Agli iscritti, se assicura loro diritti e doveri “rafforzati”. E ai cittadini, se sa essere presidio collettivo della libertà di informazione. Non sempre, fin qui, si è fatto al meglio. Anche per questo la legittimità – costituzionale e sociale – di questa istituzione va affermata e rafforzata nei fatti. Ecco da dove vogliamo cominciare.
di Riccardo Sorrentino, presiedente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia
Un presidio della libertà di informazione. Non risolutivo, ma fondamentale. È questa la funzione – la realtà razionale, per così dire – dell’Ordine dei giornalisti. La sua legge istitutiva, che subito (all’articolo 2) introduce il concetto di «libertà insopprimibile di informazione e di critica», da noi ripetuto giustamente in ogni occasione, e il testo unico delle regole deontologiche che prevede come primo dovere la difesa della libertà di informazione sono una dimostrazione chiara del ruolo che l’ordinamento affida a questo organismo.
Le ragioni di un Ordine: diritti e doveri rafforzati per gli iscritti.
Le parole della legge non bastano, però. Tutta l’attività dell’Ordine deve ruotare attorno a questa libertà e alla sua difesa. Persino la tenuta dell’albo ne è parte: riconosce – fatto importante anche per chi giornalista non è – diritti e doveri rafforzati a chi è in possesso della tessera. A cominciare dal diritto (e dal dovere) – imperfetto quanto si vuole, ma previsto – di non rivelare le proprie fonti. Allo stesso modo, la deontologia non è l’imposizione di un’etica – quale, tra le tante oggi disponibili? – ma punta a sottrarre la valutazione di eventuali scorrettezze dei giornalisti all’esame della magistratura, liberandoli da sanzioni più pesanti; e la formazione ha lo scopo di dare strumenti che permettano sempre maggiore accuratezza, altro concetto centrale di ogni codice etico, in tutto il mondo. All’estero, là dove non esiste un Ordine, giornali e giornalisti hanno sentito ovunque l’esigenza di creare press councils per sviluppare almeno una di queste funzioni, in genere quella deontologica. L’Ordine italiano, ente pubblico dotato di maggiori risorse – anche se appesantito dalle onerose procedure amministrative – può svolgerle, e deve svolgerle, con maggiore efficacia.
Il tema del momento: presunzione d’innocenza e libertà di cronaca
Essere un presidio della libertà di informazione non è facile. Non si può neanche dire che questa funzione sia stata svolta nel passato con metodo e continuità. Il lavoro di riorientare strategicamente tutta l’attività dell’ordine attorno al quel principio, di predisporre le possibili modalità di intervento, di avere una capillare rete informativa su quanto accade e quindi di diventare attivi e non solo reattivi è ai primi passi. Le difficoltà al lavoro giornalistico create dal decreto della Presunzione di innocenza sono un importante esperimento: l’Ordine lombardo ha costituito una Commissione alla quale partecipa l’intero consiglio, alcuni colleghi di cronaca nera e giudiziaria e alcuni esperti, con lo scopo di individuare tutte le strade possibili per affrontare il problema. Giungere a una valutazione della normativa da parte della Corte costituzionale è uno dei nostri obiettivi.
La logica del soft power
L’Ordine è sicuramente un organismo con pochi poteri rispetto alle sue ambizioni. Il suo è il classico soft power, che dipende dalla sua credibilità e dalla sua capacità di rappresentare il giornalismo. «Siete divisi, su questo tema», ha obiettato un procuratore lombardo a cui erano prospettate le difficoltà poste dal decreto sulla Presunzione di innocenza, interpretando una normale diversità di opinioni come assenza di una volontà univoca. È una frase che mostra le nostre difficoltà: il mondo dei giornalisti non è una comunità che possa tendere a una qualsiasi forma di omogeneizzazione. È più simile, piuttosto, a una città, molto differenziata. Esprimere una volontà unitaria – in nome del principio della libertà di informazione – non può allora che essere il frutto di uno sforzo consapevole e costante.
Una istituzione non corporativa
L’esperienza straniera ci mostra che si può anche immaginare – come si è tentato di fare – di abrogare l’Ordine, ma non di cancellarne le sue funzioni. Molte delle critiche rivolte all’organismo sono allora immeritate. La centralità della libertà di informazione significa che l’Ordine attuale non ha nulla a che vedere con l’Albo dei giornalisti di fascistica memoria, da qualcuno polemicamente evocato. Né può essere ricondotto alla cultura corporativa, viva anche nell’età repubblicana. L’Ordine non è uno strumento che possa limitare l’offerta di lavoro sul mercato, anche se la sproporzione tra domanda e offerta – soprattutto oggi – non può essere ignorata: la legittimità costituzionale dell’Ordine dipende strettamente dalla garanzia che offre all’accesso alla professione. La lunga storia dell’Ordine, i praticantati d’ufficio, i ricongiungimenti, gli allargamenti allo studio dei requisiti della legge, il press badge lombardo per le aree di crisi da poco introdotto mostrano lo sforzo dell’Ordine a rappresentare davvero anche chi è giornalista ma non è riconosciuto come tale. Capire dove va l’innovazione giornalistica, a quali nuove figure professionali dà vita è allora essenziale per la vita dell’Ordine. Le condizioni economiche della libertà di informazione sono altrettanto importanti di quelle giuridiche, soprattutto in questa fase di crisi dei modelli di business, che rende ancora più forte la tentazione di mescolare pubblicità, propaganda e informazione. Un rischio mortale, per il mondo del giornalismo.