Parla Marco Giovannelli, fondatore e direttore di VareseNews: «Per i quotidiani locali un modello basato sulla membership è per ora impensabile. Ci si può arrivare solo restituendo qualità al nostro lavoro»
di Francesco Gaeta
Creare e alimentare una community intorno a un progetto di cronaca locale significa non solo conoscere il territorio in cui si vive, ma soprattutto avere un’idea chiara della platea di riferimento, saperne cogliere e interpretare i bisogni informativi. Dinamiche interessanti se il territorio di riferimento è complesso, come nel caso della provincia di Varese, e se a osservarle è una testata digitale come VareseNews, che ha 25 anni di storia. Sono i numeri a dire che VareseNews, fondato e diretto da Marco Giovannelli, è un caso da studiare: in una provincia che conta 850.000 abitanti, VareseNews ha 5 milioni di visite al mese, 280.000 follower su Facebook e 80.000 su Instagram.
Partiamo dai dati: cosa conoscete della vostra community?
Che c’è una prevalenza femminile di lettori, sono circa il 55%. Che circa un quarto dei lettori ha meno di 35 anni e un altro quarto ne ha più di 55. Quindi il nostro zoccolo duro, circa il 50%, sta tra 35 e 54 anni.
E sul piano geografico?
Qui la faccenda si complica. La provincia ha due città di medie dimensioni Varese e Busto Arsizio che sono intorno agli 80.000 abitanti e poi altre due città, Gallarate e Saronno. Soprattutto è un territorio tutt’altro che omogeneo, molto differenziato.
Quali queste differenze?
La provincia di Varese ha tre anime. La prima è una zona montana prealpina, che copre metà del Lago Maggiore e fa circa 150.000 abitanti. La seconda è un’area centrale, dove si trova Varese, ed è quasi l’inizio di tutta la Pianura Padana: ci vivono circa 350.000 abitanti. La terza è la fascia pianeggiante, con paesi come Gallarate, Busto Arsizio, Saronno e Malpensa. Sono quasi tre province diverse.
Cosa intendi esattamente?
Un esempio: tutta la zona nord-nordest è confinante con la Svizzera. Ci vivono circa 35 mila varesotti che tutti i giorni vanno a lavorare in Svizzera. Hanno bisogni informativi e stili di vita molto più simili a quelli di chi vive a Como rispetto a quelli di chi abita a Gallarate o Busto Arsizio.
E quali invece i tratti omogenei di questo territorio?
La ricchezza di capitale umano, che è elevatissima. Nell’arco di 30 chilometri ci sono ben cinque atenei, a Varese esiste l’unica Scuola Europea in Italia, ci sono diversi ITS, gli istituti tecnici superiori post diploma. Altro dato saliente è una forte mobilità interna, che si deve a una rete fatta di tre autostrade e una miriade di linee ferroviarie. Infine un tessuto di aziende di caratura internazionale che qui hanno centri di produzione e ricerche: AerMacchi, Alenia, Leonardo, Whirlpool, B-Ticino.
In che modo tutto questo si riflette sul modo di fare informazione di VareseNews?
Noi abbiamo i numeri che abbiamo non soltanto perché conosciamo tutto questo ma anche perché abbiamo una relazione con tutto questo, che è in continuo movimento. Per riuscirci occorre avere uno sguardo “glocale”.
Termine creato dal Censis qualche anno fa. In che senso vale per questo territorio?
Quando parliamo di Whirlpool che ha casa madre a Chicago, Illinois, ma a Cassinetta ha un impianto di livello europeo parliamo di un’azienda mondiale o locale? E B-Ticino? È la più importante azienda mondiale di domotica, ha ormai la casa madre in Francia pur essendo nata qui. Sono aziende in cui puoi osservare dinamiche produttive internazionali. Su questo territorio tocchi con mano che vuol dire “villaggio globale”.
Quindi chi fa informazione in un territorio “glocale” deve avere uno sguardo strabico, uno alla dimensione locale e uno a quella internazionale.
È così. Ci tocca avere un piede saldo sul territorio e uno sguardo molto più alto. Pensa solo ai frontalieri: 35 mila lavoratori, ma considerando le loro famiglie forse 200.000 persone, che abitano in una trentina di comuni le cui casse comunali sono floride. Tenerne conto significa a volte dovere cambiare gerarchia alle notizie.
Puoi farci un esempio?
La notizia dell’accordo fiscale siglato in Parlamento per recepire l’accordo bilaterale tra Italia e Svizzera. È una notizia nazionale ma è stata la più letta del giorno sulla nostra testata. Per il 95% dei media non significa nulla, perché non li riguarda.
