L’Ordine e il lavoro autonomo

Il primo dovere civico è quello di difendere i diritti e le libertà di ciascuno. Il primo dovere deontologico – lo indica molto bene il testo unico dei doveri del giornalista, che in questo senso è molto raffinato e avanzato – è quello di «difendere il diritto all’informazione e la libertà di opinione di ogni persona».

( Intervento del presidente Riccardo Sorrentino in apertura del corso Tipologie contrattuali e tutela dei diritti del lavoro autonomo tenuto da Paolo Perucchini, presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti, e Mario Fezzi, avvocato – Associazione lombarda dei giornalisti, Milano – 23 maggio 2022 )

Il primo dovere civico è quello di difendere i diritti e le libertà di ciascuno. Il primo dovere deontologico – lo indica molto bene il testo unico dei doveri del giornalista, che in questo senso è molto raffinato e avanzato – è quello di «difendere il diritto all’informazione e la libertà di opinione di ogni persona». Non c’è altro modo di legare insieme il riconoscimento dei diritti e delle libertà che appartengono necessariamente all’individuo – altrimenti sarebbero distribuite in origine in modo diseguale – e il mantenersi insieme di ciascun corpo civico. L’idea che ciascuno pensi a sé e da questo egoismo sia pure illuminato, magicamente e automaticamente emergano diritti e libertà per tutti è in larga parte irrealistica.

Cosa c’entra tutto questo con il tema della lezione di oggi, che l’Associazione lombarda dei giornalisti ha meritoriamente organizzato? C’entra, in molti modi che coinvolgono, direttamente, anche l’Ordine dei giornalisti il quale si completa, ed è completato dal Sindacato dei giornalisti, pur nella profonda differenza delle loro funzioni.

La libertà e l’economia

Il ragionamento è semplice. La libertà, i diritti, hanno bisogno di sicurezza, una sicurezza anche materiale. Questo vale anche per i giornalisti. Esiste un mondo che ci racconta che occorre perdere libertà e diritti per acquisire maggior sicurezza, ma è un racconto falso. È vero l’opposto: la sicurezza ha valore in quanto permette il libero godimento dei propri diritti. Altrimenti è la pace dei cimiteri, delle prigioni, della schiavitù, della dittatura: una sicurezza oltretutto, instabile, una sicurezza insicura.

I diritti – anche i diritti dei giornalisti – passano attraverso il sistema economico. I rapporti di lavoro sono un elemento importante. Un settore dei media in crisi, contratti precari, richieste di risarcimento impossibili e non assicurabili minacciano anche la libertà del singolo giornalista. Meno, forse, della minaccia della criminalità organizzata, del terrorismo, delle leggi liberticide – presenti anche in alcuni paesi democratici – ma in modo più subdolo, meno riconoscibile.

Le carte dei doveri all’estero

Non può sorprendere allora il fatto che anche le carte dei doveri si interessino delle questioni economiche. Ricordiamo la funzione della deontologia: garantire l’autonomia dei giornalisti, evitare il più possibile che siano giudicati da non giornalisti, costruire continuamente il rapporto di fiducia con i cittadini.

«La sicurezza materiale e morale è la base dell’indipendenza del giornalista», dice la carta dei doveri francese. «L’esercizio della professione ‘a riga’ beneficia delle stesse garanzie dei giornalisti contrattualizzati», continua; e il giornalista – dice ancora, ripetendo una norma in vigore almeno dal 1938 – «non chiede il posto di un collega offrendosi di lavorare a condizioni inferiori».

In Svizzera il giornalista ha «diritto a un contratto d’assunzione individuale, che garantisca la sua sicurezza materiale e morale, come pure a una retribuzione adeguata alle funzioni che svolge, alle responsabilità che assume e alla sua posizione sociale, tale da assicurargli l’indipendenza economica».

La Carta di Firenze

Il testo deontologico più avanzato, sotto questo punto di vista, è però quello italiano, che fa riferimento alla Carta di Firenze, un documento che risente molto della sua origine – un accordo tra la Fnsi e l’Ordine – che indica però alcuni principi fondamentali.

Ricordiamone qualcuno.

«Gli iscritti all’Ordine sono tenuti a non accettare corrispettivi inadeguati o indecorosi per il lavoro giornalistico prestato».

È un’applicazione raffinata, questa, del dovere di difendere i diritti e le libertà di ciascuno; e, da un punto di vista economico, vieta forme di dumping, una vendita per così dire “sotto costo” (anche se non è tecnicamente così).

