Metodo e processi di «Investigate Europe», consorzio europeo di giornalisti nato nel 2016: indipendenza dalle fonti di finanziamento, conoscenza dei territori, maggiore impatto grazie a una rete coesa. Tutto raccontato da chi guida il consorzio
di Alessia Cerantola, editorial director di Investigate Europe
Quando mi è stato chiesto di entrare alla guida di Investigate Europe, ho subito pensato a quanta strada abbia fatto il giornalismo investigativo collaborativo indipendente.
Io avevo iniziato a conoscere questo mondo, perché di questo si trattava per me, nel 2011 quando sono stata per la prima volta alla conferenza degli Investigative Reporters and Editors (IRE), un ritrovo internazionale sul giornalismo investigativo che si tiene ogni anno in una città diversa degli Stati Uniti. Quell’anno era a Orlando, in Florida. Erano tre, quattro giorni con sessioni in cui si spiegava come coordinare inchieste transnazionali o come mandare un FOIA (Freedom of Information Act, sigla che indica la procedura di accesso ad atti di interesse pubblico). Varie testate e organizzazioni internazionali presentavano le loro inchieste, il metodo seguito e i risultati ottenuti. È lì che ho incontrato per la prima volta membri di ICIJ (International Consortium of Investigative Journalists), il consorzio di giornalismo d’inchiesta basato a Washington DC che già dalla fine degli anni ‘90 si occupava di mettere insieme e coordinare squadre di giornalisti da tutto il mondo per sviluppare un’inchiesta. Qualche anno dopo mi avrebbero invitato a far parte del progetto Prometeus, pubblicato poi nel 2016 con il nome di Panama Papers.
Guardando indietro
Quell’incontro oltreoceano era già il risultato di un lungo percorso iniziato molto tempo prima, almeno dagli anni ‘70 con la creazione in California del Center for Investigative Reporting, conosciuto oggi anche con il nome del suo podcast, Reveal. Alla fine degli anni ‘90 il modello collaborativo inizia a diffondersi negli Stati Uniti e nei primi anni Duemila arriva anche in Europa, con i primi esempi in Romania, in Bulgaria o nel Regno Unito. L’idea, come imparavo durante quella prima conferenza, era semplice: unire le forze e fare giornalismo d’inchiesta con fondi indipendenti. Le prime organizzazioni erano abbastanza improvvisate. La comunicazione interna e la gestione dei progetti contavano sull’iniziativa personale dei membri. I ruoli erano poco definiti. Era l’inizio di un processo. Incuriosita da questo modo di fare inchiesta, sempre nel 2011 sono andata alla Global Investigative Journalism Conference, un’altra conferenza di giornalismo investigativo, che quell’anno era a Kiev, in Ucraina. C’erano centinaia di giornalisti di testate e altre organizzazioni indipendenti, da tutto il mondo. Tra loro, anche alcuni giornalisti italiani, con cui l’anno successivo avrei iniziato a ragionare e poi a fondare il primo centro di giornalismo d’inchiesta indipendente del suo genere in Italia, IRPI (Investigative Reporting Project Italy).
Alcuni anni dopo sarei andata a lavorare nella redazione di Sarajevo come cronista a tempo pieno e poi coordinating editor – termine che lascio in inglese perché non traducibile in modo preciso in italiano – per OCCRP (Organized Crime and Corruption Reporting Project), un altro consorzio di giornalismo specializzato in inchieste su corruzione e criminalità organizzata. E ora l’esperienza continua con Investigative Europe.
Modelli a confronto
Queste organizzazioni sono solo alcuni degli esempi delle reti di giornalisti che negli ultimi decenni si sono create in modo informale o formale per poter collaborare con altri colleghi. Sono nati per quella che la giornalista Brigitte Alfter chiama una “emancipazione” dei giornalisti dalle strutture dei media tradizionali e da tutti i loro limiti: dai tagli ai fondi per viaggi, corrispondenze e formazione, sino alla difficoltà di investire risorse in lunghe inchieste internazionali. Non sempre questi centri sono strutture alternative, a volte i giornalisti sono dipendenti di testate tradizionali e, allo stesso tempo, membri di consorzi. Sono tutti gruppi molto diverse tra loro: ICIJ ha negli anni rafforzato la sua redazione centrale a Washington DC. L’organizzazione si è specializzata nel coordinare centinaia di giornalisti in tutto il mondo su una specifica inchiesta. Ciascun membro in genere lavora per una testata o è un freelance. Anche OCCRP ha circa duecento persone che lavorano per l’organizzazione. Di recente si è concentrata molto nel rafforzare il suo manipolo di redattori, sia regionali sia madrelingua. Questi redattori lavorano per coordinare inchieste tra i colleghi dei centri di giornalismo affiliati all’organizzazione e altri partner e per rivedere poi i servizi.