C’è dunque un tema locale e globale. Prima però parlavi di tre province differenti.
Certo, raccontare la comunità vuol dire avere chiare le nostre microcomunità. La Valcuvia non ha niente a che vedere con quello che ti ho raccontato. In Valcuvia non c’è il treno, è una valle chiusa con caratteristiche specifiche, ha tradizioni e vissuti incomprensibili per chi abita a Varese.
Come si fa ad ascoltare i propri lettori date queste differenze?
Innanzitutto nel modo più tradizionale: abbiamo 20 giornalisti sul territorio, che sono delle antenne. Poi naturalmente ci sono i social. Dirette, eventi social, commenti ci offrono spunti su chi ci legge.
Qual è il modo in cui VareseNews utilizza i social?
Evitiamo di rincorrere i click. Abbiamo una presenza basata sul valore dell’informazione. Questo traccia un confine rispetto alla tipologia di relazione che tu vuoi costruire sui social. Noi siamo nati prima dei social e il nostro brand si era già affermato presso una fascia di lettori che oggi non ci perdonerebbe di rincorrere i trend dei social. Noi non demonizziamo né santifichiamo queste piattaforme. Facciamo di tutto, però, affinché dai social si sia invogliati a transitare sul giornale
Che dati puoi portare su questo?
Nel 2022 abbiamo avuto quasi 60 milioni di visite, circa 5 milioni al mese. Per il 31% sono visite dirette, ed è il dato di cui sono più orgoglioso, per il 50,2% arrivano da Google, per il 17% arrivano dai social e per l’1,7%% da altri siti. Ma il dato più interessante è il “rimbalzo delle visite dirette”, che è al 53%. Vuol dire che tra le persone che sono arrivate cercando VareseNews, il 47% è rimasta per vedere altro dopo la prima notizia. Quelli che invece arrivano dai social se ne vanno in 84 casi su 100. Sono lettori diversi, più frettolosi e distratti. Anche questo mi porta a dire che il rincorrere i social da parte dei giornali tradizionali è una follia.
E cosa andrebbe fatto, invece?
I social devono riportare al giornale. Noi siamo VareseNews non Facebook o Instagram. Siamo giornalisti non influencer e questo fa una differenza enorme.
Spiegami meglio: qual è l’errore dei “giornali tradizionali”?
Inseguire. Oggi un giornale, e parlo anche di grandi giornali, prende una notizia dai social, non la gestisce in maniera critica, fa circolare qualcosa che a volte non ha alcun fondamento, scatena una rissa e una serie di insulti, fa molti clic e poi passa ad altro. Superficialità e memoria corta. E parlo di primarie e importanti testate nazionali. Io la trovo una follia.
Ci stiamo dicendo per l’ennesima volta: non facciamoci drogare dai click.
Sì, diamo piuttosto le notizie. Noi proviamo ad ascoltare i social, a prenderci degli elementi su cui costruire un racconto, ma mantenendoci fedeli a un’identità. Bisogna capire, ricordarsi che ruolo si ha. Il nostro è quello di favorire la crescita di una comunità intorno a un giornale locale.
Quali altri strumenti o progetti negli anni avete sperimentato che hanno consentito di alimentare la community?
Il Festival Glocal sul giornalismo, anno di nascita 2012. È stata una svolta. Siamo usciti da una dimensione locale e siamo diventati un giornale glocale, che sta nel locale con un’attenzione alle dimensioni globali. Con Glocal, Varese diventa ogni anno una sorta di hub per una serie di mondi che sono quelli dei giornali, degli editori, degli studiosi dell’informazione.
Cosa vedi nel futuro di VareseNews?
La pubblicità rappresenta l’ottanta per 100 dei nostri ricavi (che da ultimo bilancio supera 1.600.000 euro). Assicurare la sostenibilità di questo sistema vuol dire puntare su progetti di comunicazione e su iniziative offline che consentano di sostenerci e fidelizzare i nostri lettori.
È possibile pensare per Varese news a un modello membership come quello del Post?
Direi proprio di no. Il Post è un club di qualità, autorevole. Sono stati bravissimi a «spiegare bene le cose» e oggi raccolgono i frutti. Per un giornale locale è molto più complesso, il processo identitario da solo non basta. Noi dobbiamo dare notizie possibilmente prima degli altri, ma questo ha pochissimo valore rispetto alla costruzione di una membership, perché la notizia, dispiace doverlo dire, è sempre più una commodity. Io sono tenacemente convinto che bisognerà arrivare lì, però è un percorso complicato. La cosa da fare subito è restituire qualità al nostro lavoro.