decisamente superiore all’offerta attuale. Il settore giornalistico italiano rispecchia perfettamente questa situazione: ancora alle prese con una transizione digitale incompleta e modelli di business ancorati al passato, fatichiamo a trovare la giusta direzione per utilizzare al meglio le nuove opportunità offerte da questi strumenti. Solo una formazione adeguata può contribuire a rendere efficace l’approccio alle intelligenze artificiali in redazioni, fra i freelance, in generale per gli operatori e le operatrici dei media. In collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, il Consolato Generale degli Stati Uniti a Milano e Slow News, ANSO, Glocal, Varese News e V2media, ho condotto un sondaggio (potete ancora partecipare, a questo link) dal titolo Artificially Informed, che ha raccolto oltre 600 risposte da professionisti dei media per monitorare le loro percezioni, bisogni formativi, paure e aspettative riguardo all’IA. 

I risultati sono molto interessanti: oltre l’85% dei rispondenti riconosce la necessità di ulteriore formazione sulle applicazioni dell’IA ma solo circa il 36% ha effettivamente partecipato a eventi formativi sull’IA e di questi appena il 14% ha potuto beneficiare di una formazione ufficiale offerta dall’azienda per cui lavora. Questo forte contrasto tra alta domanda di formazione e bassa partecipazione evidenzia una lacuna critica non tanto nella disponibilità – il 50% ha partecipato a corsi online gratuiti – quanto nell’offerta strutturata di un’educazione all’IA, completa e su misura per i professionisti dei media, con garanzia sulla qualità di questi corsi e di una formazione continua di livello avanzato. 
Solo una minoranza (11%) ha segnalato di avere nella propria azienda un’unità dedicata alle intelligenze artificiali. Come si può vedere analizzando i file robots.txt – file contenuti all’interno dei siti con istruzioni specifiche – di importanti giornali italiani come La Repubblica, il Corriere della Serail Sole24 Ore, anche nel nostro paese molti editori hanno scelto di bloccare i bot di IA in un tentativo di “proteggere” i propri contenuti dalla scansione effettuata da parte di queste macchine, che hanno bisogno di contenuti di qualità per essere addestrate e funzionare. 
Al di là della scelta e di come la si pensi in merito – al momento nel mondo un monitoraggio su 1500 testate dice che il 50% blocca i bot, e sono già in corso accordi economici fra le grandi aziende che sviluppano questi modelli e alcuni editori – bisogna notare che raramente i giornalisti vengono coinvolti in queste decisioni. È significativo che oltre il 62% dei rispondenti non sappia se il giornale con cui collabora abbia bloccato o meno i bot di IA.

In risposta alle domande sulle proprie carenze (con la possibilità di scegliere più risposte), il 43% dice di non avere gli strumenti per scegliere gli strumenti da usare, il 34,5% di non saperli usare, e il 23% manca di conoscenze di base. Il 72,9% è interessato alle IA che generano testo e il 53,4% a quelle che generano immagini: è chiaro che l’enorme entusiasmo e le ondate di narrazione catastrofista rispetto a tecnologie come ChatGPT hanno influenzato profondamente il modo in cui i giornalisti italiani immaginano di utilizzare l’IA, oscurando spesso altri usi molto più interessanti per il giornalismo, come la consultazione di database per l’estrazione di informazioni, l’analisi di dati, l’automazione di compiti ripetitivi.

Per quanto riguarda i benefici dell’IA, mentre una minoranza (6,3%) non ha identificato aspetti positivi, oltre il 93% ha riconosciuto vari benefici, come il risparmio di tempo, l’aumento dell’efficienza nella produzione di contenuti, il recupero più veloce delle informazioni e la creazione di nuovi formati di contenuto. D’altra parte, le maggiori preoccupazioni includono la creazione di contenuti falsi e deepfake, questioni etiche e di privacy, la proliferazione di contenuti di scarso valore, la mancanza di supervisione umana e la perdita di posti di lavoro. 


Purtroppo il sondaggio evidenzia una carenza strutturale proprio sulle policy d’uso e sulla trasparenza: meno del 15% dice di aver fatto riunioni ufficiali in merito, ancor meno di aver scritto linee guida chiare e appena 3 persone hanno risposto di aver reso queste linee guida trasparenti per lettrici e lettori. Fra le richieste di formazione, viene espresso un grande bisogno di “pratica”, ma anche – sebbene in misura minore – discussioni sull’uso etico dell’IA, una maggiore chiarezza sulle politiche di utilizzo delle intelligenze artificiali e trasparenza nei confronti di chi fruisce dei contenuti giornalistici. La richiesta di “pratica” è una costante in tutto quello che riguarda la formazione sul digitale. Da un lato è comprensibile, dall’altro però nasconde il pericolo di illudersi che queste tecnologie – come altre – possano funzionare in maniera deterministica, con una lista di comandi da scrivere per andare avanti con il pilota automatico. In realtà, una conoscenza di base del funzionamento delle intelligenze artificiali generative, un metodo per decidere come scegliere gli strumenti e le strategie per usarli sono fondamentali per la parte “pratica” e sono pratica anch’essi. 
Infine, c’è una correlazione – anche se bassa – fra l’età anagrafica, l’esperienza lavorativa e l’idea di non aver bisogno di formazione sulle intelligenze artificiali: non è un dato incoraggiante, perché le persone con grande esperienza possono beneficiare molto di una formazione appropriata e trasferire le proprie conoscenze alle generazioni successive.

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