Come si fa un’inchiesta sul PNRR

#LeManiSullaRipartenza è la serie di approfondimenti realizzata da IrpiMedia che evidenzia le opacità del Piano, i ritardi e i conflitti di interesse. Il metodo di lavoro e i risultati raccontati da chi per due anni ha lavorato sul tema
di Francesca Cicculli

L’Italia è la maggiore beneficiaria del Recovery Fund: il piano da 723,8 miliardi di euro messo a disposizione dall’Unione Europea per sostenere la ripresa economica post-Covid e la transizione ecologica degli Stati membri. Un pacchetto di aiuti senza precedenti che ha messo il nostro Paese sotto la lente di valutazione non solo della Commissione Europea, ma anche di cittadine e cittadini e di giornaliste e giornalisti, che da subito hanno provato a monitorare l’utilizzo di questi fondi.

IrpiMedia lo ha fatto con #LeManiSullaRipartenza, una serie di inchieste finanziate grazie a una raccolta fondi promossa da The Good Lobby Italia, con cui abbiamo fatto luce su situazioni dubbie nella gestione dei 191 miliardi di euro che l’Europa ha stanziato per l’Italia, attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr).

Il monitoraggio civico e giornalistico è fondamentale per un Piano di lunga durata, vincolato al rispetto di principi e scadenze: i ritardi, le infiltrazioni criminali, la mancanza di professionalità interne alle pubbliche amministrazioni e i conflitti di interesse potevano trasformare il Pnrr in una replica di vecchi vizi e cronicità.

In due anni abbiamo raccontato diversi problemi legati al Pnrr, tra cui la poca trasparenza e la poca imparzialità nei processi decisionali, la mancanza di dati accessibili, diversi conflitti di interesse, una scarsa progettualità generale e la sottovalutazione degli impatti ambientali di alcune grandi opere.

Il lavoro seriale sul tema ci ha fatto mettere a sistema strutture e criticità italiane, scoprendo dinamiche e problemi che si ripetono e, in alcuni casi, riuscendo ad anticipare gli eventi. In Italia abbiamo sempre pensato di avere progetti e professionalità, ma non le risorse economiche necessarie. Quando sono arrivati i soldi, abbiamo scoperto di non avere le progettualità. 

Un Piano opaco

Il lavoro di inchiesta è partito da uno studio approfondito dei documenti a disposizione. La prima criticità che abbiamo segnalato riguardava l’iter parlamentare poco trasparente, tanto che il testo del Pnrr inviato in Europa per l’approvazione si discostava da quello presentato e votato dalle Camere. A mancare nella versione italiana erano alcuni allegati. Il documento recapitato all’Ue non è stato reso pubblico da subito, né dal Governo, né dalla Commissione europea. IrpiMedia è riuscita a consultarlo grazie all’associazione onData che l’ha reso disponibile su Archive.org,e ha messo in risalto le sue principali incongruenze. 

Una delle differenze trovate riguarda il dirottamento di fondi da una missione all’altra e in particolare 410 milioni passati dalla digitalizzazione a infrastrutture e transizione ecologica. 

La seconda differenza riguarda proprio la Missione 2 sulla rivoluzione verde. Se la versione italiana fissava gli obiettivi che questa transizione doveva perseguire, la versione inglese specificava anche le modalità di attuazione. È in quest’ultima che scopriamo che l’Italia ha intenzione di investire anche nell’idrogeno blu, cioè prodotto da fonti fossili, e non solo nelle rinnovabili, come invece dichiarato nella versione italiana. Ma l’idrogeno blu è completamente inutile per la transizione energetica, come già dimostrato da IrpiMedia in altre inchieste della serie #GreenWashing. Le pagine in inglese specificano anche che l’idrogeno passi all’interno dei gasdotti, in miscela con il metano, trasportato da aziende come Snam, responsabili di una grande quota di emissioni inquinanti non dichiarate. Nella versione italiana mancano dunque dei dettagli progettuali che avrebbero potuto modificare anche le intenzioni di voto dei parlamentari.

Ma il Pnrr italiano era opaco già dalla sua stesura: a marzo 2021, il premier Mario Draghi ingaggiò la società di consulenza McKinsey stipulando un contratto da 30.000 euro che «prevedeva l’attività di confronto con gli altri piani europei e anche di project management e di monitoraggio sull’avanzamento dei progetti». Attività che potevano essere svolte gratuitamente dalla Commissione, come stabilito dal regolamento sul Recovery Fund. Ma quella di McKinsey non è stata l’unica consulenza di cui si è avvalsa l’Italia. Consultando il Transparency System europeo, una sorta di registro finanziario dell’Ue, abbiamo scoperto che anche KPMG ha stipulato undici contratti con la Commissione europea, per fornire supporto tecnico alle pubbliche amministrazioni italiane. Sul sito del Technical Support Instrument (SST), è riportato però un solo contratto. L’SST è un fondo utilizzato per la gran parte per sostenere le riforme interne che gli Stati membri devono implementare per spendere i soldi del Recovery e contiene anche fondi per le consulenze. Abbiamo chiesto alla Commissione come mai i conti non tornassero, ma non abbiamo ricevuto risposta, così come non ci sono stati forniti i contratti di consulenza stipulati tra KPMG e l’Italia. 

