I giornalisti sono salvi (per ora). Con il primo sì del Senato, è stata infatti ritirata la norma che prevedeva fino a 9 anni di carcere per i giornalisti che avessero diffamato politici e magistrati. Scompare così il reato di diffamazione a mezzo stampa dalla proposta di legge in materia di contrasto al fenomeno delle intimidazioni ai danni dei politici, degli amministratori locali e dei magistrati, approvato con 180 voti a favore, nessun contrario e 43 astenuti, fra i quali Lega e M5S. Ora il provvedimento passerà alla Camera dei Deputati.
Con il Ddl approvato si è voluto intervenire su norme già esistenti, come quelle previste dell’art. 338 del codice penale sulle violenze o minacce a un “corpo politico amministrativo o giudiziario”. In questo caso tale articolo viene modificato estendendo la tutela giuridica ai “singoli componenti” dei corpi elencati nel codice. Come si ricorderà, la clausola che prevedeva fino a 9 anni di carcere per i giornalisti, era stata inserita in Commissione Giustizia (vedi notizia del 26 maggio su www.odg.mi.it) e aveva immediatamente provocato forti polemiche da parte degli enti di categoria dei giornalisti che avevano ravvisato, nel provvedimento, il rischio di una legge non proprio uguale per tutti. Prima del voto in aula, il senatore Giuseppe Cucca (Pd), relatore del provvedimento, ha annunciato che non ci sarebbe più stato alcun riferimento al reato della diffamazione nella norma contenuta nel Ddl contro le intimidazioni agli amministratori pubblici. La modifica più significativa è stata la cancellazione del riferimento alla diffamazione tra i reati per i quali – con un articolo ex novo del codice penale, il 339 bis – il testo prevede un aggravante della pena, portandola fino a 9 di carcere, nel momento in cui il reato è commesso contro amministratori locali, politici o magistrati, lasciando scattare l’aggravante solo nei casi di lesioni personali, violenza privata, minaccia e danneggiamento, “salvando” così dal rischio di carcere i giornalisti.