La libertà di informazione, la guerra e l’Ordine

( Intervento del presidente Riccardo Sorrentino alla manifestazione No alla guerra contro la democrazia e la libera informazione organizzata dall’Associazione Lombarda dei giornalisti – Milano, Giardino Anna Stepanovna Politkovskaja, 30 marzo 2022 )

«A ciascuno è garantita la libertà di pensiero e di parola (…). Ciascuno ha diritto a cercare, ottenere, trasmettere, produrre e diffondere liberamente informazioni con qualunque mezzo consentito dalla legge. (…) Viene garantita la libertà dei mezzi d’informazione di massa. La censura è vietata».

É l’articolo 29 della Costituzione della Federazione russa. È una formulazione per certi aspetti persino più incisiva del nostro articolo 21, in cui la libertà di parola trova per esempio un limite non solo negli altri diritti, ma anche nel buon costume. Non ha la forza del Primo emendamento della Costituzione americana, che tanti politici d’oltreoceano hanno odiato ma non sono riusciti ad abrogare. Sembra però costituire una protezione molto intensa. Non c’è nulla di simile, per esempio, nella Costituzione cinese.

Sappiamo però cosa è successo in questi anni, in Russia. La vita e la morte di Anna Politkovskaja, a cui è intitolato questo giardino, ci ricordano che gli eventi di oggi hanno un’origine lontana: Anna fu sottoposta a un’esecuzione finta, fu poi avvelenata, e infine fu uccisa. Perché? Perché aveva raccontato la guerra in Cecenia, quella guerra che – come lei stessa aveva denunciato – l’Unione europea e ciascuno dei suoi paesi membri hanno sottovalutato, per poi dover affrontare l’invasione dell’Ucraina.

Non può sorprendere allora – anche se resta inaccettabile – che il compito dei giornalisti non venga rispettato nel teatro di guerra. Qualche settimana fa l’Ordine della Lombardia ha riconosciuto una tessera ad honorem per Andrea Rocchelli che nel 2014 è stato ucciso dalle forze militari o paramilitari ucraine, per quanto il suo status di giornalista fosse ben riconoscibile. Non vogliamo più farlo, nel senso che non vogliamo che reporter coraggiosi vengano uccisi o siano vittime di violenza perché svolgono il loro ruolo di giornalisti.

Stiamo anche cercando una soluzione perché nessun giornalista italiano, in futuro, vada all’estero a raccontare le guerre senza che sia dotato – come pure è successo – di un documento anche provvisorio che in qualche modo attesti il suo ruolo.

Il grido d’allarme dei giornalisti ucraini – persino di quelli russofoni – che temevano nei primi giorni della guerra una rapida vittoria delle forze di Mosca e il bavaglio del regime putiniano – è giunto persino all’Ordine dei giornalisti della Lombardia, anche attraverso la consigliera Ester Castano. Ci siamo attivati per capire se e come fosse possibile accoglierli in Italia – incontrando qualche inattesa freddezza – ha predisposto alcune misure per sostenerli, ed è pronto a intervenire in tempi rapidi, nel momento stesso in cui queste richieste diventassero tragicamente concrete.

Non è solo la Russia, però, a reprimere la libertà di parola, né solo la guerra. Giustamente il presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti Paolo Perucchini ha parlato nei giorni scorsi di Bielorussia, di Moldavia, di Georgia, di Armenia. Anche paesi con una più solida tradizione di democrazia liberale vedono conculcata la libertà di stampa. L’Italia è sicuramente uno di questi, e spesso in modo non conclamato.

Sono tragiche realtà che ci ricordano che la libertà di stampa non è un accessorio: in un duplice senso. Non se ne può fare a meno, e questo a noi giornalisti è molto chiaro, ma – cosa più interessante – non è un diritto che possa essere introdotto in qualunque sistema politico e giuridico. Occorre un ordinamento giuridico e un quadro costituzionale che la sostenga e ne faccia un elemento integrante. Occorre un mondo politico e una società che faccia dei diritti dei singoli i valori centrali della convivenza civile. Occorrono forti anticorpi, una cultura solida, un giornalismo che coltivi la fiducia dei cittadini.

Permettetemi allora di dire che anche per l’Ordine, come per tutti, le vicende di questi giorni sono state un brusco risveglio. Dopo queste prime settimane della nuova consiliatura votata al rinnovamento – settimane di preparazione –  è stato come scoprire che l’Ordine dei giornalisti, questo organismo complesso e affascinante, avesse un po’ perso l’anima, nel tempo. Così come hanno perso l’anima i giornali e il mondo stesso del giornalismo. La scoperta è stata che tutto, nelle attività dell’Ordine, è diventato egualmente importante, dalla tenuta dell’albo alle attività per così dire cerimoniali, quelle che scandiscono la vita della città dei giornalisti, e perfino quelle di immagine. Sono tutte attività rilevanti. Occorre però definire delle priorità, oggi più che mai. La libertà insopprimibile di informazione e di critica, insieme al rispetto della verità sostanziale dei fatti e quindi il contrasto alle fake news devono diventare il fulcro attorno al quale far ruotare tutta l’attività, a cominciare dall’organizzazione interna, dell’Ordine, che deve diventare un presidio su questi temi.

È diventato, oggi, un impegno imprescindibile.

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