Monitoraggio impossibile

Dopo l’approvazione del testo da parte del Parlamento italiano e della Commissione europea i ministeri e le pubbliche amministrazioni detentrici dei fondi si sono messi alla ricerca di progetti e aziende disposte a realizzarli. IrpiMedia ha provato quindi a capire dove stessero andando questi soldi.
Nel maggio 2022 abbiamo inviato una prima richiesta al governo per sapere se avrebbero reso pubblici i beneficiari delle prime tranche del Pnrr. Già a metà aprile 2022, Openpolis aveva denunciato una mancanza di trasparenza e una carenza di informazioni sullo stato di avanzamento delle misure. Alcuni dati, finalmente, compaiono su Italia Domani il 13 maggio. 

Italia Domani è il portale creato per aggiornare il paese sui progressi del Pnrr attraverso «schede intuitive a chiare». Contiene un Catalogo Open Data che ha lo scopo di rendere trasparente il processo di selezione ed erogazione dei fondi e di attuazione dei progetti. Al contrario, però, i file del catalogo, nella primavera del 2022, contenevano pochi dati riportati in modo tecnico e poco leggibile per un portale rivolto a tutti i cittadini.

I dati consultabili erano infatti aggiornati a dicembre 2021 ed erano relativi esclusivamente alle prime assegnazioni di fondi di un sub-investimento della Missione 1: un elenco di 5mila aziende che avrebbero preso da un minimo di 100 euro a un massimo di 300 mila. Dalle informazioni presenti sul sito non era chiaro se i beneficiari avessero già ottenuto una parte dei fondi e a che stato di attuazione fossero i progetti. Dati pubblicati in modo frammentario e incompleto rendono difficile da parte della società civile mettere in pratica le funzioni di controllo e vigilanza indipendente che tanto spesso sono state il più efficace argine contro tentativi di frode.

Da questa breve lista di beneficiari siamo comunque riusciti a far emergere delle criticità. Incrociando i nomi dei destinatari dei fondi su piattaforme come Datacros e Sayari, che permettono di visionare gli assetti societari e proprietari delle aziende, e i dati provenienti dai registri imprese, abbiamo scoperto che questa sub-misura della Missione 1 era andata anche a imprenditori già condannati in passato per bancarotta fraudolenta, o con un passato in politica. Molti dei fondi sono poi finiti a società diverse, ma guidate dallo stesso proprietario, nonostante non sia previsto un doppio finanziamento per una stessa sub-misura.

Impossibile sapere, per i dati a disposizione, come fossero stati selezionati i vincitori del bando in questione e se ci fossero dei requisiti di accessibilità da rispettare. Normalmente, i criteri di esclusione o meno dai finanziamenti sono definiti in un bando di gara. In questo caso però i fondi andavano richiesti tramite un “portale” a cui non è più possibile avere accesso perché il termine è scaduto. 

A distanza di due anni dalla prima pubblicazione di IrpiMedia sul Pnrr, Italia Domani si è arricchito di dati, ma mancano ancora i dettagli dei progetti finanziati

Il portale non è quindi sufficiente. Le informazioni legate al Pnrr vanno recuperate altrove: sui siti dei ministeri, nei report della Corte dei Conti italiana ed europea, nei documenti a disposizioni di fonti interne alle amministrazioni pubbliche.  

Il Pnrr trascura ambiente e clima: vincono gli interessi dei privati 

Supportata da Patagonia, azienda tessile impegnata sui temi della sostenibilità, #LeManiSullaRipartenza è una serie che si è concentra molto sull’impatto ambientale che alcuni progetti finanziati dai fondi europei potrebbero avere sui territori.

Per monitorare l’andamento della missione dedicata alla rivoluzione verde, abbiamo provato ad aggirare i limiti di Italia Domani, rifacendoci direttamente al sito dell’allora Ministero della transizione ecologica, dove a marzo 2022, per esempio, vengono pubblicati i bandi relativi ai finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo dell’idrogeno. A vincere, sia come proponenti che come co-proponenti dei progetti, i principali atenei statali, tra cui l’Università di Bologna, e le più grandi aziende fossili, come Eni e Snam, che in passato si erano già contraddistinte in Europa per un’intensa attività di lobbying a favore della produzione di idrogeno da gas. Pochissimi sono i dettagli disponibili sui progetti vincitori, i quali spesso non sono neanche stati inseriti sul sito OpenCUP, la piattaforma della Presidenza del consiglio dei ministri dove è possibile ricercare i progetti che hanno ottenuto finanziamenti pubblici, inclusi i fondi del Pnrr. Il CUP (codice unico di progetto), che è uno dei principali strumenti adottati per garantire la trasparenza e la tracciabilità dei flussi finanziari, in questo caso e in molti altri legati al Pnrr, non ci è stato molto d’aiuto. Sul portale, infatti, la ricerca dei progetti tramite CUP spesso non ha dato risultati.