Accanto a questi due centri, tra i più grandi al mondo al momento, ce ne sono molti altri, ciascuno con le proprie specificità, alcuni coordinano inchieste, altri vi prendono come partner: da Forbidden Stories, nato allo scopo di portare avanti con una rete di giornalisti da tutto il mondo lavoro d’inchiesta di colleghi uccisi, rapiti o imprigionati; Finance Uncovered, è specializzato in formazione, contribuisce con la sua conoscenza dell’ambito finanziario alle inchieste internazionali; Bellingcat è un centro che fa analisi e inchieste grazie a materiale accessibile online a chiunque (open source).
Investigative Europe è un centro più recente, lanciato nel 2016, ma con gli stessi bisogni e simili soluzioni rispetto ad alcune delle reti già citate. Nove giornalisti che hanno avuto la loro esperienza in testate tradizionali si ritrovano, come spesso accade in questi centri, nei salotti e nelle cucine delle loro case. Parlano dei problemi delle testate in cui lavorano e iniziano a organizzarsi per trovare soluzioni, dalle idee ai fondi. Vogliono raccontare i loro paesi attraverso una prospettiva europea, per far capire come il continente sia unito nella sua diversità. Nel 2019 creano una cooperativa dove ora lavora una ventina di persone. I giornalisti di Investigate Europe sono quasi tutti cronisti che lavorano esclusivamente o principalmente per l’organizzazione. Ciascuno è basato nel proprio paese e anche chi non è cronista, grafici, redattori e la direzione, inclusa la sottoscritta, lavorano da remoto, o meglio da dove risiedono, in quanto non c’è una redazione fisica da cui sono distaccati. Periodicamente tutta la squadra si incontra di persona in una città europea.
I temi vengono scelti e approvati collettivamente e le inchieste durano alcuni mesi. Le storie vengono riprese nel sito di Investigate Europe in inglese e altre quattro lingue europee, e poi pubblicate con versioni locali da testate giornalistiche nei paesi da cui provengono i giornalisti. I progetti vengono scelti in base ai temi che vengono considerati di maggior rilievo a livello europeo, dalle miniere illegali, alla sicurezza dei treni, fino alla dubbia gestione delle case di cura degli anziani. I finanziamenti arrivano da donazioni e fondazioni. Il lavoro di “fundraising” viene fatto da due persone specifiche nell’organizzazione, dedicate a incontrare possibili finanziatori, a studiare campagne di finanziamento e a fare domanda di fondi per specifiche inchieste a enti come il Journalism Fund. Sono aiutati in questo dal resto della redazione e dalla sottoscritta, per la parte editoriale. Una persona dedicata si occupa di redigere report periodici per misurare l’impatto delle storie, nei vari modi in cui esso può essere interpretato: dalla ripresa degli articoli da parte di altre testate e nei social media, alle misure prese da istituzioni o imprese dopo le denunce fatte nelle inchieste di Investigate Europe, fino alle nuove conoscenze e abilità acquisite dai giornalisti durante lo sviluppo dei progetti investigativi.
Elementi comuni
Nonostante le differenze Investigate Europe e gli altri centri di giornalismo indipendente hanno alcuni punti in comune.
1. Pubblicazioni coordinate. Per tutti i centri, le idee per le inchieste nascono come per il giornalismo tradizionale, da un’intuizione, da una segnalazione o da una fuoriuscita di documenti che vengono passati ai giornalisti (in inglese, “leak”). Il lavoro viene organizzato in modo diverso da centro a centro, ma in linea di massima ci sono uno o più giornalisti che coordinano ogni inchiesta, occupandosi della comunicazione tra i giornalisti delle diverse aree o paesi, raccogliere, catalogare le informazioni, e fare in modo che vengano condivise con tutto il gruppo. Infine, il gruppo coordinante deve guidare ogni passaggio in modo da arrivare a una pubblicazione congiunta. In genere viene stabilito un embargo, una data prima della quale l’inchiesta non può essere pubblicata dai vari membri del progetto. Il fatto di pubblicare tutti assieme in modo coordinato aumenta l’impatto dell’inchiesta, che esce contemporaneamente con diverse versioni a seconda del paese.
