Il cuore del potere. Il Corriere della Sera nel racconto di un suo storico giornalista
“La parola ‘cuore’ nel titolo si può’ leggere in più modi, quel cuore rappresenta i valori del giornalismo. Ma è anche un po’ quello mio. Al ‘Corriere’, insomma, in molti ci abbiamo messo il ‘cuore’ per difendere, con il lavoro giornalistico, valori essenziali”. Con queste parole, Raffaele Fiengo, autore del saggio “Il cuore del potere: il ‘Corriere della Sera’ nel racconto di un suo storico giornalista”, ha introdotto la presentazione del proprio memoriale nell’eccezionale sede dell’Archivio di Stato di Milano, luogo di conservazione degli originali di tutti i documenti più importanti della Storia lombarda.
Le ricerche d’archivio e la confidenza di Spadolini
Una scelta appropriata, quella dell’Archivio di Stato, confacente al valore “storico” che l’autore ha conferito alla testimonianza raccontata nel libro (Chiarelettere editore, Milano, 2016, pagg. 393, 19 €). La conferma della piena corrispondenza di quanto narrato da Fiengo con la realtà “storica” si evidenzia sin dalla pagina d’apertura del libro, nel “Pretesto 1”, che anticipa, da una frase di pagina 230, una confidenza fatta all’autore stesso da Giovanni Spadolini, direttore del “Corriere della Sera” dal 1968 al 1972, poi parlamentare e presidente del Consiglio che mise fuori legge la loggia massonica P2: “Vedi, Raffaele, le tue sembravano denunce esagerate. In verità erano errate per difetto… Con la P2 sono arrivati in via Solferino i soldi della mafia e anche uomini espressione di quel mondo”.
Erano le denunce di un giornalista che si è battuto per decenni in difesa dell’indipendenza del “Corriere”, il giornale più diffuso e influente d’Italia, “cuore del potere”, espressione della borghesia più progressista, ma mai completamente libero, perché al centro di insaziabili appetiti dei potentati politici ed economici.
Libro-testimonianza di un protagonista
Con questo suo libro-testimonianza, Fiengo, in via Solferino dalla fine degli anni Sessanta, dimostra che si può “fare Storia”, con la S maiuscola, anche avendo vissuto gli avvenimenti da protagonista, in difesa non solo dell’indipendenza del suo giornale e della libertà di informazione dei giornalisti, ma anche, con cio’ stesso, della democrazia nel nostro paese. Raffaele Fiengo – dall’anno accademico 2000-2001 docente di Linguaggio del giornalismo all’Università di Padova e per quarant’anni al “Corriere della Sera”, sezione Cultura, con un ruolo di spicco nella rappresentanza sindacale – offre qui, in prima persona, una testimonianza di parte e particolareggiata, ma obiettiva, sincera, delle lotte per l’indipendenza editoriale e giornalistica che al “Corriere” hanno conosciuto momenti drammatici, anche per le conseguenze decisive che l’esito avrebbe avuto per la continuità della vita democratica della nostra Repubblica.
Fiengo e Tobagi, due sindacalisti a confronto
Grazie alla sua capacità di analisi e di ricomposizione, nonché a quella di “trattare” con la giusta prospettiva gli avvenimenti, l’autore è riuscito a dare respiro “storico” alle proprie, dirette esperienze, e a conferire oggi valore di documento alle sue carte e alle sue memorie. Raccontando le vicende in prima persona, anche il cittadino Fiengo, anima e corpo di giornalista-sindacalista, dimostra di essere stato del tutto impropriamente etichettato, “taggato” diremmo oggi, come capo del “Soviet del Corriere della Sera”. Anche in questo suo memoriale egli, per obiettività, non manca di mettere in luce pure i meriti di chi, come il suo storico concorrente sindacale Walter Tobagi, nella lotta ha mantenuto atteggiamenti più moderati. Intransigente, sì, ma “liberal”. Nato a Cambridge, Stati Uniti, Fiengo ha sempre mantenuto, con orgoglio, il passaporto americano insieme con quello italiano, vivendo i valori di quella democrazia da lontano, ma ponendoli al centro della propria vita.
