La prima indagine sulla salute mentale di chi fa informazione senza un contratto stabile documenta una sindrome da stress legata a retribuzioni insufficienti e alla precarietà delle condizioni di lavoro. Le iniziative e i network per condividere esperienze e proposte
Di Alice Facchini
Stress, ansia, insonnia, abuso di cibo e sostanze, dipendenza da internet, attacchi di panico, burnout. Sono allarmanti i risultati emersi dall’indagine Come ti senti, condotta da IrpiMedia per approfondire lo stato della salute mentale dei giornalisti freelance in Italia. La raccolta dati si è svolta da luglio a ottobre 2023 attraverso un questionario anonimo, a cui hanno risposto 558 giornalisti da tutta Italia. Tra loro, il 75% è iscritto all’Ordine dei giornalisti e il 23% ha la cassa di assistenza sanitaria della professione Casagit. Tra i disturbi più comuni l’87% afferma di soffrire di stress, il 73% di ansia, il 68% vive un senso di inadeguatezza. Il 42% afferma di soffrire di sindrome da burnout, di avere attacchi di rabbia immotivati e di essere dipendente da internet e dai social network. Uno su tre parla esplicitamente di depressione. Il 28% denuncia perdita di appetito o abuso di cibo, il 27% ha attacchi di panico e il 26% ha difficoltà a intraprendere e mantenere relazioni di coppia. Il 15% dice di aver subito disturbi da stress post traumatico. Solo il 2% dichiara di non aver mai sofferto di nessuno di questi problemi. Interessante anche analizzare le risposte che sono state segnalate all’interno della casella “altro”, dove diverse persone scrivono di avere difficoltà legate all’abuso di alcol, tabacco o sostanze.
«Lo stress in sé non è negativo, il problema è la continuità e l’intensità di quello stress», afferma Francesco Pace, presidente della Società italiana di psicologia del lavoro e dell’organizzazione (Siplo) e professore di psicologia del lavoro all’università di Palermo. «Negli ultimi anni si è rilevata una ampissima diffusione di disagi connessi alla sfera professionale, tra cui stati d’ansia, disturbi del sonno, disturbi del comportamento alimentare, dipendenze patologiche». Dal 2008, la valutazione del rischio stress lavoro-correlato è stata inserita tra gli obblighi delle aziende per tutelare la salute dei dipendenti.
Analizzando le cause del malessere vissuto dai giornalisti, i compensi troppo bassi sono considerati il fattore più impattante sul benessere psicologico della categoria: su una scala da 1 a 4, dove 1 significa che quel fattore non impatta per nulla e 4 significa che impatta molto, l’85% dei rispondenti dichiara che incidono “abbastanza” o “molto” sulla propria salute mentale. Subito dopo viene la precarietà lavorativa, con una percentuale dell’83% di giornalisti che hanno risposto “abbastanza” o “molto”, seguita dal rimanere sempre connessi e reperibili (76%), dai ritmi frenetici (70%), dall’ipercompetitività (65%) e dall’ambiente giudicante (57%).
Dietro ai numeri, le storie
«Per anni ho lavorato senza essere pagato. Mi dicevano: “Sai come vanno queste cose, siamo un po’ in difficoltà, prima o poi arriveranno gli sponsor”. Io ingenuamente ci speravo, e intanto provavo ad arrangiarmi anche con altri lavori». Giacomo (il nome è di fantasia), 34 anni, dopo la laurea ha lasciato un contratto a tempo indeterminato per inseguire il sogno di diventare giornalista. Grazie a un tirocinio è entrato nella redazione di un giornale locale: «Investigavo sui movimenti di estrema destra, la mafia nigeriana, i diritti dei lavoratori sfruttati. Più volte mi sono trovato in situazioni pericolose, sono stato minacciato. A un certo punto però ho dovuto smettere perché non avevo nessuno alle spalle: non avevo soldi e non potevo permettermi di essere querelato. Il direttore mi ha detto chiaramente: “Fai come vuoi, ma sappi che non abbiamo avvocati per aiutarti”».
Giacomo è solo uno dei tanti giornalisti freelance che vivono sul filo del rasoio: gli articoli dei giornali sono pagati sempre meno e le collaborazioni raramente hanno una continuità che permetta di avere certezze sul futuro. «Vivevo schiacciato da una pressione che veniva da più parti: la pressione del caporedattore che aspettava l’articolo, la pressione di chi voleva che quell’articolo non venisse pubblicato, la pressione dell’affitto e delle bollette da pagare – racconta Giacomo –. Ho sofferto di tachicardia, facevo fatica a respirare, avevo la gastrite, la pressione alta, una continua fame nervosa». Con il tempo, Giacomo si è allontanato dalle persone care. Ha smesso di parlare con sua madre, ha chiuso la sua relazione sentimentale. A un certo punto si è trovato solo.