2. Il potere della rete locale. Uno degli elementi di forza delle nuove reti di giornalismo d’inchiesta è il fatto che i giornalisti si trovano collocati in diversi paesi e aree del mondo e pubblicano in genere per una testata locale. È come se facessero il lavoro dei corrispondenti, con un accesso alla lingua, alle fonti e alle istituzioni e una conoscenza del territorio irraggiungibile da qualsiasi inviato. Tutte le informazioni che raccolgono in loco sull’inchiesta dal posto vengono condivise con il resto della squadra. Questa modalità di lavorare è il superamento della figura dell’inviato: non è più necessario mandare qualcuno sul posto, basta contattare il collega che già si trova lì, anche per avere sostegno. In questo modo si abbattono i costi di spostamenti e di uffici di corrispondenza, che molte redazioni stanno chiudendo da ormai qualche decennio.
Inoltre, lavorare in modo consorziato garantisce maggiore sicurezza, in quanto l’attacco a uno dei membri viene difeso dal resto della rete. Nel caso in cui colleghi di altri centri siano sotto minaccia, molto spesso si organizzano campagne in sostegno, come la più recente a favore dei media partner Kloop and Temirov Live, nella repubblica sovietica del Kirghizistan. Inoltre sono nati da poco programmi per la formazione e l’assistenza legale contro la “querela strategica contro la partecipazione pubblica” (SLAPP in inglese). La stessa rete garantisce inoltre un controllo dei fatti incrociato prima della pubblicazione, che si aggiunge a quello fatto dalle testate locali che pubblicano l’inchiesta.
3. Finanziamenti. Come fanno questi centri a mantenersi in modo indipendente e a pagare stipendi ai dipendenti o compensi ai collaboratori? Ogni gruppo ha un proprio regolamento interno sui finanziamenti e decide da chi ricevere sostegno in modo autonomo. In generale questi centri non ricevono soldi attraverso la pubblicità o finanziamenti pubblici, ma attraverso filantropi, fondazioni o sottoscrizioni da parte dei lettori. Ad ogni modo da qualsiasi parte arrivino i soldi, le organizzazioni indipendenti si assicurano attraverso accordi formali che chi finanzia la struttura non abbia alcuna influenza sul processo editoriale. Ci sono diversi casi, da ProPublica a OCCRP in cui figure legate agli stessi enti finanziatori sono stati oggetto delle inchieste dell’organizzazione. Per esempio sono finite nel mirino dei giornalisti persone dietro fondazioni che hanno fatto parte dei finanziamenti di grandi inchieste sulle evasioni fiscali. Ma non per questo hanno tolto i finanziamenti. In molti casi questi enti o i filantropi sono consapevoli del fatto che le inchieste possono riguardare anche loro. Lo accettano perché “fa parte delle regole del gioco”. Un altro meccanismo con cui questi centri cercano di mantenere maggiore indipendenza è quello di avere una molteplicità di finanziatori, anche da diverse posizioni politiche, in modo da garantire un maggiore equilibrio e dare più forza alla struttura internamente.
Lezioni apprese
Prima di iniziare a collaborare e poi a far parte di queste organizzazioni nel 2019, ho lavorato per almeno un decennio come freelance e nelle redazioni cartacee, televisive e radiofoniche delle cosiddette testate tradizionali, sia italiane sia straniere. Il modus operandi dei centri di giornalismo investigativo indipendente ha modellato la gestione del mio lavoro e anche l’interazione con i colleghi: ho imparato a programmare l’impegno tenendo conto dei diversi tipi di relazioni con colleghi da testate tradizionali o freelance, a lavorare con diverse culture giornalistiche e fusi orari. Ho imparato a dedicare tempo ai colleghi anche di altri centri e redazioni per condividere quanto imparato durante ogni esperienza di inchiesta, sia dal punto di vista delle tecniche sia del contenuto. Come molti di loro hanno fatto sin dagli inizi e tuttora fanno con me e con Investigate Europe.
I consorzi di giornalismo d’inchiesta sono in continua evoluzione perché come ogni nuovo modello, con il tempo emergono anche i limiti e le imperfezioni, o meglio le parti perfettibili: dalla stabilità finanziaria al sistema di reclutamento e partecipazione al lavoro editoriale di nuovi membri per alcuni centri. Quello che ho notato dall’inizio della mia esperienza, più di dieci anni fa, è la trasformazione nella relazione con le testate tradizionali dagli inizi della mia esperienza più di dieci anni fa: la diffidenza e il sospetto sembrano essere in parte superati, e questo oggi è indice di un cambiamento destinato a lasciare un segno. Molte testate tradizionali, anche in Italia, sono alla ricerca di collaborazioni con consorzi internazionali. In questo modo possono esternalizzare i costi di lunghe inchieste transnazionali, avvalersi della competenza locale o tecnologica dei membri del consorzio, aumentare la visibilità e l’impatto dei propri lavori oltre i confini del proprio paese.