Eppure conoscere i dettagli di questi progetti è fondamentale: finanziare l’idrogeno blu vuol dire infatti finanziare ancora i combustibili fossili con fondi destinati alla transizione. Tuttavia neanche i partner, che sono pressoché tutte università pubbliche italiane, non rilasciano dichiarazioni o dettagli, rifiutando persino le richieste di accesso civico agli atti da parte dei giornalisti. E il Pnrr rischia di essere un piano che ci terrà ancora legati al gas per decenni a venire.

Un’altra criticità legata al rapporto tra ambiente e clima arriva da una peculiarità che abbiamo riscontrato soprattutto nelle Grandi Opere, quelle infrastrutture ferroviarie, marittime e stradali a cui sono destinati gran parte dei fondi del Pnrr. A vigilare su queste opere il Governo ha nominato alcuni commissari straordinari. Abbiamo scoperto che almeno quattro di quelli scelti dal governo Draghi sono sotto indagine, a volte anche per reati gravi. Vincenzo Macello e Maurizio Gentile, ad esempio, sono sotto processo per omicidio colposo per il deragliamento di Pioltello del 2018, in cui morirono quattro persone. Macello, dirigente di Rete ferroviaria italiana, che è anche la prima beneficiaria in assoluto dei fondi del Pnrr, dovrà vigilare su sette grandi opere ferroviarie. 

Massimo Simonini controllerà la sistemazione della Ss 106 Ionica, la stessa opera che ha gestito come Ad di Anas, e per la quale la Corte dei Conti ha evidenziato gravi sprechi.

Vincenzo Marzi, funzionario Anas di lungo corso, è stato nominato commissario per la Fondovalle del Biferno. In passato era stato rinviato a giudizio per il crollo del ponte ad Albiano Magra, frazione del comune toscano di Aulla. 

Conflitti di interesse e condanne sono solo la punta dell’iceberg. Dietro ad alcune di queste opere si nascondono progetti vecchi di decenni, in passato già bocciati perché potenzialmente dannosi per il territorio e ora improvvisamente tornati in auge e finanziati grazie al Pnrr.

A facilitarne le approvazioni ci ha pensato il Decreto Semplificazioni del 28 luglio 2021, nato proprio a sostengo del Pnrr, che ha ridotto le tempestiche delle Valutazioni di Impatto Ambientale (Via), necessarie a far partire i progetti.

Un esempio è la Circonvallazione di Trento, proposta da Rete ferroviaria italiana (Rfi) nel 2003 per potenziare il trasporto merci e poi bocciata. Viene ripresentata con alcune modifiche nel 2021, appena la società intravede la possibilità di ottenere i finanziamenti del Pnrr.  L’opera riceve 930 milioni di euro, circa due terzi delle risorse Pnrr totali assegnate al Trentino, ma sarà inutile finché non si completa il tunnel del Brennero, probabilmente fino al 2032. I lavori per la Circonvallazione di Trento devono invece rispettare i tempi previsti dal Pnrr che la finanzia e quindi concludersi entro il 30 giugno 2026. Nel frattempo gli scavi per la ferrovia potrebbero esporre la popolazione al piombo tetraetile, un metallo molto tossico. L’opera attraverserà infatti due Siti di interesse nazionale (Sin), luoghi inquinati che andrebbero bonificati dal 2005. Nonostante questo, Rfi sostiene che l’opera rispetti il principio di «non arrecare un danno significativo» all’ambiente, come richiesto dal Pnrr e in generale dai regolamenti europei. Grazie a una fonte siamo riusciti a consultare i documenti presentati per la Via, incluse le valutazioni espresse dagli enti regionali e locali interessati, confermando che le tempistiche ridotte per l’ottenimento del nulla osta avrebbero permesso di sorvolare su alcune pericoli segnalati dal territorio. 

E infatti, cinque mesi dopo la pubblicazione della nostra inchiesta, a luglio 2023, una parte del cantiere è stato posto sotto sequestro preventivo ed è stato aperto un fascicolo contro ignoti per inquinamento e disastro ambientale, a causa della fuoriuscita di sostanze oleose dal terreno. L’Agenzia Provinciale per la protezione dell’ambiente sta svolgendo le sue indagini. 

In un contesto fatto di assenza di dati e procedure decisionali trasparenti, dove trovare una storia da raccontare sembrava a volte impossibile, è stato necessario prendersi il tempo giusto per approfondire i temi, trovare le incongruenze e i problemi, ma anche sviluppare metodi per aggirare gli ostacoli imposti dall’opacità del Piano. Essenziale, inoltre, curare il rapporto con le fonti, spesso unica possibilità per ottenere informazioni e documenti. È stata fondamentale infine la collaborazione con colleghe e colleghi e con le associazioni che per prime lavorano sui dati. 

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