Ha capito di avere un problema un giorno in cui è andato a fare un servizio sul caporalato nei campi intorno alla sua città: «I braccianti mi raccontavano che lavoravano sotto il sole per tre euro all’ora, e invece di provare empatia sentivo solo una grande rabbia: io guadagnavo zero euro all’ora, eppure la mia storia non la raccontava nessuno. Se mi fossi ammazzato, ci sarebbe stato solo un trafiletto sul giornale e sarebbe finita lì». Con l’arrivo della pandemia, Giacomo non riusciva più a sostenere le spese e così è tornato a casa dei suoi genitori. Ha chiuso con il giornalismo e ha cercato altri lavori, ma per ora è disoccupato. «Ho 34 anni, adesso da dove ricomincio? In me c’è una grande amarezza: volevo semplicemente lavorare, non mi è stato permesso».
L’importanza di chiedere aiuto
Il dato positivo che si ricava dal questionario riguarda la capacità dei giornalisti di chiedere aiuto. L’89% dei professionisti che hanno risposto ha raccontato le proprie difficoltà ad amici, partner e familiari. L’81% si è confidato anche con altri giornalisti e giornaliste: di questi, l’83% ne ha parlato con colleghi e colleghe, mentre solo il 19% ha espresso le proprie difficoltà con i superiori. Il 52% è stato già seguito da uno psicoterapeuta. Purtroppo, però, a fronte delle difficoltà e delle necessità di supporto, attualmente non esistono sostegni adeguati: solo il 5% ha ricevuto aiuto sul lavoro rispetto al proprio benessere psicologico. La percentuale non varia in maniera rilevante tra diverse tipologie di giornalista: si va dal 4% dei freelance al 6% dei giornalisti contrattualizzati. Il 62% riterrebbe utile accedere a sedute individuali gratuite di psicoterapia, il 50% vorrebbe gruppi di condivisione e auto-mutuo aiuto, il 37% workshop e training su giornalismo e wellbeing, il 20% un numero verde e una chat di supporto.
Quali di questi aiuti esistono oggi? Nessuno, purtroppo. L’Ordine dei giornalisti mette a disposizione degli iscritti alcuni strumenti come lo sportello legale, ma ancora non prevede sostegni specifici dal punto di vista della salute mentale. A fornire assistenza sanitaria agli iscritti all’Ordine è Casagit Salute, ma attualmente solo alcuni piani prevedono la copertura delle spese per percorsi di psicoterapia (fino a un certo limite annuale), e comunque si tratta di piani sottoscrivibili solo da giornalisti che hanno un contratto: i liberi professionisti non possono accedervi.
Chi lavora come freelance può sottoscrivere invece uno dei piani sanitari cosiddetti “aperti”, ossia indirizzati a tutte le categorie di lavoratori: ne esistono quattro tipologie, ma in nessun caso sono coperte le spese per le visite psicologiche. Quest’anno Casagit ha lanciato anche il piano W-in Plus, prosecuzione del precedente W-in: si tratta di un piano finanziato dall’Inpgi (l’ente previdenziale dei giornalisti) che copre le spese mediche a oltre 2.700 giornalisti liberi professionisti con un reddito annuo tra 2.100 e 30.767 euro lordi. Anche in questo caso, però, tra le prestazioni incluse non ci sono le visite psicologiche o psicoterapeutiche.
«Il tema dello stress da lavoro correlato è sempre più centrale oggi», afferma Andrea Artizzu, consigliere del cda di Casagit. «Il malessere è tanto. Nelle redazioni ci sono molti pensionamenti, mentre le assunzioni sono poche: il risultato è che il carico di lavoro per persona aumenta». Per questo nel 2022 Casagit ha lanciato la prima indagine sullo stress da lavoro correlato, realizzata insieme al Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi (Cnop) e rivolta solo a giornalisti con contratto. La ricerca, che è stata supervisionata da un comitato scientifico, è stata sviluppata dallo spin off dell’Università di Bologna Unveil Consulting: a partire da una serie di focus group realizzati con gruppi di giornalisti divisi in tre aree geografiche (nord, centro e sud Italia), si è poi strutturata un’intervista scritta somministrata a 50 giornalisti selezionati. In questa fase sono stati registrati i fattori di rischio maggiormente percepiti: sulla base di essi sono state selezionate le scale psicologiche di riferimento ed è stato elaborato un questionario, che ora viene diffuso tra i giornalisti contrattualizzati iscritti a Casagit. I risultati verranno pubblicati nel 2024. «L’obiettivo è anche di individuare dei correttivi e offrire nuove possibilità a chi prova un disagio sul posto di lavoro – spiega Artizzu –. Grazie a un accordo con il Cnop, daremo l’opportunità agli iscritti a Casagit di usufruire di uno sconto del 20% sui servizi di supporto psicologico e psicoterapia con i professionisti che hanno aderito alla convenzione».