Il Freedom of information act, il mito americano della trasparenza finalmente in Italia
Chi scrive ha appreso dallo stesso Fiengo, in anni difficili – proprio quelli della difesa del giornalismo e della democrazia al “Corriere” e in Italia rievocati nel libro – dell’esistenza in America dal 1966 – e dell’assoluta necessità di introdurlo anche in Italia – di un “Freedom of Information Act”, “Atto per la libertà di informazione”, una normativa a tutela degli interessi conoscitivi, “investigativi”, dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione. Lo stesso Fiengo ha guidato suoi studenti dell’università di Padova nelle ricerche sul campo, con paper e tesi di laurea. Ha promosso poi, nel 2012, presso la Federazione Nazionale della Stampa, un’Iniziativa per l’adozione in Italia di un “Freedom of Information Act”, che, finalmente!, ha visto la luce anche da noi nel maggio 2016. ll racconto di questo memoriale si snoda “dal di dentro”, puntuale, minuzioso, ricco di nomi e di fatti, a partire da quando Raffaele Fiengo approda, da Roma, nella redazione milanese del “Corriere della Sera” proprio nei giorni della terribile strage di piazza Fontana: 12 dicembre 1969.
La Cultura del Corriere e le notizie “deviate” in redazione
Curioso quanto dev’essere un buon cronista, Fiengo non si accontenta di conoscere sulle indagini solo quanto pubblicato e, consapevole di essere nel “tempio del giornalismo italiano”, legge alla sua scrivania della Terza pagina le note inviate dai corrispondenti locali, notizie di prima mano. Vede così, tra quelle trasmesse da Venezia, una “breve” nella quale il corrispondente rivela che le borse impiegate nella strage sono state vendute a Padova. Capisce subito che si tratta di una notizia di estrema importanza e si aspetta di trovarla il giorno dopo, col dovuto risalto, in evidenza tra gli articoli che il “Corriere della Sera” sta dedicando alle indagini sulla strage. Invece, niente. La notizia non esce, per tre anni e più non si conoscera’. Anzi, il giornale, il suo giornale, segue, o meglio “devia” sulla pista anarchica. Il giovane redattore rimane molto colpito, scopre così come il potere possa insinuarsi pericolosamente in un organismo complesso e delicato come un grande organo di informazione. Nel primo giornale del paese. Da allora Fiengo annota e analizza dal “di dentro”, giorno dopo giorno, vicenda dopo vicenda, le lotte per il potere nel giornale e sarà in grado non solo di intervenire dalla parte “giusta”, perché’ fosse onorato l’impegno di “non nascondere nulla” dichiarato in un famoso editoriale di Piero Ottone e ripetuto negli anni, ma anche di mettere oggi agli atti gli elementi materiali delle proprie memorie, di raccontarli in questo libro, di trasmetterli come saperi preziosi nella costruzione della Storia ufficiale del nostro paese.
Il Banco Ambrosiano e i poteri occulti della P2 nelle stanze del potere dell’informazione
Sono resoconti di dure lotte, che vedono, in estrema sintesi: 1) Giulia Maria Crespi, esponente di quella buona borghesia milanese che aveva promosso e fatto nascere la primavera del “Corriere”, costretta a lasciarne la proprietà; 2) Angelo Rizzoli impossessarsi dell’Editoriale, in realta’ surrogato da personaggi come Eugenio Cefis (con i “pesanti” interessi della Montedison), Roberto Calvi (con quelli nebulosi del Banco Ambrosiano) e Licio Gelli (con i poteri occulti della P2, tesi alla conquista dei mezzi d’informazione come primo passo per il controllo del potere nel paese); 3) abbattersi, sul Paese e sul giornale, la tempesta dello “Scandalo P2”; 4) le mire egemoniche da parte di Craxi e le indebite pressioni del governo Berlusconi. Fiengo dedica lunghe pagine alla P2 – studiata a fondo come incaricato dalla Commissione parlamentare presieduta dalla benemerita senatrice Tina Anselmi -, anche perché, come scrive Sergio Bocconi in un’esaustiva presentazione del libro pubblicata sul “Corriere” del 16 novembre scorso: “Gli anni targati P2, al ‘Corriere’ come nel Paese, rappresentano l’insinuazione e l’affermazione più forte di un potere occulto.