Altre regole riguardano chi ha funzioni di coordinamento del lavoro, i direttori, i capiservizio, il desk [i giornalisti, quindi, non i datori di lavoro] che sono tenuti a:

  • non impiegare quei colleghi le cui condizioni lavorative prevedano compensi inadeguati;
    garantire il diritto a giorno di riposo, ferie, orari di lavoro compatibili con i contratti di riferimento della categoria;
  • vigilare affinché a seguito del cambio delle gerarchie redazionali non ci siano ripercussioni dal punto di vista economico, morale e della dignità professionale per tutti i colleghi;
  • impegnarsi affinché il lavoro commissionato sia retribuito anche se non pubblicato o trasmesso;
    vigilare sul rispetto del diritto di firma e del diritto d’autore.
  • vigilare affinché i giornalisti titolari di un trattamento pensionistico Inpgi a qualunque titolo maturato non vengano nuovamente impiegati dal medesimo datore di lavoro con forme di lavoro autonomo ed inseriti nel ciclo produttivo nelle medesime condizioni e/o per l’espletamento delle medesime prestazioni che svolgevano in virtù del precedente rapporto.

Troppo poco? Può darsi ma, come sapete, le regole deontologiche sono in continua evoluzione, e non è strettamente necessario che un comportamento sia individuato esplicitamente come deontologicamente scorretto. Il sistema è più vicino al common law, alla decisione equitativa, giurisprudenziale, che a un sistema di diritto penale, dove ogni comportamento illecito deve essere precisamente indicato. Non manca la tentazione – va detto – di andare verso un sistema di questo tipo ma, su questioni deontologiche, sarebbe secondo me un errore.

L’Ordine come contrappeso al potere economico: la Corte costituzionale

Ricordiamoci infatti che c’è un fondamento molto solido per ogni intervento dell’Ordine dei giornalisti in queste materie. È costituito da alcune sentenze della Corte costituzionale.

Più volte la Corte costituzionale ha spiegato che «la libertà di espressione del pensiero é fondamento della democrazia e […] la stampa, considerata come essenziale strumento di quella libertà, deve esser salvaguardata contro ogni minaccia o coartazione, diretta o indiretta». Nell’importante sentenza n. 138 del 1985 ha persino indicato nell’articolo 21 il diritto «più alto, forse» tra i diritti fondamentali.

La famosa sentenza n. 11 del 1968, soprattutto, lega strettamente la legittimità dell’Ordine al ruolo che può svolgere proprio a proposito dei contratti e dei rapporti di lavoro. La Corte sottolinea

«l’opportunità che i giornalisti vengano associati in un organismo che, nei confronti del contrapposto potere economico del datori di lavoro, possa contribuire a garantire il rispetto della loro personalità e, quindi, della loro libertà: compito, questo, che supera di gran lunga la tutela sindacale del diritti della categoria e che perciò può essere assolto solo da un Ordine a struttura democratica che con i suoi poteri di ente pubblico vigili, nei confronti di tutti e nell’interesse della collettività, sulla rigorosa osservanza di quella dignità professionale che si traduce, anzitutto e soprattutto, nel non abdicare mai alla libertà di informazione e di critica e nel non cedere a sollecitazioni che possano comprometterla».

Nel 1968, quando fu emessa la sentenza n. 11, i giornalisti erano principalmente inquadrati con contratti di lavoro subordinato. Non è improprio però pensare che quel principio così solennemente dichiarato debba valere, ancor di più, per quei contratti e quei rapporti di lavoro autonomo, in cui il singolo lavoratore è in una posizione di grande debolezza.

Ordine e sindacato

Questa è l’area in cui l’attività dell’Ordine dei giornalisti e l’attività del sindacato si intersecano. Le priorità sono diverse: per il sindacato la difesa economica dei giornalisti viene prima, per l’Ordine professionale – che è un Ente pubblico e si occupa di questioni pubbliche, come ha ricordato la Corte costituzionale – è fondamentale la nostra professionalità, e quindi la nostra responsabilità sociale: libertà, competenza e correttezza. Il terreno comune – soprattutto, ma non solo – è quello economico che l’Ordine non può ignorare.

La sicurezza anche economica dei giornalisti è quindi un elemento fondamentale del sistema. Il sistema dell’informazione italiano, che prevedeva anche una cassa pensionistica autonoma e, ancora oggi, una cassa malattie autonoma, era molto ben disegnato in questo senso. La perdita dell’Inpgi – lo dico nella consapevolezza delle oggettive difficoltà che l’ente ha incontrato – è stato un duro colpo.