Network e proposte
Ma cosa può fare chi non è iscritto a Casagit? Un’opzione è quella di rivolgersi al Servizio sanitario nazionale per chiedere assistenza psicologica, ma attualmente è molto difficile ottenere un appuntamento, a meno che non si abbia un disturbo di una certa gravità. Per questo stanno nascendo diversi progetti dal basso, per creare una rete di supporto e mutuo aiuto tra giornalisti. Tra questi c’è il gruppo Linkedin Giornalistǝ italianǝ, uno spazio sicuro «di confronto, di conforto e di dibattito» – come si legge nella descrizione – per persone che lavorano nel giornalismo. «Ci interroghiamo su molte questioni: quanto sono utili le scuole di giornalismo? Che vantaggi dà l’iscrizione all’Ordine? Quale dovrebbe essere l’equo compenso per il nostro lavoro?», spiega il fondatore Francesco Guidotti, che in precedenza aveva creato il progetto Lo Spioncino dei Freelance, con l’obiettivo di rendere trasparenti le tariffe delle testate attraverso un database pubblico alimentato dalle segnalazioni degli stessi freelance. «Alla base c’è l’idea di scardinare le dinamiche competitive per favorire la collaborazione tra colleghi. Nel gruppo tutti possono chiedere indicazioni e suggerimenti, oppure avviare una discussione su temi che hanno a che fare con il lavoro, le redazioni, il precariato, le innovazioni nel giornalismo».
Con lo stesso spirito nasce la rete creata da Fada Collective, pensata per chi vuole uscire dalla competizione ed entrare in una logica di aiuto reciproco, condividendo sia risorse concrete che riflessioni su compensi e diritti. Negli ultimi mesi la rete, che usa un gruppo Whatsapp e un canale Slack, si sta strutturando per diventare anche uno spazio sicuro per condividere questioni legate alla salute mentale. Parallelamente, anche il Centro di giornalismo permanente ha avviato un gruppo di lavoro sulla condizione dei freelance in Italia, che mette insieme una serie di organizzazioni e professionisti per raccogliere informazioni e realizzare un report. Tra i punti toccati c’è anche quello della salute mentale.
Parallelamente anche il sindacato dei giornalisti Fnsi (Federazione nazionale della stampa italiana) dà un supporto ai liberi professionisti attraverso la Commissione lavoro autonomo, che ha il compito di monitorare le condizioni di lavoro dei giornalisti freelance e fornire assistenza sindacale, legale e previdenziale. «Quando si parla di freelance, la difficoltà è riuscire a organizzarsi e costruire una rappresentanza collettiva, per farsi riconoscere dalla controparte», spiega il consigliere di Fnsi Mattia Motta, che è anche rappresentante per l’Italia all’interno del Freelance rights expert group della European Federation of Journalists. «Quando si riescono a creare coordinamenti di giornalisti freelance di un gruppo o una testata, il tema della salute mentale emerge sistematicamente e con forza: si tratta di una vera propria emergenza, che va in parallelo all’emergenza del lavoro dignitoso».
I freelance possono anche scegliere di rivolgersi a reti internazionali che aiutano i giornalisti indipendenti, come quella del progetto Media Freedom Rapid Response, che fornisce sostegni concreti come la sostituzione dell’attrezzatura danneggiata, l’assistenza medica e anche il supporto psicologico. Il sostegno è rivolto ai giornalisti che lavorano nei paesi membri dell’Unione europea e nei paesi candidati ad aderirvi: per fare domanda è sufficiente mandare la propria candidatura sul sito. «Ogni intervento è ritagliato su misura per venire incontro ai bisogni del singolo giornalista», spiega Serena Epis, che lavora al progetto per conto di Osservatorio Balcani e Caucaso. «Il nostro sostegno è rivolto a chi per via del proprio lavoro subisce minacce di vario tipo, tra cui violenza, molestie e intimidazioni».