La “Corazzata” di via Solferino e gli anticorpi della democrazia
Ma anche in quegli anni, e in successivi assedi politici ed economici che non sono ancora terminati, il corpo redazionale del giornale ha dimostrato di avere robusti anticorpi”. Grazie a questi “anticorpi”, Alexander Stille (figlio di Ugo, storico corrispondente dagli Stati Uniti e – dal 1987 al 1992 – direttore del “Corriere”), professore di Giornalismo alla Columbia University, ha potuto scrivere nell’introduzione al libro: “Considerate le lotte di potere avvenute per il controllo di via Solferino, è un miracolo che da lì sia uscito tanto buon giornalismo, tanta informazione corretta, e ciò grazie agli sforzi di tanti giornalisti interessati soprattutto a fare bene il proprio lavoro”. La lettura di questo saggio offre, dunque, una ricostruzione “accorata”, ma nel contempo non di sola cronaca, delle insidie e delle lotte per la difesa del “Corriere della Sera” come elemento essenziale della libertà di stampa e della stessa nostra democrazia. E la conoscenza disvelata di questo passato, della Storia materiale, fornisce, soprattutto alle giovani generazioni, la chiave per capire il presente e la possibilità di ragionare sul futuro. Tutti possiamo così confidare nel fatto che, come ha retto il mare tempestoso e i venti di guerra della P2, la “Corazzata” [così, al tempo, il “Corriere” veniva chiamato, con orgogliosa enfasi, dai membri dell’…equipaggio], quel giornale, ma in realtà il giornalismo italiano, sappia reggere anche le tempeste del nostro tempo. E quelle che, ancor più temibili dal punto di vista democratico, arriveranno. Perché – come dimostra la sorprendente, incredibile, elezione di un personaggio come Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti – a generare mostri, oggi, non è tanto il sonno della ragione, quanto quello del “cane da guardia del potere”: il (buon)giornalismo. E’ successo tante volte, sotto tutte le latitudini: una cattiva o insufficiente informazione fa sì che anche persone indegne, degli “impuniti”, possano giungere al potere. Sarà la Storia, tra qualche decennio?, a sciogliere il dubbio sulla legittimità o meno (per conflitto di interessi, per mancanza di “dignità”, pubblica o privata, per corruzione e decline della comunità) della loro conquista. Ma, di ventennio in ventennio, quante volte personaggi tesi più a servirsi degli altri che a “servirli”, sono giunti a occupare cariche di grande rilievo nella vita pubblica per via di un’informazione completamente vicina o asservita al potere (politico o economico, spesso l’uno e l’altro insieme)! In questa inedita situazione (i giornalisti ci sono, il giornalismo non c’e),
Il giornalismo e la metafora dell’acqua
Raffaele Fiengo, porta a soccorso, nelle ultime due righe del libro, una metafora: “Il giornalismo deve arrivare, come l’acqua, all’ultimo campo di riso”. Gli ho chiesto di spiegarmela. Mi ha dato un breve testo di programma che aveva mandato una volta a tutti i redattori di via Solferino: “Nei villaggi di montagna, a Bali, i contadini badano bene di affidare la gestione dei campi di riso al proprietario dell’ultimo campo a terrazza raggiunto dall’acqua. Questa organizzazione della comunità (il “Subak”) funziona bene e assicura due raccolti l’anno per tutti. Ognuno è sicuro che sarà fatto davvero quel che serve (piccole chiuse, gallerie, rimozione dei detriti e del fango, acquedotti sotterranei e all’aperto, scolmatoi) perché l’acqua possa compiere l’intero percorso e toccare anche il suo campo, senza fermarsi ad irrigare solo i terreni dei potenti e degli amici dei potenti”. Una metafora forse buona per capovolgere la Brexit, Trump e anche l’angoscia per l’Italia. Con il giornalismo.
(Antonio Andreini)
Nella foto: Raffaele Fiengo all’interno del Daunt Bookshop, in Marylebone Street, a Londra