Per l’Ordine la collaborazione del sindacato è fondamentale, e spesso – secondo me – passa attraverso strade inconsuete. Il diritto di esclusiva, per esempio: crea un monopolio – tecnicamente è un monopsonio – a favore delle imprese. È un male assoluto, per il sistema dei media e per il singolo: le imprese non entrano tra loro in concorrenza sul mercato del lavoro, e non hanno alcun incentivo ad aumentare i compensi, mentre il giornalista non può far conoscere, far valere davvero le proprie qualità, le proprie competenze. Occorre, secondo me, cancellarlo dal contratto – quando ci sarà un contratto – rendere nulle le clausole di esclusiva, e occorre vietarle e rifiutarle anche nei rapporti di collaborazione. Così come i patti di non concorrenza dopo le dimissioni. In un sistema sempre più caratterizzato da contratti instabili, anche se magari a tempo indeterminato, mi spingo a dire che – se l’obiettivo è quello di proteggere chi è più debole contrattualmente, ma non professionalmente – questo passaggio è quasi importante quanto la fissazione degli stipendi e dei compensi minimi.

I compiti dell’Ordine

Cosa può fare invece l’Ordine dei giornalisti, nell’ambito delle sue funzioni specifiche, a favore del lavoro autonomo?

Diverse cose che, per quanto riguarda l’Ordine della Lombardia, corrispondono tutte a progetti in via di sviluppo.

L’Ordine deve rafforzare il suo sistema di vigilanza deontologico, uscendo dalla logica del semplice «sorvegliare e punire» che è dominante per passare a quella della costruzione continua di un rapporto di fiducia con i cittadini, enfatizzando il valore dichiarativo delle decisioni, che indicano quali comportamenti concreti sono scorretti (senza rinunciare, ovviamente, alle sanzioni). Si tratta, in sostanza, di renderlo più efficace. L’analisi dei rapporti interni delle redazioni, i rapporti tra desk e collaboratori devono diventare più importanti.

L’Ordine deve fornire e certificare competenze che siano utili davvero, che aumentino il potere contrattuale dei singoli giornalisti. Il monopolio dei crediti formativi deve essere trasformato nell’opportunità di godere appieno dei vantaggi della formazione continua, che sono innegabili. In Lombardia abbiamo introdotto percorsi formativi, cicli di corsi che forniscano al termine anche un certificato.

L’Ordine deve inoltre aprire le sue porte, se è possibile anche prima della riforma. Non possiamo permettere che si crei un mercato del lavoro parallelo, privo di regole e di vincoli professionali. Un collaboratore senza tessera che scriva senza il minimo rispetto degli obblighi deontologici – e non mancano, anche tra i nomi noti – può fare danni all’intera categoria e alla fiducia che i cittadini hanno di essa. La legge attuale, ferma a decenni fa, permette solo a chi ha un rapporto subordinato di diventare professionista, mentre la figura del pubblicista è stata piegata perché si adattasse alle nuove forme di organizzazione delle redazioni. È evidente che una riforma è necessaria, anche se gli Ordini regionali non possono restare, nel frattempo fermi. Non lo sono stati: da anni è stato introdotto il praticantato d’ufficio.

Noi abbiamo da poco introdotto – e sottolineo: all’unanimità, ma non senza qualche polemica nel mondo a noi più vicino – un press badge da usare nelle aree di crisi che certifichi il deposito presso l’Ordine di un fascicolo provvisorio di articoli, che testimoni quindi l’attività giornalistica di fatto. In tempi brevissimi sarà concretamente disponibile. Mi piace considerarlo come un primo passo anche se incontreremo qualche resistenza.

Non abbiamo inoltre abbandonato il progetto di creare una piattaforma che favorisca l’incontro tra domanda e offerta di collaborazioni. Abbiamo incontrato alcuni banali problemi di natura tecnica, che verrano facilmente risolti.

In gioco, nella sfida posta dal lavoro autonomo, c’è quindi il riconoscimento dello status di giornalista, con l’attribuzione di diritti e doveri che non coincidono con quelli aziendali; l’accertamento delle competenze, che devono essere crescenti nel tempo; l’assunzione piena delle proprie responsabilità nei casi di negligenze o scorrettezze. Sono le tre funzioni fondamentali attribuite all’Ordine dei giornalisti.

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