L’accuratezza e il «giornalismo di precisione»

( Saluto del presidente Riccardo Sorrentino all’evento «Restare protagonisti. I nuovi scenari del giornalismo», con Nello Scavo, inviato di Avvenire, e Gianfranco Fabi, ex vicedirettore del Sole 24 Ore, organizzato da Radio Missione Francescava – Varese – 22 gennaio 2022 )

«Restare protagonisti». È un tema centrale, quello che affronteremo oggi con Nello Scavo. Per questo motivo ringrazio molto il direttore Gianfranco Fabi per l’invito a porgere qui il saluto dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia.

La nostra professione, lo sappiamo, sta affrontando un momento difficile. Dobbiamo – tutti – trovare il modo, come giornalisti, di ritrovare consapevolezza di quello che facciamo. Occorre rafforzare o riconquistare, dove l’abbiamo perduta, la fiducia dei lettori, degli ascoltatori, dei frequentatori dei social. Ribadire il nostro ruolo, che non è semplicemente quello di “mediatore”, come a volte si dice, ma è quello del gatekeeper, del guardiano dei cancelli che aprono e chiudono l’accesso alle informazioni, che decidono quali discorsi siano rilevanti. Una funzione che la facile rincorsa ai click e lo sviluppo dei social ci ha fatto un po’ perdere.

Sarà inevitabilmente un lavoro collettivo. Soltanto il concorso di molti protagonisti può risolvere la crisi professionale in cui siamo caduti.

Permettetemi allora di riproporre qui rapidamente – come mio contributo alla discussione – un concetto importante. È l’idea di accuratezza, proposta per il nostro lavoro dalla riflessione americana, che trasferita in Italia può addirittura essere arricchita, e arricchirci. Perché è in grado, almeno pragmaticamente, di tener insieme diversi principi fondamentali della nostra professione: principi tecnici e di metodo, principi etici e deontologici.

Accuratezza riassume innanzitutto il diritto/dovere del rispetto della «verità sostanziale dei fatti» insieme alla «libertà di informazione e di critica» – che non è la libertà delle nostre preferenze o dei nostri desideri, piuttosto è libertà della volontà creatrice dello spirito umano. Essere accurati significa però anche prendersi cura delle realtà che raccontiamo, primo passo per riconoscere, ovunque, la dignità degli uomini e delle donne di cui narriamo le storie.

Essere accurati dà anche concretezza a quell’idea un po’ vaga di “giornalismo di qualità” che è considerata la chiave della nostra salvezza. Un giornalismo accurato è un giornalismo di precisione, che non può limitarsi a essere quello proposto nel 1973 dal giornalista americano Philip Meyer e che è poi diventato – a volte bene, a volte male – il data journalism. È il giornalismo che sa leggere i dati, certo, ma punta anche alla precisione nel linguaggio, nei passaggi logici e argomentativi, all’accuratezza nella scelta delle fonti, nella scelta degli esperti da intervistare – la pandemia, ammettiamolo, ci ha messo un po’ in crisi da questo punto di vista – nella scelta dei personaggi da mettere in evidenza.

L’accuratezza è necessaria anche nel gatekeeping. Abbiamo un ruolo importante, unico, e lo abbiamo un po’ dimenticato. Noi non diamo ai lettori le informazioni che vogliono, ma quelle che noi giudichiamo siano per loro rilevanti. Leggere il giornale non è come comprare cibo o vestiti. Somiglia piuttosto alla visita da un medico: non scegliamo noi se abbiamo bisogno di un’aspirina o un intervento chirurgico, lo sceglie il dottore.

C’è un risvolto economico, in questo aspetto del nostro lavoro, come economica è anche la nostra crisi. Nel mercato dei media, l’offerta – noi – determina o almeno indirizza la domanda, i lettori. Come il mercato della sanità, un mercato così fatto è allora un mercato speciale, in un certo senso delicato, che richiede un trattamento speciale. Non, forse, i sussidi che qualcuno sogna – anche se di sussidi ai prepensionamenti ha vissuto il sistema in questi anni – ma sicuramente un assetto peculiare, tutto da costruire. Soprattutto ora che il vecchio modello di business, basato sulla pubblicità, è scomparso, e difficimente tornerà.

Essere accurati, aver cura è il compito al quale oggi siamo noi tutti chiamati. Un compito attivo: nel rispetto della verità, la realtà va esplorata, interrogata, a volte anche politicamente costruita. Per sviluppare questa maggior consapevolezza del nostro ruolo anche l’Ordine, nel suo nuovo assetto, vuole dare un contributo: non con veloci e superficiali operazioni di maquillage, ma con un lavoro graduale e radicale che coinvolga le sue attività culturali e di informazione, la formazione continua, la proposta dei principi deontologici più adeguati al mondo attuale, il riconoscimento accurato di chi fa davvero il giornalista, di chi svolge quell’attività professionale che la Costituzione e i principi della liberaldemocrazia rappresentativa chiedono che sia protetta. Il nostro compito è questo.

Grazie di tutto, e buon lavoro

Lascia un commento

Iscriviti alla newsletter per non perdere tutti gli aggiornamenti