Dal corso in preparazione all’esame di Stato organizzato dall’Ordine emerge un modo diverso di vivere la professione: per necessità meno dinamico, più domestico e solitario, di sicuro meno retorico
Gianni Antoniella, Elisabetta Muritti, Luciano Scalettari, Paolo Zucca
Questo articolo è scritto dai quattro tutor del corso in preparazione all’esame da professionista organizzato dall’ordine dei giornalisti della Lombardia dal 18 al 28 marzo. Vi hanno preso parte 25 praticanti.
«Oggi ci sono strumenti come i programmi di revenue delle piattaforme, da TikTok a Youtube, che consentono a chiunque di creare contenuti anche giornalistici dalla propria cameretta. Più difficile seguire l’attualità, ma in rete abbondano i cosiddetti “spiegoni”, o video-commenti sui più disparati argomenti». Qualche giorno fa, in una pausa del Corso per i Praticanti in preparazione all’esame di Stato, lo diceva a un gruppetto di colleghi Vincenzo Russo, Social Media & Campaign Manager del Fatto Quotidiano, che ha frequentato il corso precedente che si è tenuto in autunno. «In altre parole», continuava Vincenzo, «se vuoi fare il giornalista, puoi avviare da solo un progetto relativamente piccolo e vederlo crescere nel tempo. Non che sia facile, ma alcuni ragazzi ci stanno riuscendo. Oggi hanno canali seguiti da milioni di follower e non sanno che cos’è una scuola di giornalismo».
Vincenzo è un perfetto emblema. Del giovane giornalista oggi diviso tra l’ammirazione per le regole “classiche” di una professione che ama e la consapevolezza di una realtà che pare poterne (e volerne) fare a meno. Un emblema dei tanti, tantissimi praticantati d’ufficio. Ma non solo. Quello che si osserva dal corso è la latitanza dei “giornaloni” e delle testate nazionali nella creazione di nuovi praticanti (due eccezioni: il Post e Milano Finanza); il fatto che su questo le emittenti televisive superano le testate cartacee; de proliferare di testate online in tutte le forme e declinazioni; di una assoluta mancanza di tutele (e di cultura) sindacale.
La più dinamica delle professioni sta diventando un mestiere solitario, domestico e indifeso; e quella che era la sua specificità intellettuale, e cioè la scrittura logica, fluida e documentata, solo uno degli ingredienti.
Senza la pretesa di fornire comportamenti medi, incontrare tanti giovani colleghi (ma anche di altri Ordini) consente impressioni in presa diretta sull’evoluzione della professione. È un momento intenso.
Negli otto giorni del Corso, a un solo mese dall’esame, si sta molto insieme, si seguono i colleghi nell’emozionante avvicinamento alla prova scritta. Quasi sempre si gioisce del passaggio all’orale, ci si confronta per la tesina. Si festeggia il tesserino da professionista sapendo tutti che il mercato del lavoro è la prova più difficile.
Qualche evidenza. I colleghi assunti e quelli che collaborano stabilmente con redazioni strutturate non hanno meno bisogno dei freelance di solide basi. Di scrittura, ad esempio. Cose molto semplici: nome e cognome la prima volta che si cita una persona, la sua definizione. Una punteggiatura decente, paragrafi non chilometrici. Ogni affermazione deve essere seguita da un riscontro verificabile, chiedere un commento ai soggetti di cui, nel bene o nel male, si scrive. L’obbligo di verifica, per evitare di trasferire ai lettori imprecisioni o fake news che potranno diventare guai giudiziari e cause milionarie che dovrebbero spaventare innanzitutto gli editori che invece spingono solo sulla quantità. Tutta roba vecchia? In parte sì, l’esame di Stato propone ancora il modello carta-centrico che le vendite in edicola non giustificano più.
Qualche altra considerazione. Con i sempre più frequenti “tagli” dei giornalisti, sembra di capire, è andata persa la “scuola interna” delle storiche redazioni che trasferiva esperienza di mestiere e di scrittura. Il giornalismo diventa sempre più lavoro solitario, realizzato magari a casa propria oppure (raramente) sul campo, molto fai-da-te. Complice la crescita abnorme dell’utilizzo di collaboratori esterni, il giovane giornalista deve imparare il mestiere senza quella rete di relazioni che ha caratterizzato per lungo tempo la professione. Ha perso gran parte dello spazio (la vita di redazione, il rapporto quotidiano con i colleghi) e si è interrotta la trasmissione del bagaglio di vissuto che non si impara nelle scuole di giornalismo né nelle università.
Alla domanda: «Chi lavora online?» si alzano selve di mani. Video, podcast, molti pezzi brevi e per fortuna anche long form e inchieste. I colleghi giovani hanno studiato, viaggiato, imparato lingue, stretto amicizie più che in passato, agili nell’informazione audiovisiva, nella tecnologia e nell’autoproduzione. Valorizzano contenuti sui social, prendendo il meglio e schivando il peggio. Lavorano in tempo reale, con notizie e immagini da sparare in rete immediatamente (e forse la “vecchia” verifica è più urgente ora che in passato).
Siamo a un paradosso: se i giovani praticanti da un lato presentano abilità e competenze prima sconosciute, dall’altro si ritrovano deprivati del bagaglio professionale che ci proviene dal vivere, anche fisicamente, nel processo di produzione di un’opera corale che si rinnova. Non si tratta di “lodare i tempi andati”, ma constatare come alcune potenzialità legate alle nuove tecnologie vengano azzoppate dalle nuove modalità di lavoro a cui sono costretti tanti giovani cronisti. La distruzione del lavoro gomito a gomito (complice la pandemia e non solo) è la cifra di quest’epoca.
Anche per questo gli otto giorni di formazione alla fine lasciano il segno, nei tutor quanto nei praticanti. Arrivi al corso e scopri che “stare insieme” è bello. Nelle due settimane è incredibile come si crei e si saldi uno spirito di gruppo che diventa anche la forza di coloro che andranno a Roma per sostenere il temuto Esame. La crescita dello “spogliatoio”, tanto per recuperare un vocabolario sportivo, è una reazione che stupisce per potenza e per capacità di fondere il gruppo lombardo. La rete che si crea è utile come aiuto per la preparazione e per il morale. La fusione“chimica” di personalità è la vera costante dei corsi che l’OgL organizza semestralmente, secondo il calendario delle sessioni d’esame. A modo suo, un’opera d’ingegno collettivo o, se vogliamo, una singolare esperienza di vita di redazione, provata per alcuni di questi ragazzi per una prima volta, magari la sola.